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Parkinson, quali sono i sintomi e le cause: arriva il nuovo esame del sangue per la diagnosi precoce

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Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

Un esame del sangue potrebbe permettere d’individuare il morbo di Parkinson in modo precoce. A dirlo sono i risultati di una ricerca, condotta dall’Università di Bari, insieme all’Istituto nazionale di Fisica nucleare e alla Pia Fondazione Panico, pubblicata sulla rivista ‘Genes’. L’importanza della scoperta potrebbe rappresentare una rivoluzione, perché finora la diagnosi certa di Parkinson è avvenuta solo post mortem, analizzando le condizioni del paziente deceduto, oppure alla comparsa dei primi sintomi che possano essere compatibili con il morbo.

Ma quali sono i campanelli d’allarme, come si interviene se si sospetta di essere in presenza del morbo e come si può curare? A queste domande ha risposto, ai microfoni di Virgilio Notizie, Gennaro Barbato, neurologo del Distretto Sanitario 33 della Asl Napoli.

Quali sono i sintomi del morbo di Parkinson: come riconoscere la malattia

“Due elementi permettono di identificare la malattia di Parkinson – spiega Barbato -. Il primo è clinico ed è rappresentato dall’esistenza di una combinazione di più sintomi motori: l’acinesia, cioè un termine ‘valigia’ che designa un insieme di anomalie del movimento, in particolare una rarefazione, una lentezza e una diminuzione di ampiezza dei gesti. Quando interessa il viso comporta la tipica amimia facciale (cioè incapacità di difficoltà a cambiare espressione, ndr). Tra gli altri sintomi ci sono anche l’aumentata resistenza muscolare, detta anche ipertonia rigida, e il tremore, più spesso presente in una condizione di riposo dell’arto”.

Che differenza c’è tra la Malattia di Parkinson la ‘Sindrome Parkinsoniana’

“L’insieme dei sintomi motori descritti viene definito come Sindrome Parkinsoniana, ma non indica la Malattia di Parkinson. A differenziare le due condizioni è il fatto che la prima ha più cause. Per essere certi che si tratti della Malattia di Parkinson è necessario verificare un ulteriore elemento, quello anatomico: la diminuzione di numero e l’aspetto particolare dei neuroni di certe regioni cerebrali. Queste anomalie non sono visibili nei normali esami di immagine, anche se di recente l’uso della RMN encefalo 3tesla consente di avere informazioni più dettagliate. È quindi necessario arrivare all’esame post mortem per la certezza diagnostica”, sottolinea l’esperto.

Come si curano i pazienti con morbo di Parkinson

“Va premesso che la Malattia di Parkinson è dovuta a un deficit di dopamina, una sostanza che non è possibile somministrare direttamente per bocca perché va incontro a un massiccio processo di degradazione tale da farne arrivare solo una piccolissima quantità a livello cerebrale. Questo è il motivo per cui al suo posto viene usato il suo precursore immediato, la levodopa, che viene poi trasformata nell’organismo in dopamina – chiarisce il neurologo”.

E ancora: “Nella terapia sono poi usate sostanze che permettono di far aumentare indirettamente la quantità di dopamina, senza aumentare la dose giornaliera di levodopa, a livello cerebrale e sanguigno, con alcuni inibitori specifici. Infine, ci sono sostanze che vanno direttamente a stimolare i recettori della dopamina, i cosiddetti ‘dopaminoagonisti’”.

Quali effetti collaterali possibili nelle cure

“I farmaci sono molto utili, ma non vanno dimenticati alcuni possibili effetti collaterali di queste sostanze, come il Punding per la levodopa (si tratta di comportamenti ripetitivi, senza scopo, ritualistici) e il Disordine del Controllo degli Impulsi, per i dopaminoagonisti” spiega l’esperto che sottolinea l’importanza di calibrare la terapia sui singoli pazienti. In alcuni casi ci sono anche alcune metodiche invasive, che possono essere prese in considerazione, quando si registra una diminuzione di efficacia dei farmaci: “Quando la malattia sta per entrare nella fase delle complicanze dovute all’uso prolungato nel tempo della levodopa, nei pazienti più giovani si può ricorrere alla Deep Brain Stimulation (DBS) e in quelli più avanti con gli anni all’infusione intestinale di levodopa (Duodopa). Quest’ultima può essere effettuata anche dopo la DBS, quando quest’ultima viene a perdere i suoi benefici” spiega Barbato.

Quanto contano lo stile di vita, la predisposizione e l’alimentazione

“Una dieta con antiossidanti come carotenoidi (vitamina A), luteina, vitamina C e vitamina E, è fortemente legata ad un rischio ridotto di Parkinson e può incidere sulla progressione dei sintomi della malattia rendendola più lenta. Inoltre, luteina e vitamina E sono in grado di ridurre il declino delle funzioni cognitive attraverso la riduzione dello stress ossidativo e la prevenzione della morte delle cellule nervose. Una dieta sana, come quella Mediterranea, in cui è previsto il consumo di più pesce ed alimenti a base vegetale e meno carne, può fare la differenza in termini di prevenzione del restringimento del cervello e degli effetti dell’invecchiamento”, spiega Barbato.

I benefici dell’attività fisica nella “prevenzione” del Parkinson

“L’attività fisica è in grado di promuovere una plasticità delle cellule nervose che fanno parte di quei circuiti colpiti nella Malattia di Parkinson (a proposito di Parkinson, qui un articolo sui presunti legami col Covid). Più in particolare, l’attività fisica sarebbe in grado di rimodulare e ristabilire nuovi contatti tra le cellule nervose e di aumentare il flusso ematico cerebrale – prosegue l’esperto -. L’attività fisica va dall’attività aerobica alla pratica sportiva. La prima sarebbe in grado di apportare un grosso aumento del flusso sanguigno cerebrale, specie a livello dei centri nervosi implicati nella malattia, ma anche di attivare un controllo dello stress ossidativo e della neuroinfiammazione. Invece, la pratica sportiva che richiede percezione e attenzione, migliora le funzioni esecutive e il riapprendimento”.

Quanto è diffuso il Parkinson e in che fasce d’età

“La Malattia di Parkinson è una malattia frequente: è il secondo più comune disordine neurodegenerativo e viene subito dopo la Malattia di Alzheimer. Colpisce oltre 20 individui su 100 mila ogni anno e questo tasso d’incidenza aumenta con l’età. Solitamente compare poco dopo i 60 anni, ma nel 10% dei casi si manifesta prima dei 50 anni. Attualmente, nei 15 Paesi più popolati del mondo, che rappresentano i 2/3 della popolazione mondiale, le persone affette dalla Malattia di Parkinson sono 4,1 – 4,6 milioni e raggiungerà oltre 9 milioni nel 2030. In Cina è previsto un aumento da 2 a 5 milioni entro il 2030 e ciò è da mettere in relazione alla grossa presenza della fascia anziana nella sua popolazione” spiega il neurologo.

Il Parkinson e i sintomi a seconda dell’età

Come si intuisce dai dati, il fattore età è legato all’insorgenza della malattia, ma anche al suo decorso: “L’età media di sopravvivenza oscilla intorno ai 10-15 anni, ma c’è una grossa variabilità legata a fattori sia demografici che correlati alla malattia. La qualità della vita è compromessa per i sintomi motori, ma anche per un insieme di sintomi non-motori della malattia, come quelli neuropsichiatrici (depressione, ansia), viscerali, fatica, dolore, disturbi del sonno, declino cognitivo e demenza”, conclude l’esperto.

Fonte foto: 123RF

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