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Dalle "grandi dimissioni" al "grande rimorso": trovare lavoro è diventato più difficile del previsto

Dopo la pandemia milioni di lavoratori in tutto il mondo hanno optato per le dimissioni, ma la ricerca di un nuovo posto è stata molto complessa

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Antonio Cardarelli

GIORNALISTA

Laurea in Scienze della Comunicazione alla Sapienza e master in Giornalismo Digitale alla Pul di Roma, è giornalista professionista dal 2007. Ha lavorato come redattore in diversi quotidiani locali e, successivamente, ha ricoperto lo stesso ruolo per siti di informazione nazionali, per i quali ha anche seguito i canali social.

Negli Usa sta prendendo piede un nuovo fenomeno che sembra la diretta conseguenza delle cosiddette “grandi dimissioni”, ovvero le migliaia di persone che hanno lasciato il proprio posto di lavoro durante o dopo la pandemia. Si tratta del “grande rimorso”, che riguarda le persone che si sono rese conto che cercare un altro lavoro – più adatto alle nuove priorità nate appunto con la pandemia – non era semplice come immaginavano.

Come sta cambiando il mercato del lavoro

Un recente sondaggio condotto da Harris Poll, che ha coinvolto duemila persone in cerca di lavoro negli Usa, ha evidenziato come il 70% abbia trovato più difficile del previsto la ricerca di una nuova collocazione. Sempre nello stesso sondaggio, emerge una tendenza maggiore rispetto a qualche mese fa a rimanere nel posto di lavoro attualmente occupato.

Il 17% degli intervistati ha detto che, in via teorica, vorrebbe cambiare lavoro, ma l’incertezza dell’economia e il probabile arrivo di una recessione li hanno indotti a preferire la sicurezza finanziaria del posto di lavoro che già occupano. In effetti molte aziende americano, soprattutto tra quelle tecnologiche come Meta, Peloton, Lyft, Twitter e Amazon hanno annunciato o si preparano ad annunciare migliaia di licenziamenti.

Il “grande rimorso” dopo le “grandi dimissioni”

Il 60% degli intervistati ha dichiarato che la ricerca di lavoro si è trascinata per oltre sei mesi, con oltre 50 tentativi. Non sorprende, quindi, che il 51% degli intervistati reduci dalle grandi dimissioni sia pronto ad accettare praticamente qualsiasi offerta di lavoro.

Il pentimento post dimissioni era già emerso a luglio 2022, quando un rapporto di Joblist aveva evidenziato il rammarico da parte del 25% che aveva lasciato il lavoro durante la pandemia.

Secondo un altro sondaggio di Harris, inoltre, un terzo degli intervistati pentiti di aver lasciato il lavoro non ha trovato ciò che cercava nel nuovo impiego, a partire da un miglior equilibrio tra vita privata e professionale.

Aumenta il pentimento tra i lavoratori che si sono dimessi dopo la pandemia

Cosa sono le “grandi dimissioni” post pandemia

Con il termine “grandi dimissioni” si intende il fenomeno, cominciato con il Covid-19, che ha visto i lavoratori lasciare in massa la propria occupazione, una tendenza cominciata negli Usa e poi arrivata anche in Europa.

L’Italia è stata interessata da questo fenomeno: nel 2021 1.925.371 persone hanno lasciato il lavoro, con una crescita del 33% rispetto all’anno precedente. Le dimissioni volontarie sono arrivate a rappresentare il 67% delle cessazioni totali dei rapporti di lavoro. Una tendenza proseguita nei primi sei mesi del 2022 quando, secondo i dati dell’Osservatorio sul precariato Inps, 1.080.245 persone ha optato per le dimissioni, un incremento del 31% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Tuttavia, negli Usa le “grandi dimissioni” erano partite prima rispetto all’Europa, ed è quindi possibile che possa arrivare anche la tendenza successiva, quella del “grande pentimento”.

I motivi delle dimissioni in massa

Ma per quale ragione, dopo la pandemia, centinaia di migliaia di lavoratori anche in Italia si sono dimessi? Uno dei motivi è legato al periodo del lockdown, quando la maggior parte dei lavoratori ha svolto le proprie mansioni in modalità smartworking. Quell’esperienza, soprattutto tra i più giovani, ha portato alla ricerca di nuovi impieghi che possano garantire, almeno in parte, il lavoro a distanza e con una maggiore flessibilità di orari per gestire meglio la propria quotidianità.

Secondo uno studio del Politecnico di Milano, il 25% dei lavoratori dimissionari era alla ricerca di lavori più “agili”, ma l’83% degli intervistati ha citato tra i motivi principali delle dimissioni un malessere emotivo generato dall’assenza di riconoscimenti di merito e dal non sentirsi in linea con i valori dell’azienda.

Lavoro, le nuove priorità dei giovani

Questa mancanza di coinvolgimento si traduce spesso, per le aziende, nell’aumento del turn over dei dipendenti e le stesse aziende, sempre secondo la ricerca del Politecnico, hanno detto di avere difficoltà ad attrarre le nuove risorse indispensabili per aggiornare il proprio know-how alle esigenze del settore in cui operano.

Questo perché le potenziali “nuove risorse”, dopo l’esperienza della pandemia, non sono disposte ad accettare i vecchi modelli organizzativi. Come evidenziato in parte dalla stessa ricerca del Politecnico e confermato da uno studio dell’Aidp (Associazione Italiana del Personale) le motivazioni economiche figurano comunque tra le motivazioni principali delle dimissioni. Ma le stesse ricerche segnalano come, tra le generazioni più giovani, il fattore economico sia meno importante rispetto al benessere personale e all’equilibrio tra il tempo di lavoro e quello dedicato alla vita privata.

Non a caso i Millennial e la Generazione Z sono state ribattezzate Generazione Yolo, da “you live only once” (si vive una volta sola). Inoltre, questi giovani lavoratori sono molto sensibili anche all’allineamento dei valori personali con la mission aziendale.

Dimissioni, differenze tra uomini e donne

Spesso, però, la decisione di lasciare il lavoro non è una scelta libera, ma è dovuta all’impossibilità di conciliare lavoro e vita familiare. Un fenomeno che, secondo l’ultimo rapporto dell’ispettorato del Lavoro, riguarda principalmente le donne. Le dimissioni di dipendenti con figli fino a 3 anni, infatti, hanno interessato nel 77,4% dei casi donne e solo nel 22,6% gli uomini. Un dato in crescita rispetto al 73% registrato nel 2019.

Questi numeri indicano, quindi, che le “grandi dimissioni” per gli uomini sono motivate dalla ricerca di condizioni di lavoro migliori e più soddisfacenti, mentre per le donne si tratta quasi sempre di una scelta forzata. Come riassunto dal Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, le donne sono “le ultime a entrare e le prime a uscire dal mondo del lavoro”. E il dato sull’occupazione a livello europeo lo conferma: nel 2020 l’occupazione maschile nell’Unione era del 77,2%, quella femminile del 66,2%.

Fonte foto: ANSA

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