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Torino, si ammala di tumore dopo l'uso prolungato del cellulare per lavoro: ha diritto a rendita. La sentenza

Nel corso degli anni il lavoratore avrebbe utilizzato per lavoro il telefono cellulare tra le 10 e le 13 mila ore. La sentenza della Corte d'Appello

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Stefano D'Alessio

GIORNALISTA

Giornalista pubblicista. Laureato in Comunicazione, per anni si è occupato di sport e spettacolo. Scrive anche di attualità, cronaca e politica. Ha collaborato con importanti testate e programmi radio e tv, a livello nazionale e locale.

Per 13 anni ha utilizzato il telefono cellulare in media per 2 ore e mezza al giorno per motivi di lavoro e, quando ha scoperto di essere affetto da un tumore benigno all’orecchio, ha presentato una richiesta all’Inail per ottenere una rendita da malattia professionale; la Corte d’Appello di Torino, con una sentenza che è stata pubblicata il 2 novembre 2022, gli ha dato ragione.

La prima sentenza del Tribunale di Aosta

Il protagonista della vicenda è un tecnico specializzato di un’azienda valdostana attualmente in pensione, assistito dagli avvocati torinesi Renato Ambrosio e Stefano Bertone. Come riferito dall’agenzia ‘Adnkronos’, l’uomo, a seguito del tumore, ha riportato, secondo referti medici, sordità sinistra, paresi del nervo facciale, disturbo dell’equilibrio e sindrome depressiva.

Si era già rivolto al Tribunale di Aosta, che aveva riconosciuto il nesso causale tra l’uso del cellulare e l’insorgenza del neurinoma del nervo acustico stabilendo per il lavoratore il pagamento di una rendita di circa 350 euro al mese, ma l’Inail aveva fatto ricorso in Appello chiedendo una nuova consulenza.

L’Inail è l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro.

La sentenza della Corte d’Appello di Torino

La Corte d’Appello di Torino ha nominato un nuovo consulente, l’ otorinolaringoiatra torinese Roberto Albera, che, dopo diversi incontri e scambi di memorie con i consulenti delle diverse parti in causa ha confermato che ” esiste un’elevata probabilità che fu il cellulare a causare il tumore anche in relazione all’esclusione dell’intervento di fattori causali alternativi”. Secondo la perizia, in sostanza, “in assenza di possibili cause, vi è la presenza di un unico fattore di rischio costituito da un’esposizione prolungata a radiofrequenze”.

Negli anni il lavoratore avrebbe usato per lavoro il cellulare tra le 10 e le 13 mila ore.

Le parole degli avvocati

Gli avvocati Ambrosio e Bertone hanno sottolineato che “si tratta di una sentenza scritta da scienziati fra scienziati, in cui il ruolo dei giuristi è stato marginale, che dimostra che le radiofrequenze possono causare tumore. Le radiofrequenze, infatti, a differenza dello scarico di un motore diesel che si percepisce con l’olfatto o della lama di un coltello che si percepisce con il tatto, si percepiscono solo con i rilevatori elettrici. I wifi, le cosiddette ‘saponette’, gli ‘hotspot’ emettono e ricevono tutte radiofrequenze. La distanza resta dunque il miglior alleato e non andrebbero mai tenuti a contatto con il corpo”.

Fonte foto: iStock - GiorgioMagini

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