Scontro tra Giuseppe Conte e Attilio Fontana nell'inchiesta Covid: cosa ha detto l'ex premier sulle zone rosse
Dal verbale di chiusura dell'inchiesta Covid, emergono posizioni contrastanti tra Giuseppe Conte e Attilio Fontana sull'istituzione delle zone rosse
Sono stati depositati gli atti di chiusura dell’inchiesta Covid che vede indagato per epidemia colposa anche l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana e l’ex assessore al Welfare Giulio Gallera. Dai verbali, emergono posizioni nettamente contrastanti tra Conte e Fontana sulla gestione delle zone rosse.
- Inchiesta Covid, Conte: "Da Lombardia nessuna richiesta"
- Attilio Fontana ha dato una versione opposta
- Per la Procura il Governo Conte è stato inefficiente
Inchiesta Covid, Conte: “Da Lombardia nessuna richiesta”
Il verbale risale al 12 giugno 2020, giorno in cui i magistrati della Procura di Bergamo hanno interrogato l’allora premier Conte come persona informata sui fatti nell’ambito di un’inchiesta sulla gestione del Covid in provincia di Bergamo.
Ai magistrati, Conte disse di non aver avuto interlocuzioni dirette con la Regione Lombardia riguardo le zone rosse per Nembro e Alzano, i comuni dai quali si ritiene sia scaturito il grosso dei contagi della provincia.
Ha ammesso di aver parlato solo con Attilio Fontana e che questi non gli avrebbe chiesto l’istituzione delle zone rosse. Conte, inoltre, ha anche dichiarato che il documento contenente la bozza per la zona rossa in Val Seriana “non è mai stato nelle mie mani”.
Attilio Fontana ha dato una versione opposta
Diametralmente opposta invece la posizione di Attilio Fontana, contenuta in un verbale redatto durante l’audizione del 29 maggio 2020. Sentito dai pm, il governatore aveva dichiarato di credere nella realizzazione della zona rossa ai primi giorni di pandemia.
Fontana afferma che la proposta di Regione Lombardia è stata “quella di istituire la zona rossa” in Val Seriana, sottolineando che secondo una direttiva dell’8 marzo 2020 a firma del ministro Lamorgese, tale iniziativa “era competenza esclusiva del governo“.
Lo stesso Conte ha specificato che l’ex ministra dell’Interno aveva predisposto una ricognizione nella zona, ma in maniera preventiva e di averlo appreso dalla stampa. Lo scopo dell’indagine è proprio appurare se le azioni del Governo e delle autorità regionali abbiano o meno contribuito alla pesantissima conta dei morti a Bergamo e provincia.
Per la Procura il Governo Conte è stato inefficiente
Nelle conclusioni contenute negli atti della Procura di Bergamo al termine di un’indagine durata 3 anni, emergono pesanti accuse nei confronti del Governo Conte. “Dalla documentazione esaminata emerge che la macchina organizzativa del ministero della Salute ha mostrato carenze, ritardi e inefficienze” si legge dai passaggi riportati da Adnkronos.
Sono 19 gli indagati per epidemia colposa in un’inchiesta che punta a evidenziare che prima del 20 febbraio “poco o nulla è stato fatto, ad ogni livello, anche in ragione della frammentazione delle responsabilità e della poca chiarezza della linea di comando”. Nelle 2500 pagine che riassumono l’indagine, si punta il dito contro la presunta scarsa efficienza politica preventiva durante le prime fasi della pandemia.
Nel corso della prima ondata di pandemia, era già emerso il preoccupante fatto che il piano pandemico italiano non fosse aggiornato da quasi 15 anni. Anche per questo, invece di adottare “provvedimenti preventivi che ne limitassero la diffusione […] si è restati in attesa degli eventi connessi al diffondersi del virus con effetti sull’espansione della pandemia”.