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Pnrr, Italia in ritardo su alcuni obiettivi: cosa rischia il nostro paese se buca i dossier Next Generation

L'Italia è in ritardo su alcuni progetti del Pnrr. Questo potrebbe portare a un ridimensionamento degli obiettivi o al blocco dei fondi europei

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Mauro Di Gregorio

GIORNALISTA

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Approdato a QuiFinanza e Virgilio Notizie dopo varie esperienze giornalistiche fra Palermo e Milano. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

L’Italia è in ritardo sul Pnrr. La situazione non è irrecuperabile, ma necessita di una correzione immediata perché il mancato raggiungimento dei 25 obiettivi da portare a termine entro fine anno avrebbe l’esito di bloccare l’erogazione dei fondi per i mesi a venire. Sul piatto c’è la prossima rata di fondi europei da 19 miliardi.

Pnrr, i fondi all’Italia

Di questi 25 obiettivi, sui 55 assegnati entro fine anno, alcuni sono semplici adempimenti burocratici, altri sono interventi concreti.

L’Italia è il primo beneficiario del piano Next generation Eu: degli 806,9 miliardi di euro elargiti in totale al Pnrr italiano ne toccano 191,5 miliardi.

Una montagna di soldi che in parte andrà restituita nei tempi a venire, dal momento che la fetta più grossa (122,6 miliardi) è composta da prestiti da riconsegnare a interessi ridotti e solo la parte rimanente (68,9 miliardi) da sovvenzioni. L’Italia ha già ricevuto 45,9 miliardi.

Pnrr e obiettivi mancati

Il mancato raggiungimento delle scadenze intermedie oltre ai problemi oggettivi derivanti dal blocco dei fondi, getterebbe discredito internazionale sull’Italia e isolerebbe il governo Meloni in Europa.

Si aprirebbe poi la strada ad aggiustamenti concordati con l’Europa che potrebbero portare a tradire lo spirito del Pnrr che è quello di aiutare l’Italia a uscire dalle sabbie mobili della bassa crescita economica e al contempo mettere in sicurezza la sostenibilità del debito pubblico, che a settembre si assestava sui 2.742 miliardi di euro con un rapporto debito/Pil al 150,2%, il secondo più alto fra i paesi dell’eurozona dopo la Grecia (182,1%).

Sulle revisioni al Pnrr il Pd ha innalzato le barricate: Enrico Letta ha detto che “se rinegoziamo i fondi europei del Pnrr il messaggio è che siamo inaffidabili”.

Meloni vs Draghi sul Pnrr

Negli ultimi tempi si è assistito a un rimpallo di responsabilità fra vecchio e nuovo governo.

Il 5 ottobre scorso Mario Draghi, tirando le somme sull’operato del suo governo, annunciava che “ad oggi, sono già stati conseguiti 21 dei 55 obiettivi e traguardi previsti per la fine dell’anno, e ci aspettiamo di raggiungerne 29 entro la fine del mese”.

Ma lo scorso 4 dicembre, Giorgia Meloni intervistata da ‘Repubblica’, lanciava una stoccata a Mario Draghi sul Pnrr: “È un dato incontrovertibile che dei 55 obiettivi da centrare entro fine anno a noi ne sono stati lasciati 30”.

E il giorno seguente, a 2 mesi esatti dopo le rassicuranti parole di Draghi, Giorgia Meloni ha messo le mani avanti sul Pnrr partecipando in teleconferenza al festival ‘L’Italia delle regioni’.

“Il Next generation Eu è evidente a tutti che non è più sufficiente“, ha detto Giorgia Meloni, perché “non poteva tenere in considerazione l’impatto della guerra in Ucraina ha avuto sulle nostre economie.  Bisogna fare di più oggi a livello Ue, partendo dal caro energia”.

Il Pnrr “è un’eredità importante – ha aggiunto la premier – però ovviamente è un’eredità importante se quelle opportunità non vanno perse ed è per questa ragione che il governo, a pochi giorni dall’insediamento, ha deciso di riattivare la cabina di regia per monitorare lo stato di attuazione degli obiettivi, coinvolgendo tutti gli attori in campo”.

La Meloni ha posto l’accento sul “caro energia e caro materie prime”, due “criticità strutturali” che sono “soprattutto figlie delle politiche poco lungimiranti del passato”.

Si aggiunga che ogni cambio di governo causa un inevitabile periodo di assestamento e che l’Esecutivo per settimane si è concentrato sulla Manovra. Ma l’Europa attende risultati.

Nella foto, Giorgia Meloni ospite a ‘Porta a porta’. Sullo sfondo Mario Draghi.

Pnrr, strada in salita

Gli obiettivi del Pnrr sono di due tipi: le ‘milestone’ sono riforme o procedure, i ‘target’ sono interventi concreti effettivamente misurabili. Le milestone sono quindi propedeutiche ai target.

Nel 2023 gli interventi sul Pnrr diventeranno ancora più impegnativi: terminata la fase delle riforme e dei decreti si entrerà nel vivo della fase operativa, quella dei cantieri.

Il ‘Fatto Quotidiano’ fa un’analisi dei ritardi e fra le criticità evidenzia la scelta di affidare la gestione di quasi 70 miliardi di euro agli enti locali che sono afflitti da ataviche criticità: deficit di capitale umano e di capacità tecniche.

Questo si traduce spesso nel non essere in grado di mettere in cantiere le procedure di gara per l’assegnazione dei fondi e nel non saper fornire rendicontazioni adeguate. Insomma, si è andati in guerra con un’armata male equipaggiata.

Sui cantieri la spesa effettiva è stata praticamente la metà del previsto. Da una previsione iniziale di 42 miliardi entro fine 2022, si è scesi prima a 33 e infine a 22. Ora il timore è che anche questo traguardo al ribasso possa non essere raggiunto.

Il piano sugli asili nido e le scuole dell’infanzia, che afferiscono alla Missione 4 del Pnrr denominata ‘Istruzione e ricerca’, è in forte ritardo.

Il piano prevede 4,7 miliardi di euro per finanziare interventi in 333 scuole materne e 1.857 fra asili nido e poli per l’infanzia per un totale di 264.480 nuovi posti entro il 2025.

Il Pnnr ha registrato un ritardo sui contratti per le nuove costruzioni e per la riqualificazione delle opere esistenti. Ritardo che potrebbe generare un effetto domino sui lavori.

Per i motivi sopra riportati, più di 3.400 comuni non hanno aderito al programma, pur avendo necessità di aumentare i posti negli asili nido.

Restando nell’ambito della Missione 4, il Pnrr mette sul tavolo 960 milioni di euro per aumentare i posti letto nelle residenze universitarie per gli studenti fuori sede, portandoli a 105.500 entro il 2026.

Obiettivo impegnativo e già sforato: sui 7.500 nuovi posti letto da realizzare entro il 31 dicembre l’Italia ha trattato con l’Europa rivedendo l’obiettivo al ribasso e tagliandone quasi 1.000.

Problemi anche sulla banda larga nell’ambito della Missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo).

Problemi che riguardano le cosiddette ‘aree grigie’, ovvero le zone del Paese poco abitate e in cui gli investimenti sulla banda larga prevedono una partecipazione pubblica.

Lo scorso 30 novembre il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alessio Butti, a un convegno sul 5G ha gettato il sasso nello stagno: “Ci sono problemi sulle aree grigie. Noi rischiamo di bucare le milestone previste dal Pnrr per quanto riguarda le aree grigie”.

Fonte foto: ANSA

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