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Diana, uccisa dalla madre Alessia Pifferi: perché la donna ha commesso il crimine e non è pentita

Cosa c'è dietro l'efferato figlicidio compiuto con estrema freddezza da Alessia Pifferi. La spiegazione del criminologo e la previsione sul futuro

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Antonio Leggiero

CRIMINOLOGO E DOCENTE IN CRIMINOLOGIA

Antonio Leggiero è un Criminologo, Avvocato e Docente in Criminologia per conto di Università e Istituti di Alta Formazione, avendo ricoperto inoltre - per un decennio - il ruolo di Direttore didattico-scientifico di diversi Master in Criminologia, Scienze Forensi e Corsi di Perfezionamento nelle principali città d’Italia. E' stato Consulente Tecnico in delicati procedimenti penali, Criminologo Investigativo in diversi processi per omicidio. Ha all’attivo, inoltre, numerose pubblicazioni sia in campo criminologico che storico, con decine di articoli divulgativi e scientifici editi nelle principali Riviste scientifiche.

Pur essendo trascorsi ormai diversi giorni dal terrificante crimine di una madre che ha lasciato deliberatamente morire la propria figlia di 16 mesi, non si è ancora spenta – com’è giusto che sia – l’agghiacciante eco che solo un delitto del genere, perpetrato su un’anima indifesa da poco più di un anno venuta in vita, può produrre. A maggior ragione se compiuto dalla propria madre.

Un appunto sulla condanna a morte

Prima di entrare nella disamina criminologica dell’orrendo delitto, va affrontato preliminarmente un argomento scomodo, come si suol dire “politicamente scorretto”. Mi riferisco alla sanzione per questi crimini così efferati e feroci. Quindi, alla pena di morte.

Com’è noto, la pena capitale nel nostro ordinamento è stata abolita. Addirittura, (uno dei pochi casi al mondo) anche dal codice penale militare. Chi scrive, pur essendo in astratto favorevole in ipotesi estreme, è in concreto contrario per l’inaccettabile elevato margine di errore insito nella condanna, oltre che per le note motivazioni etico-morali.

Tuttavia, senza nascondersi dietro un dito, in questi casi il dubbio sussiste. Sono ipotesi paradigmatiche sulle quali il dibattito si accende e si infervora. Fermo restando che è acclarato il dato incontrovertibile della scarsa proficuità, in termini di deterrenza, di tale sanzione estrema.

Basti pensare agli USA, dove buona parte degli Stati ha nel proprio ordinamento la pena capitale. Nondimeno hanno il triste primato di essere una delle nazioni a più alto tasso di criminalità del mondo. È un argomento scomodo, ma che andava, non dico affrontato, ma quanto meno accennato. Ognuno nella sua coscienza ne trarrà le sue personali conseguenze.

La ricostruzione della morte di Diana

Una donna, Alessia Pifferi, di 37 anni, il giorno giovedì 14 luglio lascia la torrida Milano per un week-end a Leffe in provincia di Bergamo, sua zona d’origine. Sembra un normale episodio di vita quotidiana, di una persona come tante altre. Una normale escursione estiva.

E, invece, no. È l’inizio di un lungo, dolorosissimo, calvario per un altro piccolo essere umano, che si concluderà con la morte di una povera bambina di 16 mesi di nome Diana. La piccola, infatti, è venuta al mondo il 29 gennaio 2021.

La donna è la madre della piccola. Da quello che emerge ha preparato e programmato tutto da tempo. Ha elaborato un piano crudelmente perverso e feroce per uccidere la propria bambina: uno dei peggiori e maggiormente diabolici che un essere umano possa mai concepire. Infatti, l’ha lasciata sola in casa, sedata e condannata a morire di inedia.

Mentre l’orrendo delitto si compiva, lei – in tutta tranquillità – condivideva con il suo attuale compagno momenti di relax e di divertimento. Nel frattempo il corpicino della bambina pativa indicibili sofferenze per la lunga assenza di somministrazione di acqua e di cibo, prima di spegnersi.

È appena il caso di ricordare che si tratta di un supplizio durissimo. Uno dei modi peggiori di perpetrare la morte.

La preparazione: meticolosa e orrenda

Alessia Pifferi sembra aver predisposto tutto nei minimi dettagli, con incredibile ed inusuale freddezza mista a cinismo, caratteristiche esclusive di determinate personalità criminali particolarmente crudeli e spietate. Probabilmente, ha provato il diabolico piano altre volte, prima di giungere all’azione esiziale.

