Coronavirus, morti in calo dopo Natale: perché uccide di più
Uno studio dell’Ihme, un istituto di ricerca americano, stima in Italia 30mila vittime in più dopo le feste natalizie
La cifra di quasi mille decessi legati al Covid-19 di due giorni fa potrebbe non rimanere una circostanza isolata. Uno studio dell’Ihme (Institute for health metrics and evaluation) dell’Università di Washington, riportato da Repubblica, prevede che il numero dei morti in Italia per coronavirus dovrebbe cominciare a ridursi tra il 20 e il 23 dicembre per abbassarsi definitivamente dopo Natale. Ma secondo le proiezioni le vittime a gennaio potrebbero arrivare a quota 90mila.
Coronavirus, morti in calo dopo Natale: a gennaio quota 90mila
Lorenzo Monasta, epidemiologo del Burlo Garofolo di Trieste che collabora per l’Italia con l’Ihme, istituto finanziato dalla fondazione di Bill e Melinda Gates, spiega che fino a Natale la curva dei contagi nel nostro Paese non crescerà né diminuirà, ma rimarrà nel cosiddetto “plateau”.
“Non bisogna guardare ai dati quotidiani, quando si studiano i morti, perché spesso le notifiche dei decessi arrivano con qualche giorno di ritardo — ha spiegato —. Meglio fare una media mobile basata su più giorni”.
L’istituto statunitense ha stimato un aumento di circa 30 mila vittime in più rispetto ad oggi subito dopo le Feste. “E del resto stiamo ancora vedendo un numero di nuovi casi alto — dice sempre Monasta — molto superiore ai 20 mila”.
Coronavirus, perché uccide di più: lo studio
Se l’Rt è ormai sceso sensibilmente in tutta Italia, gli effetti dei miglioramenti sul numero di decessi hanno bisogno di più tempo per manifestarsi. Lo spiega Graziano Onder, responsabile del dipartimento malattie cardiovascolari, endocrino-metaboliche e dell’invecchiamento dell’Istituto superiore di sanità: “In base ai nostri dati, mediamente passano circa due settimane tra il tampone positivo e il decesso. Però è plausibile che in certi casi possa trascorrere anche un mese, come sostengono alcuni colleghi.”
Tempistica che combacia con la somministrazione delle cure: “Non sta crescendo, cosa che dimostra come dal punto di vista delle terapie non sono stati fatti grandi progressi — sottolinea Onder— Ha dato alcuni risultati giusto il cortisone, qualcosa forse fanno le eparine a basso peso molecolare per certi casi, ma non ci sono antivirali che combattano il coronavirus”.
Altra differenza da considerare è la diversa distribuzione dei decessi rispetto alla prima ondata: “Vediamo dati più alti perché adesso non si muore per Covid solo al Nord, come nella prima fase, ma anche al Centro e al Sud.”
Un report periodico realizzato su 32 comuni italiani dal Dipartimento di epidemiologia e prevenzione (Dep) del Lazio per il ministero della Salute, conferma un aumento delle vittime al Centro-Sud. Lo studio confronta i dati registrati all’anagrafe sulla mortalità odierna, con i decessi attesi in base alle proiezioni sui cinque anni passati.
Secondo la ricerca, durante il picco della prima ondata di coronavirus si sono registrati nel Nord il 72% delle morti in più rispetto a quelle previste e il 10% al Centro-Sud. Nella prima metà di novembre invece nei Comuni settentrionali presi in esame sono stati il 75% in più dei decessi ipotizzati, ma nel resto del Paese la percentuale è aumentata fino al 46%.