Chiama la moglie e si suicida impiccandosi nel carcere di Venezia a 39 anni: inutile l'allarme della donna
Il detenuto, un cittadino tunisino di 39 anni, dopo aver saputo della revoca della semilibertà ha chiamato la moglie per dirle addio prima di impiccarsi
Un detenuto nel carcere di Venezia si è tolto la vita nella propria cella dopo aver saputo che gli era stato revocato il beneficio della semilibertà, confermandogli la custodia cautelare, per dei fatti legati allo spaccio di droga risalenti al 2018.
- La notizia della custodia cautelare
- Il suicidio nella cella
- La disperazione di Bessem
- La denuncia di Fp Cgil
La notizia della custodia cautelare
Bessem Degachi, un uomo di 39 anni di origini tunisine ma residente a Mestre (Venezia) da anni, da neanche tre anni stava scontando una pena nel carcere veneziano di Santa Maria Maggiore.
Nel tempo però, l’uomo aveva ottenuto la semilibertà, con la quale poteva uscire regolarmente dall’istituto penitenziario per poter lavorare con la cooperativa sociale “Il cerchio” nel cantiere di una remiera.
Quando però nella giornata di ieri, martedì 6 giugno, gli è stata notificata l’ordinanza di una nuova custodia cautelare, che si riferiva a reati legati allo spaccio di droga avvenuti nel 2018, l’uomo non ha retto e ha deciso di telefonare a sua moglie per l’ultima volta.
Il suicidio nella cella
Dopo la consegna della nuova ordinanza, Bessem ha chiamato per l’ultima la moglie, Silvia Padoan, dandole il suo addio e gettando nello sconforto la donna e l’intera famiglia.
La moglie, dopo la telefonata, ha immediatamente cercato di mettersi in contatto con il carcere, parlando per tre volte con gli addetti della struttura, ma nonostante ciò a distanza di poche ore è stata ricontattata dall’ufficio matricola di Santa Maria Maggiore, con gli operatori che in poche parole le hanno comunicato del suicidio del marito.
La donna è ora decisa a fare causa all’istituto penitenziario, con l’avvocato Marco Borella che si è detto “sconvolto” dal suicidio del suo assistito: “In passato aveva fatto i suoi errori, certo, ma stava pagando. Aveva già scontato due anni e mezzo. Da circa un anno era in semilibertà e lavorava in un cantiere, dove erano molto contenti di lui. Ho le lettere di encomio del datore di lavoro”.
La disperazione di Bessem
“Tra pochi giorni avrebbe avuto un permesso premio di una settimana e a settembre speravamo di ottenere la messa alla prova per farlo uscire dal carcere. In questo periodo era tranquillo, felice, gli stava andando tutto bene” ha concluso poi l’avvocato, al quale si è poi aggiunta la voce di Elisa Poletto, cognata della vittima.
“Dopo la notifica dell’ordinanza Bessem […] era fuori di sé – ha detto la signora Poletto al Mattino – Ci ha detto che non poteva reggere questa nuova carcerazione, che si sarebbe ucciso, che gli dispiaceva di lasciare la moglie sola, ma che non ce la faceva più. Abbiamo cercato di rassicurarlo, ma era disperato”.
La denuncia di Fp Cgil
E sul tema sono intervenuti i rappresentanti della Fp Cgil, che in una nota hanno detto: “Oggi lo Stato ha fallito. Sicuramente nessuno ne piangerà la perdita e nessuno farà qualcosa per limitare i suicidi in carcere e, come al solito, ci saranno tante parole ma nulla si muoverà”.
Per la struttura di categoria, il carcere di Venezia è un “esempio limite” delle condizioni di abbandono nel quale versano le carceri italiane, il personale che ci lavora e i detenuti.
A Venezia “la stessa amministrazione non ha investito nella struttura, con mancanza di spazi e lavorazioni; il personale è ridotto ai minimi termini con carichi di lavoro ormai insostenibili. Se le carceri sono lo specchio della società, possiamo affermare che siamo alla frutta” conclude la nota.