Psicofarmaci e scarsa alimentazione. Un cocktail micidiale che produce quasi sempre effetti letiferi e fatali. Sia sugli adulti che, a maggior ragione, sui bambini (in particolar modo piccolissimi).

La preparazione meticolosa, la macchinazione dettagliata, l’esecuzione micidiale sono tutti elementi che depongono a favore di una lucidità dell’azione e di una capacità di intendere e di volere al momento del fatto.

Naturalmente, sulla base di quanto trapela, visto che l’accertamento del dato tecnico processuale – inerente al reale stato mentale della donna al momento del delitto – sarà di competenze esclusiva del perito psichiatrico in sede giudiziaria.

La versione resa da Alessia Pifferi

Alessia Pifferi, dopo il fermo e la custodia in carcere disposta a San Vittore, ha fornito delle improbabili ed implausibili argomentazioni, nel tentativo disperato di giustificare o quanto meno attenuare in qualche modo l’orrido misfatto perpetrato.

Ha enfatizzato il suo desiderio di strutturare una relazione stabile e duratura con il suo attuale compagno, esigenza che per lei in questo momento rappresentava una necessità primaria, la quale – a suo dire – l’ha condotta a sottovalutare e finanche ad ignorare il gravissimo pericolo di vita che correva la bambina.

Si è difesa dicendo che già altre volte l’aveva lasciata sola con ciò che le serviva, sempre per motivi validi, e non era mai successo nulla. Per questo, sulla scorta della sicurezza di esperienze pregresse, era stata azzardata.

Al di là delle surreali argomentazioni addotte agli inquirenti, la donna non ha mai perso la calma, ostentando sempre freddezza emozionale e distacco.

Un palloncino davanti al cancello dell’abitazione in cui è morta la piccola Diana.

Gli orribili retroscena del figlicidio

Alessia Pifferi quindi è partita dalla torrida metropoli meneghina giovedì 14 luglio. È stata assente per ben 6 giorni ed è tornata mercoledì 20 luglio. Al suo arrivo il cuore del piccolo corpicino di Diana aveva smesso di battere per sempre.

Quando è partita avrebbe somministrato un potente sedativo alla bambina, l’ha adagiata su un improvvisato lettino da campeggio, le ha lasciato accanto un biberon di latte e se n’è andata. Come se avesse lasciato una bambola. Un oggetto inanimato. Giunta a Leffe ha raccontato, lucida e menzognera, che la figlia era al mare con la sorella.

Fra l’altro, in questo lasso di tempo di sei lunghi giorni e sei lunghe notti, la donna ha avuto occasione di tornare a Milano con il suo nuovo compagno, che aveva un appuntamento di lavoro. Ciononostante, non ha pensato minimamente di passare per casa a verificare le condizioni della bambina.

Allo stesso modo, avrebbe potuto incaricare la sorella di accudire la piccola in quei giorni, ma non l’ha fatto. Sono comportamenti indicativi di una crudeltà spaventosa che albergano in una criminale fredda, lucida e razionale.

Perché ha lasciato morire la figlia?

È questo il cuore del problema, il vero punctum dolens della questione. Perché Alessia Pifferi ha ucciso in questo modo spietato la sua piccola bambina di appena un anno e mezzo? Pazza, criminale pura, indemoniata, drogata?

Si può affermare – da quello che trapela dai media – che nella sua personalità criminale sono presenti elementi che partecipano di diverse nature perverse. Una sorta di mix criminogeno ad altissima potenza.

Preliminarmente va detto che una persona normale, nell’accezione comune di sana di mente, non compie un simile misfatto.

Pertanto, a livello psichico, di base c’è sicuramente la presenza di patologie afferenti la sfera mentale, di vario grado ed intensità, che soltanto professionisti esperti che lavorano in carcere e studieranno la personalità del soggetto in questione per un lungo periodo potranno enucleare.

Al tempo stesso, c’è nella donna una fredda componente di psicopatia – dal punto di vista dell’analisi criminologica – che l’ha condotta a preparare ed a compiere un orrore di tale entità, con una così marcata e spiccata freddezza, anaffettività, assenza di rimorso e cattiveria. Tutti elementi tipici della personalità psicopatica, intesa come una forma di sociopatia estrema.

Inoltre, altro tratto caratteristico di questi soggetti, è la notevole capacità menzognera. Infatti, molti testimoni asseriscono che Alessia Pifferi era solita farsi passare, con chi non la conosceva, come una psicologa infantile.

