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Elezioni Europee da Giorgia Meloni a Elly Schlein e Vannacci, i voti alla comunicazione: parla l'esperto

Dalla scelta di Meloni di personalizzazione (“Vota Giorgia”) all’arma a doppio taglio di Salvini, che ha puntato sul generale Vannacci: l’analisi dell’esperto di comunicazione politica Luigi Di Gregorio

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Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

Le elezioni Europee sono sempre più vicine. Le liste sono state depositate e si inizia a ipotizzare che tipo di Europa uscirà dal voto di giugno. Ursula von der Leyen ha annunciato l’intenzione di tentare un secondo mandato alla guida della Commissione europea. La presidente uscente, 65 anni, ha ottenuto la nomina come candidato principale al congresso elettorale del Partito popolare europeo (Ppe)  capolista – il cosidetto Spitzenkandidat –, ma un eventuale bis non è affatto scontato. Sarà fondamentale la comunicazione politica, così come per tutti i candidati. Compresi quelli italiani, da Giorgia Meloni a Roberto Vannacci. Chi sta andando meglio secondo l’esperto, Luigi Di Gregorio, professore aggregato di Scienza Politica, Docente di Comunicazione pubblica, politica e sfera digitale, e di Web e social media per la politica presso l’Università della Tuscia.

Elezioni Europee tra guerra in Ucraina e in Medio Oriente

Le elezioni europee rappresentano anche un banco di prova a livello nazionale per diversi Paesi, come l’Italia.

A pesare, poi, ci sono anche i venti di guerra alle porte dell’Unione, dalla crisi ucraina – tutt’altro che risolta – a quella in Medio Oriente tra Israele e Hamas, che pesa sulla campagna elettorale americana e ha anche alimentato le proteste degli studenti nelle università, sia in Italia sia in altri Paesi europei.

Mario Draghi e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea

L’intervista a Luigi Di Gregorio

Quali sono temi che stanno tenendo banco in queste settimane di campagna elettorale a livello europeo e italiano?

“Direi che non c’è un tema dominante. Piuttosto, hanno tenuto banco soprattutto le candidature, il che non sorprende in un’epoca di politica personalizzata e in un’elezione particolare come quella per il Parlamento europeo, nella cui campagna elettorale di solito si parla poco di Europa. Abbiamo discusso soprattutto di “Giorgia” – uso il nome e non il cognome appositamente – di Vannacci, di Schlein, di Ilaria Salis, di Calenda e Renzi candidati all’ultimo momento… Anche le prime uscite di comunicazione sono spesso personalizzate: ‘Con Giorgia, l’Italia cambia l’Europa’ di Fratelli d’Italia, ‘Più Italia, meno Europa’ della Lega col volto di Salvini al centro. Il partito che mi sembra puntare più sui temi sembra il PD, che ha lanciato una campagna multisoggetto su sanità, ambiente, inclusività, lavoro e pace. Ma molto generica, devo dire. Non ci sono proposte specifiche e non mi pare in grado di dettare l’agenda della campagna”.

Da esperto di comunicazione, ritiene che possano incidere sull’opinione pubblica nazionale, in particolare italiana, o a pesare sulle scelte saranno altre dinamiche? Nella seconda ipotesi, cosa orienterà gli elettori italiani?

“Le elezioni europee, non solo in Italia, sono spesso considerate second order elections’. Vuol dire che sono elezioni nazionali di secondo ordine, una specie di elezione di mid-term, metà mandato. Non deve sorprendere dunque che si parlerà poco di Europa e molto di Italia, con una dialettica tipica da campagna permanente, tra maggioranza e opposizione. Non a caso, ad esempio, Elly Schlein continua a spingere sul salario minimo e sulla sanità, che sono temi prevalentemente italiani. Come è noto, diversi partiti puntano sulla “pace” come tema dominante, ma sinceramente non credo che questo possa spostare alcun voto. Tutti vogliono la pace, messa così non è una proposta politica distintiva.

Quanto pesano le crisi che si stanno registrando fuori dai confini europei, come quella mediorientale?

“Peseranno molto di più negli Stati Uniti, perché sono un paese in cui la politica internazionale ha sempre avuto un peso rilevante, per ovvie ragioni. In Italia, sono notizie che tengono banco sicuramente, ma non credo spostino alcun voto”.

