Bimbo in coma per il formaggio contaminato da Escherichia Coli, risarcimento alla famiglia: a quanto ammonta
Alla famiglia del bimbo in coma da 7 anni il risarcimento da un milione di euro: aveva mangiato del formaggio contaminato da Escherichia Coli
Il Tribunale di Trento ha stabilito un risarcimento milionario per la famiglia del bimbo di 4 anni che, nel 2017, era finito in coma dopo aver mangiato formaggio contaminato da Escherichia coli. Il caso ha avuto ricadute importanti, con la condanna per lesioni gravissime all’ex presidente del caseificio e un casaro dell’azienda, oltre al rinvio a giudizio per una pediatra accusata di ritardi nella diagnosi.
- Formaggio contaminato, per il bimbo in coma risarcimento da 1 milione
- La pediatra rinviata a giudizio per il bimbo in coma
- Il commento del padre del bambino
Formaggio contaminato, per il bimbo in coma risarcimento da 1 milione
Il protagonista della storia, suo malgrado, si chiama Mattia Maestri: quando aveva 4 anni, a giugno 2017, mangiò del formaggio a latte crudo contaminato da Escherichia coli. Oggi che ha 11 anni, il bambino è ancora in coma.
Dal Tribunale di Trento è arrivato un risarcimento provvisionale complessivo da 1 milione di euro: 600mila euro per il bambino e 200mila euro per ciascun genitore.
Il caso di Mattia Maestri, il bimbo finito in coma per del formaggio contaminato, è accaduto a Trento
Il formaggio responsabile del dramma era stato prodotto dal Caseificio Sociale di Coredo, e le condanne del 2023 all’ex presidente Lorenzo Biasi e al casaro Gianluca Fornasari sono state confermate in appello per le gravi lesioni inflitte al bambino.
La pediatra rinviata a giudizio per il bimbo in coma
Una pediatra dell’ospedale Santa Chiara di Trento è stata inoltre citata in giudizio dal gup Enrico Borrelli per “omissione di atti d’ufficio” e “lesioni personali colpose gravissime in attività medica”, in relazione al caso di Mattia Maestri.
Il medico, secondo l’accusa della pm Maria Colpani, si sarebbe rifiutata di fornire un parere sul caso del bambino, che si trovava in gravi condizioni, nonostante la richiesta di una collega.
Questo comportamento avrebbe causato un ritardo nella diagnosi della sindrome emolitico-uremica (SEU), diagnosticata solo tre giorni dopo e ciò avrebbe rallentato l’avvio delle necessarie cure.
Il commento del padre del bambino
“La nostra è una battaglia civica, quella dottoressa dovrebbe cambiare lavoro” commentava Gian Battista Maestri, il padre del bambino, lo scorso mese di marzo in un’intervista al Corriere della Sera.
“Mio figlio dopo aver mangiato il formaggio si è sentito subito male, siamo corsi prima all’ospedale di Cles poi a Trento. Al pronto soccorso pediatrico, la dottoressa che lo visitava ha chiesto un consulto alla pediatra, che però le ha risposto: non adesso, sono stanca è tutto il giorno che corro. L’abbiamo sentita noi” ha raccontato il padre.
La rabbia verso la pediatra è tanta, ma la responsabilità principale secondo la famiglia resta del produttore del formaggio contaminato. “Quei tre giorni sono stati importanti, ma la colpa principale rimane del caseificio. Se mio figlio non avesse mangiato quel formaggio starebbe bene. Eppure era un prodotto consigliato proprio per la merenda dei bambini” ha osservato Maestri.