Questa sua millanteria deporrebbe a favore della presenza di tratti di pericolosa e perversa ambiguità personologica nei confronti dei bambini, imperniati sull’antico binomio amore-morte, Eros-Thanatos.

Non a caso, la motivazione sulla quale poggia giuridicamente la misura cautelare della custodia in carcere è quella della reiterazione del reato.

Ipotesi criminologiche specifiche del caso

Purtroppo – ciò è indubitabile – la donna in questione va sussunta nel novero criminologico delle madri figlicide, delle quali si è avuto modo già di dissertare.

Questa categorizzazione è a livello di genus. Tuttavia, essendo la tipologia di queste assassine composita e variegata, va individuata e specificata la categoria.

Ebbene, per quanto riguarda la species potrebbe essere annoverata nelle madri che uccidono i figli indesiderati, non voluti, che non hanno mai accettato né considerato come loro prole, hanno provato sempre un forte rifiuto verso di loro e spesso cercano in tutti i modi di liberarsene, anche uccidendo in modo brutale (come nel caso in questione). Questo da un punto di vista criminogenetico e criminodinamico.

Infatti, sembrerebbe che Alessia Pifferi abbia concepito la povera Diana nel corso di una relazione ambivalente e problematica, con la piccola nata a seguito di una gravidanza non voluta con un precedente partner.

Conseguentemente, per una sorta di blocco psichico-emozionale-affettivo, la stessa non avrebbe mai maturato e sviluppato i fisiologici sentimenti di bene e di amore, nonché di cura e di assistenza, che ogni madre elabora per la propria prole.

Questa interpretazione è avvalorata da numerose testimonianze, in base alle quali nessuno avrebbe mai visto madre e figlia insieme, non sarebbero mai stati evidenti momenti di tenerezza espressivi di un sano legame affettivo materno-filiale e la bambina – come una “figlia della colpa” – sarebbe sempre stata tenuta isolata, quasi nascosta, senza alcuna partecipazione alle dinamiche esistenziali della madre.

Perché ha abbandonato Diana solo ora

In base ad indiscrezioni, la donna avrebbe già in altre circostanze messo in atto delle “prove” della tragedia, che poi avrebbe verosimilmente interrotto.

La circostanza che questa volta sia andata fino in fondo, giungendo alle estreme conseguenze, potrebbe spiegarsi con il fatto che stava per costruirsi una nuova vita con un nuovo compagno.

Conseguentemente, per le perverse ed alterate dinamiche intrapsichiche della donna, la bambina, mai accettata, mal sopportata, peggio tollerata, sarebbe diventata di colpo una presenza tragicamente ingombrante da sopprimere.

A quel punto, Alessia Pifferi ha eliminato ogni dubbio ed incertezza, ha fugato ogni esitazione e titubanza ed ha posto in essere – con lucida crudeltà omicidiaria – un delitto al quale pensava da tempo.

Cosa succederà ora ad Alessia Pifferi

A questo punto del commento alla spaventosa tragedia, il discorso – come in un perverso cerchio magico – ritorna al punto di inizio: quello della pena, vale a dire l’aspetto sanzionatorio.

Al riguardo, si può agevolmente essere delle valide Cassandra. Sicuramente la donna subirà la sua giusta sanzione. Tuttavia – sulla scorta di sconcertanti e ripetute esperienze passate (troppe) ed alla luce di un eccessivo indulgenzialismo misto a ipergarantismo del nostro sistema – le perplessità sul futuro (carcerario) della madre assassina sono forti e fondate.

Verrano sicuramente ad emergere degli elementi notevoli di favor rei, ci saranno delle considerazioni di tutela della donna (paradossalmente anche come madre), saranno invocati e probabilmente riconosciuti dei dati valutativi di riduzione e/o abolizione dello stato di coscienza al momento del fatto.

La stessa, fra qualche anno, inizierà ad entrare nel circuito premiale, delle misure alternative, della decarcerizzazione e non è escluso che, nel giro di sette-otto, anni ritornerà a Leffe per i week-end.

Purtroppo, questo è il sistema normativo-giudiziario italiano, asimmetricamente sbilanciato verso il reo a tutto danno della vittima. Senza però dimenticare che dietro ogni assassino è sempre presente, come il fantasma del re Banco, l’ombra della vittima.

Fonte foto: IPA

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