Ursula von der Leyen è candidata per un mandato bis, ma in molti ritengono che le chance di ottenerlo siano minime. È d’accordo e perché?

“Sinceramente non vedo altri candidati più forti, specie in Consiglio europeo. Ricordiamo che è il Consiglio a proporre al Parlamento un nome, votando a maggioranza qualificata. Poi il Parlamento si esprime a maggioranza semplice e lì dipenderà ovviamente dalla nuova composizione. Ma, di nuovo, tra quelli attualmente in corsa non vedo altri nomi messi meglio di Von der Leyen. Potrebbe rischiare solo qualora non si raggiungesse alcuna maggioranza in Parlamento e si arrivasse a fare ipotesi del tutto estranee ai nomi fatti dai gruppi europei fino ad ora”.

Nei giorni scorsi si è fatto anche il nome di Mario Draghi. Quanto può essere fondata l’ipotesi di un suo ruolo importante nella futura Europa?

Il nome di Mario Draghi tornerà a fare capolino anche nel momento in cui presenterà il report sulla competitività dell’Unione, dopo le elezioni europee. Dato il suo standing e il suo profilo, non mi aspetto che si candidi a nulla. Non farà lui il primo passo rischiando di bruciarsi. Piuttosto aspetterà che qualche capo di governo lo proponga per presiedere la Commissione o più probabilmente il Consiglio. Difficile però dire oggi quante chances ci siano che ciò accada. Peraltro, non conosciamo neanche le reali intenzioni di Mario Draghi, ovvero quanto sia interessato a questi incarichi”.

Guardando all’Italia,  dopo le scelte di candidarsi da parte dei principali leader di partito, il voto europeo può essere considerato un banco di prova per il Governo?

“Sicuramente sì ed è un voto che è sempre stato interpretato così. È l’unica elezione di portata nazionale tra un’elezione politica e l’altra, per cui automaticamente viene letta in quei termini. In Italia, siamo capaci di trasformare anche le elezioni regionali in Molise in un test nazionale, figuriamoci le Europee. Ed è proprio per questo che Giorgia Meloni è non solo candidata in tutte le circoscrizioni, ma lei stessa è diventata di fatto ‘la campagna elettorale’ di Fratelli d’Italia”.

Secondo lei chi, al momento, sta mettendo in atto una comunicazione più “efficace” e perché?

“È presto per dirlo. In questa fase, molto incentrata su leader e candidature, direi che Giorgia Meloni ha tenuto banco, anche per la sua indicazione di scrivere solo “Giorgia”, una trovata efficace che ha dettato l’agenda per giorni. Meno bene Elly Schlein che ha intrapreso un braccio di ferro – perdendolo – col suo stesso partito sulla questione del nome sul simbolo. Sono due vicende che hanno messo in mostra due partiti strutturalmente e concettualmente diversi, ma anche due leadership diverse, una molto più ‘in forma’ dell’altra. Per il resto, poco da segnalare”.

Se Schlein e Meloni sono in corsa, Conte ha deciso di non candidarsi e di puntare sul messaggio pacifista. In compenso la Lega ha giocato la carta del generale Vannacci. Cosa ne pensa, a livello comunicativo?

“Anche Tajani, Renzi e Calenda sono in corsa. Conte ha deciso di non farlo, puntando proprio su questa scelta distintiva come ‘arma’ elettorale, del tipo ‘io non prendo in giro gli italiani. Sull’elettorato tradizionalmente 5 Stelle può funzionare. Sugli altri meno perché gli italiani sanno benissimo che quelle candidature sono simboliche e non si aspettano che quei leader vadano a Bruxelles e Strasburgo. Caso diverso è quello di Salvini che ha a che fare con una leadership in crisi da tempo e per questo ha deciso di non candidarsi e di puntare tutto sul generale Vannacci. Tuttavia, le reazioni interne al partito non stanno sostenendo questa scelta che è comunque sui generis: normalmente il candidato in tutte le circoscrizioni è il leader di partito. Dunque Vannacci è un’arma a doppio taglio per Salvini: se va male, la scelta del vicepremier si rivelerà perdente; se va molto bene, Salvini rischia di coltivarsi in seno un competitor per la leadership della Lega”.

Fonte foto: ANSA

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