Boris Johnson e il voto di sfiducia: perché il premier inglese rischia di cadere e chi potrebbe sostituirlo
Boris Johnson alla prova del voto per lo scandalo del party-gate: cosa può succedere nel Regno Unito in caso di sfiducia al premier britannico
Giornata decisiva per Boris Johnson. Nella serata di lunedì 6 giugno, infatti, si terrà il voto di sfiducia contro il premier britannico, finito sotto accusa per il party-gate. Il deputato Graham Brady, presidente del Comitato 1922, ha annunciato che la soglia del 15% che chiede il voto di fiducia al leader del Partito conservatore è stata superata. Raggiunto il quorum, quindi, il voto si terrà dalle 17 alle 19 (ora italiana). Il verdetto sarà reso noto subito dopo. Ecco cosa potrebbe succedere in caso di sfiducia.
- Su cosa sarà il voto
- Cosa succede in caso di sfiducia: il possibile successore
- Il precedente di Theresa May
Su cosa sarà il voto
Tecnicamente il voto sarà sul ruolo di Johnson quale leader di partito, ma in caso di sfiducia di oltre la metà dei suoi (180 deputati), il premier si dovrà dimettere.
Downing Street, da parte sua, ha fatto sapere che BoJo accoglierà con favore questa svolta che permetterà di mettere un punto sullo scandalo party-gate.
Cosa succede in caso di sfiducia: il possibile successore
Se Johnson supererà questa prova, allora non si potrà più chiedere un voto di sfiducia per un anno.
In caso contrario, Johnson sarà costretto alle dimissioni.
Rimarrebbe in carica ad interim fino alla scelta di un successore all’interno dei Tory, che richiederebbe diverse settimane.
Tra i nomi circolati nei mesi scorsi, in merito ai sostituti, ci sono quelli di:
- Rishi Sunak, il ministro dell’Economia (ma anche lui multato per il party-gate come Johnson);
- Liz Truss, ministra degli Esteri;
- Nadhim Zahawi, ministro dell’Istruzione;
- Priti Patel, ministra dell’Interno;
- Jeremy Hunt, il deputato conservatore sfidato e sconfitto da Johnson nel 2019.
Il precedente di Theresa May
Boris Johnson non è il primo premier britannico ad affrontare un voto di sfiducia.
Prima di lui, nel 2018, la stessa sorte era toccata a Theresa May, criticata dai deputati conservatori per la gestione della Brexit.
In quell’occasione, il 15% dei suoi parlamentari aveva dichiarato di non avere fiducia nella sua leadership: ne era quindi nata la votazione, da cui la May ne era uscita vincitrice (63%).
La fiducia ottenuta, comunque, non aveva placato le critiche nei suoi confronti: così, a maggio 2019, la premer aveva dichiarato di non essere in grado di realizzare la Brexit, annunciando che avrebbe lasciato la carica di leader dei Tory a giugno. A subentrarle nel luglio 2019, proprio Boris Johnson.
A proposito di Johnson, ecco cosa pensa di lui Alessandro Orsini.