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Le tasse per il rientro dei cervelli e le differenze tra lavoratori e ricercatori: l'intervista a Valentini

Quali sono i piani del Governo Meloni per il rientro dei cervelli: la distinzione tra lavoratori e ricercatori spiegata da Michele Valentini

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Angela Gennaro

GIORNALISTA

Giornalista, podcaster e videomaker, lavora per realtà editoriali nazionali. Fa parte di Lost in Europe dal 2019, su Virgilio Notizie si occupa di diversi temi di attualità e interviste, spaziando dagli Esteri all'Economia, con un'attenzione particolare ai temi di diritti e di genere.

La ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, giovedì 2 novembre ha dichiarato che la cosiddetta fuga dei cervelli è “impossibile fermarla”. Ha quindi capovolto l’approccio, parlando di “attrattività dei cervelli” in un’intervista concessa a La Stampa. E proprio su questo tema ha anticipato che il Governo vorrebbe offrire condizioni favorevoli per i ricercatori, così da farli rientrare in Italia: su tutte, pagare le tasse solo sul 10% dello stipendio. Ma cosa ne pensano i lavoratori e le lavoratrici qualificate che rientrano dall’estero? L’intervista a Michele Valentini, leader della community Gruppo Controesodo, ai microfoni di Virgilio Notizie.

La community dei “cervelli in fuga”

In Italia c’è una community, Gruppo Controesodo, che è nata nel 2015 con l’obiettivo di essere un punto di riferimento – senza scopo di lucro – per lavoratori altamente qualificati rientrati in Italia dall’estero, dando anche informazioni e strumenti in fatto di agevolazioni.

Michele Valentini la anima con Francesco Rossi per “rappresentare chi dall’estero si trasferisce in Italia per motivi di lavoro – o chi intende farlo – agli occhi della politica”.

Anna Maria Bernini, ministro dell’Università e della Ricerca

Il tema sollevato dalla ministra Anna Maria Bernini li ha coinvolti in passato in prima persona: “Ora abbiamo qualche capello bianco in più ma continuiamo a farlo perché ci crediamo”.

L’intervista a Michele Valentini

Di seguito, l’intervista concessa da Michele Valentini a Virgilio Notizie.

La fuga di cervelli dall’Italia può essere fermata? L’Italia può essere attrattiva? 

“L’attrattività c’era. Sono in vigore a oggi delle norme – alla cui scrittura abbiamo collaborato anche noi – molto buone per chi vuole rientrare dall’estero in Italia per ragioni lavorative. Lo testimoniano i dati ministeriali che mostrano un aumento dei rientri di più del 40% in un solo anno, dal 2020-21, quindi tra l’altro periodo di Covid con gli spostamenti internazionali di fatto quasi bloccati. Si tratta di 21 mila beneficiari in questo momento sul territorio italiano dal 2019 a oggi. Parliamo del cosiddetto Dl Crescita del 2019, il DL 34/2019, che prevede la possibilità di godere di incentivi fiscali per un primo quinquennio con una detassazione del 70%, più un ulteriore quinquennio detassato al 50% se il contribuente si ‘radica’ sul territorio o acquistando una casa o mettendo su famiglia con prole. Abbiamo poi i dati in real time della nostra community e vediamo che fino a oggi, con queste norme ancora in vigore, i rientri continuano ad aumentare. Ed è qui che arriva un grande però“.

Però? 

“Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha fatto girare delle bozze di un decreto legislativo di attuazione della legge delega fiscale in cui è contenuta l’abrogazione dell’attuale normativa. O meglio: la descrivono come una modifica e l’introduzione di un nuovo regime. Peccato che così, oltre a creare scompiglio in chi sta rientrando e non sa bene cosa dovrà fare, si prevedano requisiti talmente stringenti per beneficiarne che di fatto non la userà più nessuno. È un abrogazione”.

Che requisiti prevede?

“Ne dico uno su tutti per rendere l’idea: sono previsti 5 anni di agevolazione fiscale con sconto del 50%, ma se il/la contribuente per un qualsiasi motivo torna all’estero in quei primi cinque anni, non solo deve restituire quanto ha avuto, ma deve anche pagare interessi e sanzioni. Nessuno sano di mente torna in Italia, inizia con un’agevolazione e poi se per qualsiasi ragione – anche un’emergenza – si ritrova a dover ritornare all’estero si mette nella condizione di rischiare di restituire tutto. L’abbiamo segnalato a gran voce al Governo e stiamo cercando di negoziare delle modifiche. Ma sembra che non ci siano spiragli, e che quindi l’idea sia quella di abrogare”.

Esistono due regimi degli impatriati: quello per i lavoratori e le lavoratrici e quello per chi è nel campo della ricerca. Come funziona? 

