Filippo Turetta e l’infermità mentale, la possibile strategia difensiva dei legali: intervista allo psichiatra
Lo psichiatra Enrico Zanalda sulla possibile strategia difensiva di Filippo Turetta dopo l'omicidio di Giulia Cecchettin: l'infermità mentale
Filippo Turetta è nel carcere di Montorio, a Verona, per l’omicidio di Giulia Cecchettin, l’ex fidanzata uccisa a coltellate sabato 11 novembre a Fossò. Mentre infuria la polemica, sollevata dagli altri detenuti, per il presunto trattamento da vip del giovane, che avrebbe ricevuto libri e permessi extra, i suoi genitori hanno preferito rinunciare all’incontro in cella inizialmente fissato dopo l’interrogatorio davanti alla gip, assistito dagli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera. L’altra polemica – a cui ha fatto cenno anche la famiglia della vittima, attraverso il rispettivo legale – riguarderebbe l’ipotesi che la difesa possa chiedere l’infermità mentale per Turetta. Ma quali sono i requisiti e l’iter della procedura? Cosa potrebbe cambiare per il detenuto? Le risposte di Enrico Zanalda, presidente della Società di psichiatria forense, nell’intervista concessa a Virgilio Notizie.
- La confessione di Filippo Turetta: il raptus
- L'autopsia sul cadavere di Giulia Cecchettin
- L'intervista a Enrico Zanalda
La confessione di Filippo Turetta: il raptus
Filippo Turetta ha confessato l’omicidio di Giulia Cecchetin prima alla polizia tedesca dopo l’arresto in Germania, avvenuto di fatto una settimana dopo l’aggressione fatale.
Poi ha ripetuto quelle dichiarazioni anche alla giudice per le indagini preliminari, nel primo interrogatorio in Italia, martedì 28 novembre. Nel secondo, quello dell’1 dicembre con il pm Andrea Petroni, durato circa 9 ore, Turetta avrebbe ri-confessato l’omicidio, ma avrebbe anche dichiarato che si sarebbe “scattato qualcosa in testa“. Un raptus: secondo la sua versione, quindi, non ci sarebbe stata premeditazione.
L’autopsia sul cadavere di Giulia Cecchettin
Nel frattempo venerdì 1 dicembre è stata effettuata l’autopsia sul cadavere di Giulia Cecchettin.
La giovane sarebbe morta per emorragia dopo una ventina di coltellate sferrate da Turetta, colpita anche con violenza.
L’intervista a Enrico Zanalda
Ai microfoni di Virgilio Notizie è intervenuto Enrico Zanalda, presidente della Società di psichiatria forense, che ha spiegato come la procedura legata all’infermità mentale “è complessa ed è fondamentale che queste valutazioni siano affidate a professionisti specializzati nel campo psichiatrico-forense. In ogni caso, dagli elementi desumibili del caso di Turetta, è più facile ipotizzare un disturbo di personalità che è diventato infermità penalmente rilevante dopo il 2005”.
Qual è l’iter che si dovrebbe seguire?
“L’iter prevede che in fase d’indagine il pubblico ministero (pm, ndr) può richiedere una consulenza tecnica psichiatrica per valutare la capacità di intendere e volere del reo/imputato al momento del fatto. Quando la situazione è particolarmente eclatante si preferisce fare indire dal giudice per le indagini preliminari (gip, ndr) una perizia nella formula dell’incidente probatorio, in cui si valuta la condizione psicopatologica dell’imputato nel momento dei fatti e nella situazione attuale”.
Cosa cambia, ai fini dell’esito del processo, se si esclude la capacità di intendere e volere?
“Una volta individuata l’infermità mentale, si deve comprendere se questa ha escluso o grandemente scemato la capacità di intendere e volere del soggetto al momento dei fatti. Nel caso in cui siano escluse, il soggetto viene ritenuto non imputabile, in base all’articolo 88. Se, invece, la capacità di intendere e volere è grandemente scemata, si applica l’articolo 89 che determina una riduzione di 1/3 della pena”.
Si può in qualche modo ridurre la pena o si valuta anche una eventuale pericolosità sociale?
