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Caso camici, cosa è successo e perché Fontana è indagato

Il presidente della Regione Lombardia è al centro di un'indagine sulla fornitura di camici durante il lockdown. Coinvolto anche il cognato

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

“Sono certo dell’operato della Regione Lombardia, che rappresento con responsabilità”. Questo il messaggio pubblicato su Facebook dal governatore Attilio Fontana, nella notte tra venerdì 24 e sabato 25 luglio. “Da pochi minuti ho appreso di essere stato iscritto nel registro degli indagati”. L’indagine cui fa riferimento è quella della Procura di Milano: la tesi è che Andrea Dini, cognato di Fontana, avrebbe cercato di vendere dei camici alla Regione (circa 75 mila) per mezzo milione di euro durante le settimane più complicate del lockdown, in piena pandemia da coronavirus.

Caso camici, le tappe della vicenda

Secondo le ricostruzioni del Fatto Quotidiano e Report, il 16 aprile la centrale acquisti della Lombardia, Aria, avrebbe assegnato una fornitura per camici e altri dispositivi di protezione all’azienda Dama, società di abbigliamento.

A capo della Dama c’è Andrea Dini. La sorella Roberta, moglie del presidente della Regione Attilio Fontana, ne detiene il 10%.

La fornitura al centro delle indagini della Procura riguarda 82 mila tra camici e dpi, per un valore di 513 mila euro.

Secondo Report, Dama avrebbe indirizzato ad Aria una lettera di acquisto in cui sarebbe stata promesso il bonifico di 513 mila euro entro due mesi dal 16 aprile.

Un mese dopo, il 20 maggio, la Dama, nella persona di Dini, avrebbe scritto una mail al direttore di Aria, Filippo Bongiovanni, in cui avrebbe comunicato di voler trasformare la vendita in una donazione. Tra il 22 e il 28 maggio sarebbero state emesse delle note di credito per annullare le fatture per i camici, riguardanti però un valore complessivo di 359 mila euro e non di 513 mila. Secondo Report, la decisione di trasformare la vendita in donazione sarebbe stata presa in seguito al lavoro giornalistico della redazione.

Ai microfoni della trasmissione di Rai 3, Dini aveva infatti spiegato come la vendita dei camici alla Regione fosse stata decisa in un periodo in cui lui non si trovava in azienda e che al suo ritorno avrebbe subito deciso di annullare tutto perché aveva sempre inteso di voler donare quei camici.

Fontana, il 7 giugno, aveva scritto su Facebook che Dama era solo una delle tante aziende che avevano riconvertito la produzione per fornire camici e mascherine alla Regione: la fattura di 513 mila euro sarebbe stata un errore dovuto a un “automatismo burocratico”.

In altre occasioni, invece, il governatore aveva dichiarato di aver appreso della fornitura solo a giugno, leggendo i giornali.

Secondo il Corriere della Sera, invece, Fontana sarebbe stato informato da un suo collaboratore della fornitura: il 19 maggio, ossia un giorno prima della mail di Dini a Bongiovanni, il governatore avrebbe cercato di fare un bonifico di 250 mila euro da un suo conto personale a Dama. Secondo il quotidiano, un tentativo di risarcire Dini per i mancati guadagni a cui sarebbe andato incontro annullando la vendita dei camici.

Il bonifico, per il giornale di via Solferino, sarebbe poi stato sospeso per sospetta violazione della normativa antiriciclaggio e segnalato dall’Unione Fiduciaria alla Banca d’Italia, che l’avrebbe girata a Guardia di Finanza e Procura, prima che l’11 giugno Fontana decidesse di cancellare l’operazione. I soldi, secondo il Corsera, sarebbero arrivati da un conto in Svizzera in cui erano stati fatti confluire, grazie allo scudo fiscale, 5 milioni e 300 mila euro: fino al 2015 sarebbero stati conservati alle Bahamas con due trust intestati alla madre di Fontana.

Il 20 maggio, data di invio della mail di Dama ad Aria, la fornitura da parte di Dini era già iniziata e circa 50 mila pezzi erano già stati distribuiti. Il resto previsto non è stato però donato alla Regione: Dini, secondo le ricostruzioni della stampa, avrebbe provato a vendere tutta l’altra fornitura ‘bloccata’ ad altri, rivolgendosi tramite un intermediario a una Rsa di Varese e proponendo la vendita ad un prezzo più alto di quello inizialmente concordato con la Regione (9 euro a pezzo invece di 6).

Questo, secondo i media, spiegherebbe perché le note di credito con cui sono state annullate le fatture di Dama ad Aria non abbiano riguardato il totale della fornitura.

Le indagini della Procura di Milano

Su questa vicenda sta indagando la Procura di Milano, che in primis sta verificando l’assegnazione senza gara della fornitura a Dama, in violazione delle regole sul conflitto di interessi, data la presenza della moglie di Attilio Fontana nella società.

In secondo luogo, sotto la lente d’ingrandimento c’è il contratto iniziale di fornitura non rispettato da Dini, che dopo la decisione di donare i camici alla Regione Lombardia avrebbe tentato di rivenderne una parte ad altri.

Per quel che riguarda la figura di Attilio Fontana, il legale Jacopo Pensa ha dichiarato all’Adnkronos che il suo “ruolo non esiste: nel negozio giuridico non ha messo becco perché non ne era a conoscenza, l’ha saputo solo a cose fatte”. Resosi conto del conflitto di interessi “si è posto il problema dell’opportunità della cosa e quindi ha fermato il pagamento. Il suo è stato un intervento virtuoso, non malizioso“.

L’avvocato di Fontana ha quindi dichiarato che il bonifico partito da Fontana e indirizzato al cognato sarebbe stato “un gesto risarcitorio” per aver “danneggiato suo cognato” dicendogli di trasformare la fornitura “in donazione per evitare equivoci”.

Le indagini della Procura sono scattate proprio dopo la segnalazione del bonifico di Fontana al cognato.

Chi sono gli indagati

L’indagato più noto è sicuramente il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana: è stato iscritto nel registro degli indagati, come atto dovuto, con l’accusa di frode in pubbliche forniture.

Analogo reato, in concorso tra loro, viene contestato al cognato di Fontana, Andrea Dini, e a Filippo Bongiovanni, dg dimissionario di Aria Spa. Questi ultimi due sono accusati anche di turbata libertà nella scelta del contraente.

Ci sarebbe poi un quarto indagato, di cui non si conosce al momento l’identità: sarebbe un funzionario di Aria, indagato con l’accusa (come Fontana) di frode in pubbliche forniture.

Fonte foto: Ansa

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