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Morto Pacini Battaglia tra i volti simbolo di Tangentopoli: si è spento il banchiere "un gradino sotto Dio"

Si è spento il banchiere e finanziere Pacini Battaglia, tra i protagonisti della stagione di Tangentopoli

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Mirko Vitali

GIORNALISTA

Giornalista esperto di politica e attualità, attento anche ai temi economici e alle dinamiche del mondo dello spettacolo. Dopo due lauree umanistiche e il Master in critica giornalistica, lavora e collabora con diverse testate e realtà editoriali nazionali

È morto nella sua casa a Roma, città dove dimorava da tempo, il finanziere e banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia. Si è spento all’età di 89 anni.

Tangentopoli: la condanna a 6 anni di reclusione

Nato nel 1934 a Bientina in provincia di Pisa, nel 1980 aveva fondato la ginevrina Banque Karfinco. Chiamato “Chicchi” dagli amici, fu uno dei volti simbolo di Tangentopoli.

Pacini Battaglia era il banchiere “un gradino sotto Dio”, questa la descrizione con cui è stato dipinto dopo il coinvolgimento nelle indagini.

La sua figura finì dirompentemente al centro delle cronache italiane nel marzo 1993, quando l’inchiesta del pool di “Mani pulite” scandagliò le operazioni sui fondi neri dell’Eni. Il banchiere fu in seguito condannato a 6 anni di reclusione.

Pacini Battaglia, il “self-mad man”

Quando venne interrogato dall’allora pm Antonio Di Pietro, Pacini Battaglia espresse la ferma volontà che fosse messo a verbale come aveva avviato la sua carriera e gli snodi cruciali ad essa riferiti.

Il finanziere volle che si sapesse che era un uomo che si era fatto da solo, per dirla all’inglese un “self-made man”.

Nel corso dell’interrogatorio rimarcò che da giovane aveva “lavorato come operaio in una fabbrica di laterizi”. Da allora di strada ne fece parecchia, arrivando a spostare grosse somme di denaro tra Londra, Ginevra, Milano e Roma.

La frase che provocò una bufera su Antonio Di Pietro

Il 2 novembre del 1996, una frase del finanziere provocò un polverone su Antonio Di Pietro e sul suo amico avvocato Giuseppe Lucibello. A quattro anni dall’inchiesta che decretò la fine della prima Repubblica, al telefono Pacini Battaglia disse di essere stato “sbancato”.

“Quei due mi hanno sbancato”, si lamentò, riferendosi a Di Pietro e Lucibello.

L’ipotesi dell’accusa fu che il banchiere avesse pagato i favori di Di Pietro e che il legale avesse approfittato della situazione. Il processo, però, si risolse in una bolla si sapone e tutti furono assolti.

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