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"Angela Celentano è in Turchia", gip chiede di indagare ancora. Interrogato l'uomo sbagliato?

La giudice delle indagini preliminari di Napoli, Federica Colucci, si è rifiutata di chiudere l'indagine sulla pista turca relativa al caso Angela Celentano

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Stefano D'Alessio

GIORNALISTA

Giornalista pubblicista. Laureato in Comunicazione, per anni si è occupato di sport e spettacolo. Scrive anche di attualità, cronaca e politica. Ha collaborato con importanti testate e programmi radio e tv, a livello nazionale e locale.

Il caso di Angela Celentano, scomparsa nel nulla sul Monte Faito il 10 agosto del 1996, quando aveva solo 3 anni, si arricchisce di nuovi elementi.

La scomparsa di Angela Celentano

Angela Celentano è scomparsa il 10 agosto 1996 mentre partecipava assieme a suo padre Catello, sua madre Maria e le sue sorelle Rossana e Naomi, a una gita organizzata sul Monte Faito dalla Comunità frequentata dai suoi genitori: quella della Chiesa evangelica pentacostale di Vico Equense, nei pressi di Napoli.

Attorno all’ora di pranzo, di Angela Celentano, che all’epoca aveva 3 anni, si sono perse completamente le tracce.

In foto: Angela Celentano.

La pista turca

L’indagine sulla cosiddetta “pista turca“, come ricostruisce il ‘Corriere della Sera’, è stata avviata dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea nel 2009, in seguito all’iniziativa privata di una signora che si chiama Vincenza Trentinella.

La donna ha riferito di aver raccolto le confidenze di un prelato che, a sua volta, le aveva raccolte da una donna nel confessionale. “Mi disse: non posso tenermi questo peso sulla coscienza. E così dopo la sua morte decisi di andare in Turchia a verificare il suo racconto. Aveva detto la verità”, le parole di Vincenza Trentinella riportate dal ‘Corriere della Sera’. Angela Celentano sarebbe stata rapita e vivrebbe “su un piccolissimo isolotto turco che si chiama Buyukada, con un uomo che crede sia suo padre, che io ho incontrato in uno studio veterinario e che ha una cicatrice sul collo”.

La stessa Vincenza Trentinella ha anche fatto il nome dell’uomo, Fahfi Bey, fornendo agli inquirenti, inoltre, un numero di telefono che proprio questo Fafhi Bey le avrebbe scritto a mano su un biglietto da visita. Lei lo avrebbe scovato in uno studio veterinario dove si era presentata fingendosi una turista con l’intenzione di portare a casa un gattino dell’isola.

Quando la magistratura italiana ha chiesto ai colleghi turchi di interrogare l’uomo, e ha mandato i suoi investigatori per la rogatoria, sarebbe stato interrogato l’uomo associato a quell’utenza, che però, come riportato dal ‘Corriere della Sera’, non sarebbe stato Fahfi Bey ma il veterinario Fahfi Dal. Nell’annotazione di fine rogatoria, però, c’è scritto che quell’uomo è Fahfi Bey ed è presente anche un nuovo numero telefonico che, secondo il Servizio di Cooperazione internazionale di polizia, sarebbr un’utenza aperta a nome Fahfi Bey.

La decisione della giudice

La giudice delle indagini preliminari di Napoli, Federica Colucci, si è rifiutata di chiudere l’ultimo filone d’inchiesta ancora aperto per il quale la Procura aveva chiesto l’archiviazione. Si tratta, proprio, dell’inchiesta sulla cosiddetta “pista turca”.

Queste sono le deduzioni attribuite dal ‘Corriere della Sera’ alla giudice in merito alle annotazioni di fine rogatoria: “Vuol dire che un soggetto con questo nome esiste e questa circostanza dev’essere approfondita” perché “non è spiegabile con un ‘refuso’. Di refuso, infatti, si parla nella richiesta di archiviazione.

In sostanza: l’ipotesi è che sarebbe stato interrogato l’uomo sbagliato. O, per dirla con la giudice: “A Fafhi Bey viene attribuito l’interrogatorio di Fahri Dal”. Secondo la gip, “permangono elementi di dubbio” e “in sede di rogatoria emerge una discrasia che resta priva di logica spiegazione”.

 

Fonte foto: ANSA

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