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Motivazioni della sentenza d'ergastolo ad Alessia Pifferi per la morte di Diana: "Elevatissima gravità umana"

Rese note le motivazioni della sentenza con cui Alessia Pifferi è stata condannata all'ergastolo

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Mirko Vitali

GIORNALISTA

Giornalista esperto di politica e attualità, attento anche ai temi economici e alle dinamiche del mondo dello spettacolo. Dopo due lauree umanistiche e il Master in critica giornalistica, lavora e collabora con diverse testate e realtà editoriali nazionali

Ergastolo per Alessia Pifferi colpevole, secondo la Corte d’Assise di Milano, di aver lasciato sola  per cinque giorni e mezzo la figlia Diana, morta “di stenti e disidratazione”. Secondo i giudici, la donna è stata guidata da un “futile ed egoistico movente”, vale a dire “regalarsi un proprio spazio di autonomia, nella specie un lungo fine settimana con il proprio compagno”, “rispetto al prioritario diritto/dovere di accudire la figlioletta” di un anno e mezzo.

Alessia Pifferi condannata: le motivazioni della sentenza

La sentenza risale allo scorso 13 maggio. Nelle scorse ore sono state rese note le motivazioni scritte nere su bianco dai giudici. In una cinquantina di pagine si ripercorre la tragica vicenda della bimba abbandonata e deceduta nel luglio 2022 nell’appartamento di via Parea, a Milano.

La piccola è stata trovata senza vita nel suo lettino, con accanto un biberon di latte e una bottiglietta d’acqua. A provocare la morte un quadro di “disidratazione spiccato”. Nella casa non sono stati trovati altri “alimenti per bambini”, ulteriore segno di trascuratezza.

Per la Corte, presieduta dal giudice Ilio Mannucci Pacini, Pifferi si è macchiata di un reato di “elevatissima gravità, non solo giuridica, ma anche umana e sociale”.

La donna 38enne in aula ha assunto un comportamento caratterizzato da “deresponsabilizzazione”, provando a sostenere “circostanze oggettivamente e scientemente false”. Inoltre ha accusato il compagno di “essere stato l’artefice `morale´ dell’accaduto”. Per i giudici una serie di elementi che dimostrano che Alessia Pifferi abbia una “carente rielaborazione critica“.

“Non perdeva occasione l’imputata – si legge sempre nelle motivazioni della sentenza -, nel corso del suo esame dibattimentale, per sottolineare come lui non accettasse la presenza di Diana e come la bambina per lui fosse ‘un intralcio‘, come proprio a seguito di un litigio con l’uomo, che l’aveva anche intimorita, avesse desistito dal proposito di rientrare a casa lunedì 18 luglio”.

La madre è “giuridicamente investita, come tutti i genitori, di una specifica posizione di garanzia verso i figli” e deve “tutelare, tra l’altro, la vita e l’incolumità dei minorenni, essendogli espressamente demandato un dovere di cura, mantenimento e assistenza della prole”.

Sempre i giudici: “La donna sin nell’immediatezza si professava consapevole di aver tenuto, per il suo desiderio di avere propri ‘spazi’ autonomi, una condotta sbagliata e pericolosa per l’incolumità della figlia. Falso che comprendeva e metteva a fuoco tali circostanze solo a seguito del percorso psicologico seguito in carcere”.

Alessia Pifferi capace di intendere e volere per i giudici

Nella sentenza viene sottolineato come la signora Pifferi abbia la capacità di intendere e volere ma per salvaguardare se stessa non ha avuto alcun tentennamento a mentire.

“Nel caso di specie deve attribuirsi alla Pifferi, con ragionevole certezza, la concreta previsione dell’evento morte della figlia, benché accadimento non intenzionalmente e direttamente voluto”, aggiungono i giudici.

La Pifferi è stata condannata per omicidio volontario aggravato dai futili motivi, ma non premeditato: “Per sua stessa ammissione, aveva certamente coscienza e volontà del disvalore della propria condotta di abbandono e della pericolosità della stessa per Diana, tanto da mentire alla madre ed allo stesso compagno su dove si trovasse la bambina: riferiva alla madre di averla portata con sé, mentre riferiva al compagno che la bambina si trovava al mare dalla sorella”.

I precedenti abbandoni della piccola Diana

A pesare nella sentenza anche il fatto che non era la prima volta che la madre 38enne abbandonava la figlia. Si è scoperto che una simile dinamica si era già verificata: “Nel primo fine settimana di luglio la Pifferi abbandonava Diana dal primo pomeriggio del 2 luglio al tardo pomeriggio del 4 luglio, per poco più di 48 ore; nel secondo fine settimana di luglio l’imputata abbandonava la piccola per circa 72 ore, dal tardo pomeriggio dell’8 luglio e sino all’11 luglio”.

Poi l’ultimo abbandono, quello durato 5 giorni e mezzo, e la morte di Diana.

Fonte foto: ANSA

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