“Nei soggetti per cui viene riconosciuta un’infermità mentale si deve valutare la pericolosità sociale che, se presente, prevede l’applicazione della misura di sicurezza. L’infermità può essere una cosiddetta franca patologia di mente, come nel caso dei disturbi psicotici, come ad esempio la schizofrenia. In questi casi è più facile arrivare a un accordo tra gli psichiatri che partecipano alla perizia. A volte, invece, rientrano nell’infermità mentale anche i disturbi di personalità in cui la rilevanza sul reato è più opinabile. In questi casi il consulente della difesa tende a sostenere una semi-infermità di mente, mentre quello della Procura una piena capacità”.
Come si arriva a una decisione?
“In questi casi deve essere tenuta in grande considerazione la storia clinica del paziente, il funzionamento sociale fino al momento del fatto. Sono quei casi che giungono all’osservazione psichiatrica al momento del reato. In ogni caso, di grande importanza è la dinamica del delitto che deve essere correlata alla psicopatologia, altrimenti può esserci la piena capacità anche se si tratta di un paziente psicotico”.
Se il soggetto viene giudicato incapace di intendere e volere, dunque non è riconosciuto il dolo, come può essere compatibile con una ammissione del reato? È possibile una confessione, ma anche una incapacità di intendere e di volere?
“Nel caso della incapacità totale non vi è il dolo libero dall’infermità che esclude così la capacità di intendere e di volere, ed è difficile che ci sia l’ammissione del reato o una confessione. Bisogna che il reo non abbia consapevolezza del valore del proprio atto al momento in cui lo ha commesso e per una persona in quelle condizioni non è frequente”.
Può fare qualche esempio che chiarisca la differenza?
“In questa casistica il racconto dell’indagato è solitamente molto diverso dalla realtà condivisa, per esempio commette il delitto sotto ordine di allucinazioni imperative che glielo hanno ordinato. Solitamente non c’è premeditazione e il reato viene ricostruito come parte di una realtà delirante, ad esempio il vicino di casa che interpreta i rumori come una persecuzione nei suoi confronti e a un certo punto non riesce più a sottrarsi alle allucinazioni che lo spingono a interrompere le continue provocazioni-minacce. Può esserci una comprensione del disvalore del proprio comportamento successiva alle cure, se viene recuperato un adeguato rapporto con la realtà. Ad esempio, in alcuni casi di depressioni gravissime con un delirio di rovina, il paziente commette un delitto per sottrarre la vittima alla rovina. Solo successivamente si renderà conto che il vissuto della rovina era legato alla sua condizione di gravissima depressione. Per quanto si può comprendere dalle cronache tuttavia non sembra la situazione clinica del signor Turetta”.
È possibile arrivare a dichiarare incapace di intendere e di volere un soggetto anche se non ha una storia pregressa di disturbi psichici/psichiatrici?
“È possibile, ma piuttosto raro, anche se due condizioni possono favorire questa situazione: da un lato l’insorgenza in giovane età di molti disturbi psichiatrici come la schizofrenia e dall’altro la paura, lo stigma che accompagna la malattia mentale. Spesso alcuni disturbi vengono nascosti o sottovalutati dal paziente, ma anche dalla famiglia e dall’ambiente sociale. Noi specialisti riusciamo a intercettare gli esordi psicotici solo alcuni anni dopo l’inizio della sintomatologia. Questo ritardo non giova alla prognosi, poiché è ampiamente dimostrato in letteratura che prima si riesce a intervenire con la terapia, migliore è la prognosi del disturbo. Questo, quando intercettato precocemente, può essere risolto con la guarigione”.
In conclusione, in che modo tutte queste valutazioni possono influenzare la valutazione complessiva della sua responsabilità penale?
“Nel caso di applicazione dell’articolo 88 del codice penale, viene dichiarato prosciolto e non imputabile: è come se non avesse commesso il fatto perché manca il dolo. Non essendo stato giudicato secondo le norme del codice penale, non risponde nemmeno civilmente del fatto: non deve risarcire la vittima nemmeno economicamente e nel caso di delitto contro un parente non viene nemmeno escluso dall’eredità”.
Ma cosa risponde a chi definisce una scorciatoia quella dell’infermità mentale?
“Non può essere considerata una scorciatoia, ma un doveroso accertamento atto a definire la responsabilità dell’indagato/imputato attraverso una rigorosa metodologia. Questo avviene attraverso un’approfondita valutazione clinica-psichiatrica accompagnata da un’analisi psichiatrico-forense della possibile relazione tra stato di mente alterato dall’infermità e il delitto commesso. Da qui risulta fondamentale che tali valutazioni vengano affidate a professionisti specializzati nel campo psichiatrico-forense”.