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Coronavirus: "rischio burnout" per medici e infermieri, cos'è

Secondo gli esperti, il 50% degli operatori sanitari rischierebbe un tracollo psicologico, con sintomi molto pericolosi

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

La pandemia causata dal nuovo coronavirus ha messo in ginocchio la sanità italiana per via dei pochi posti letto di terapia intensiva e la scarsità di dispositivi di protezione personale. A questo si aggiunge il pericolo serio di burnout professionale tra medici e infermieri, impegnati da settimane in trincea nella guerra contro la Covid-19.

Gli stessi operatori sanitari hanno chiesto aiuto, un sostegno per allentare l’ansia, le paure e l’impotenza di questo periodo nero. Aziende sanitarie e ospedali, riporta l’Ansa, li hanno ascoltati, e stanno partendo in tutta Italia gruppi di ascolto psicologico e colloqui singoli con psicoterapeuti e psichiatri.

All’ospedale Sacco di Milano è stato messo a disposizione il servizio ‘Sos Stress‘ per gli operatori sanitari in prima linea, mentre l’Asl Roma 1 ha attivato una linea telefonica dedicata.

All’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, alla fine dei turni, due volte al giorno, si tengono i ‘debriefing’. Incontri in cui medici e infermieri raccontano le esperienze della giornata, per alleggerire il duro fardello emotivo che sono costretti a portare sulle spalle.

Cos’è la sindrome da burnout professionale

La sindrome da burnout, nota anche con il solo termine burnout, è l’esito patologico dello stress che interessa i lavoratori, in particolare operatori e professionisti a contatto con il pubblico.

In psicologia del lavoro, grazie alle ricerche di Maslach e Leiter, il burnout viene definito come un deterioramento della qualità del lavoro svolto e delle emozioni associate al lavoro a causa delle difficoltà riscontrate in campo professionale.

Come riporta un editoriale del New York Times a cura di Adam Grant, psicologo e docente della Wharton School dell’Università della Pennsylvania, “durante una pandemia, il rischio di burnout diventa ancora più importante” per gli operatori sanitari.

Già in situazioni normali il burnout interessa, secondo per l’esperto “più di metà dei medici e un terzo degli infermieri“.

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“Sono in tanti a volere assistenza. Raccontano di quei malati che chiedono aiuto con gli occhi, che ti si affidano completamente, che non riescono a respirare”, ha raccontato all’Ansa Emi Bondi, primario e direttore del Dipartimento di Salute mentale del Papa Giovanni.

“Qui a Bergamo ogni infermiere, ogni medico, ha dei contagi o dei lutti in famiglia per il Covid-19. Ma vengono a lavorare lo stesso. Come nel caso di una dottoressa di Alzano, che nel giro di una settimana ha perso il marito e la madre, ma nonostante tutto torna al suo posto. Per tutti loro il rischio burnout è altissimo”, ha continuato il primario.

“La loro vita, a cominciare dalle piccole cose, è totalmente stravolta“. E a questi traumi si aggiunge la paura di portare a casa il coronavirus, non rispettando le procedure di svestizione, magari per la stanchezza. E infettare così i propri familiari. Per questo molti medici hanno scelto di non tornare a casa e dormire nei pressi dell’ospedale.

“Poi c’è il rapporto con le famiglie dei pazienti. Nei reparti ci sono quattro medici a turno. Due di loro tengono anche i rapporti con i parenti. I pazienti che respirano con il casco, nei momenti in cui stanno meglio, chiedono di telefonare. I medici li aiutano anche con le videochiamate“, ha raccontato ancora Emi Bondi all’Ansa.

“E sono questi stessi medici che avvisano i familiari quando il malato non ce l’ha fatta. In questa situazione di continuo stress, con ritmi intensi e senza riposi, la vicinanza alle persone che ci lasciano, ecco, tutto questo li espone a un rischio di ‘bruciatura‘ mentale”, ha concluso il medico.

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Del rischio di rimanere ‘fulminati’, come si dice in gergo, ha parlato anche Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Salute mentale del Sacco di Milano: “Ogni mattina quando un medico, un infermiere mette piede in ospedale parte un turbinio incredibile”.

“Dal momento in cui si vestono e mettono le protezioni, non possono più bere, mangiare, andare in bagno, fumare una sigaretta. E fanno turni massacranti. Sono condizioni di grandissimo sacrificio. Ma allo stesso tempo sanno che bisogna mantenere lucidità di analisi, di giudizio, di intervento”, ha spiegato.

Rischiano di perdersi. Non bisogna arrivare a questo. Questi professionisti hanno bisogno di decompressione, ascolto e sostegno emotivo, perché per ognuno di loro, oltre ai turni, non dimentichiamo, c’è anche la paura del contagio“, ha sottolineato Claudio Mencacci all’Ansa.

“Devono poter avere uno spazio in cui comunicano il proprio stato d’animo, la propria angoscia. Altrimenti le troppe esperienze spaventose possono generare sintomi gravi: sensazione di non farcela, crollo della fiducia nel lavoro che si sta facendo, grande mal di stomaco, aumento della tristezza, difficoltà di concentrazione, nervosismo, disturbi del sonno”, ha spiegato.

“A cui si aggiungono la solitudine perché non possono vedere i loro cari, e il cambiamento completo delle abitudini personali. Il rischio burnout per gli operatori sanitari in questo momento supera il 50% delle probabilità. Tutto dipenderà da quanto a lungo durerà l’emergenza. Hanno bisogno di tirare il fiato e tornare a un minimo di continuità esistenziale”, ha concluso il medico.

Fonte foto: Ansa
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