“Esatto: quello per la ricerca non è stato al momento toccato e prevede una detrazione del 90%. Per tutti i docenti e ricercatori che tornano a svolgere attività di docenza di ricerca in Italia è previsto uno sconto del 90% sulle imposte per sei anni, estendibili per un massimo di 13 anni se si hanno più di tre figli. Su questo regime non sono previste modifiche, quindi per la ricerca non ci dovrebbero essere allarmi. Consideriamo però che tra i 21 mila soggetti beneficiari sul territorio, i ricercatori sono solo un migliaio. Il resto è tutto capitale umano altamente qualificato, professionisti: medici, avvocati, infermieri, informatici. Tutte persone tipicamente laureate che hanno svolto un’esperienza significativa di lavoro all’estero e che decidono di rientrare in Italia. Non solo: la norma attuale prevede una detassazione per i lavoratori che decidono di spostarsi a lavorare dal nord al sud dell’Italia simile a quella dei ricercatori (90% di sconto sulle imposte): nella bozza di decreto legislativo viene di fatto abrogato anche questo“.

Da cosa viene giustificata quella che per loro definite abrogazione della norma? 

“Il Governo cita la presenza di eccessivi abusi sulla normativa. Su questo rispondiamo chiaramente che gli abusi si possono diminuire, non azzerare, e che questo passa da maggiori controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate. Un organo ministeriale che dal Ministero dipende. Quindi il Ministero viene a dire ai cittadini che blocca una norma perché ci sono troppi abusi quando in realtà sono loro che devono aumentare le risorse per far sì che non ci siano abusi. Ogni norma è soggetta ad abusi: non si possono citare le storture come motivo per abrogarla. La norma funziona, fate in modo voi, Agenzia delle Entrate, di controllare meglio chi ne abusa. Non solo: al question time in Senato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha dichiarato che questa norma costa alle casse dello Stato 1,3 miliardi di euro. Abbiamo le prove che non è così: le relazioni tecniche propedeutiche alla normativa, tutte, preparate dalla Ragioneria dello Stato, sempre un organo ministeriale, dicono che la norma non costa nulla alle casse dello Stato. E il motivo è molto semplice: è molto meglio avere un contribuente che paga le tasse alle casse dello Stato che non averlo. Quindi noi siamo sul piede di guerra: vediamo una manipolazione della realtà da parte della politica. Lo abbiamo rinunciato con una lettera aperta al viceministro dell’Economia, Maurizio Leo”.

Avete ricevuto risposte? 

“No. Abbiamo un dialogo aperto con la segreteria tecnica del viceministro, ma si tratta di un flusso abbastanza unilaterale dove noi proponiamo delle modifiche e la risposta è un gran pollicione all’insù. Ricevuto, insomma, e niente altro. Avevamo comunque già dialogato con il Ministero nei mesi scorsi per capire quali fossero le intenzioni. Erano state evidenziate alcune criticità su cui noi concordiamo. Per esempio ci era stato detto che non è giusto che la normativa si applichi anche alla categoria dei calciatori. Ben venga, nessun problema, basta fare una modifica e prevedere che non sia applicabile a cittadini che non hanno la laurea. Ci è stato detto che per esempio due anni all’estero come requisito è troppo poco per rientrare ed essere un beneficiario. Nessun problema, abbiamo detto, aumentiamo il periodo a quattro anni. C’era tutta la volontà di dialogare per modificare i requisiti per rendere la norma più forte contro gli abusi. Ma poi si arriva a questa che è di fatto un’abrogazione, e questo per noi è inaccettabile”.

Ma poi di quanti abusi parliamo? 

“Non è un dato che abbiamo chiesto (né che è stato dato), perché per noi la questione degli abusi non è assolutamente un presupposto a qualsiasi ragionamento. A livello empirico posso dire che ne vediamo una percentuale veramente bassissima. Parliamo di, come si direbbe in inglese, single digit: se anche dovessimo ipotizzare un 5% di persone che beneficiano del rientro senza averne i requisiti, la facciamo pagare al restante 95%? Una cosa ci tengo a dire: nell’agenda di Governo ai primi posti c’è l’attenzione alla natalità. E così invece l’Esecutivo butta giù una norma che tutela chi fa più figli. Non c’è coerenza”.

Al momento da dove vengono le persone che rientrano a lavorare in Italia? 

“Il flusso è maggiore dall’Unione europea, post Brexit abbiamo registrato un forte incremento dal Regno Unito. Anche quello degli Stati Uniti è un grosso bacino. Dati inferiori si registrano invece nei rientri da Asia, Australia e America Latina”.

Nel resto d’Europa come funziona? 

“Sono previsti sconti soprattutto per i lavoratori che rientrano, meno per la ricerca. Sono norme presenti sia in Spagna sia in Francia, anche in Olanda, e sono più deboli rispetto a quella attualmente in vigore in Italia in termini di quantum delle agevolazioni. In Francia per esempio è prevista una detassazione del 35% dei redditi per 5 anni, mentre in Italia, al momento è il 70%, quindi il doppio. Ma, mi permetto di dire, dato lo stato di salute del mercato del lavoro in Italia, è giusto che sia così”.

Fonte foto: 123RF

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