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COVID-eVax di Takis, per l'innovativo vaccino italiano contro Omicron mancano i fondi: l'intervista esclusiva

Virgilio Notizie ha parlato con l'amministratore delegato dell'azienda italiana: "Rischiamo di non completare le fasi 2 e 3 di sperimentazione"

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

Takis, compagnia di biotecnologie con sede a Roma, ha una strategia contro la Omicron, la variante del coronavirus che si ritiene possa essere più contagiosa di tutte quelle attualmente più diffuse. La ragione consiste in una serie di mutazioni in corrispondenza della proteina Spike e in altre regioni del virus, che potrebbero promuoverne la fuga dal sistema immunitario.

“Mentre cerchiamo di sconfiggere la pandemia, è imperativo essere proattivi mentre il virus si evolve”, spiega Luigi Aurisicchio, amministratore delegato di Takis. “A differenza delle precedenti varianti, Omicron presenta un alto numero di mutazioni nuove e per questo è difficile prevedere se i vaccini attuali siano ancora protettivi: ecco perché ci stiamo muovendo il più velocemente possibile per adattare il nostro vaccino anche contro questa variante”.

Oltre alla capacità di aggiornamento quasi in tempo reale, COVID-eVax, sviluppato da Takis con Rottapharm Biotech tramite l’innovativa tecnologia a DNA, presenta anche altri vantaggi: tempi di produzione più brevi, processi meno costosi, trasporto e stoccaggio più facili e, potenzialmente, un migliore profilo di sicurezza.

Nonostante i promettenti esiti della fase 1, le successive fasi 2 e 3 sono a rischio. Perché? Ne abbiamo parlato direttamente con Luigi Aurisicchio, a capo della compagnia, in un’intervista esclusiva per Virgilio Notizie.

A che punto è il vaccino COVID-eVax, sviluppato da Takis con Rottapharm Biotech?

Nel caso del vaccino di Takis di prima generazione, testato sul ceppo di Wuhan, i modelli pre clinici eseguiti sugli animali hanno dato esito positivo. Quasi tutti i volontari inoltre hanno sviluppato anticorpi neutralizzanti. Più che gli anticorpi, la risposta cellulo mediata si è dimostrata essere trasversale e in grado di riconoscere tutte le varianti. Si tratta di buoni presupposti.

La sperimentazione si è fermata a causa della mancanza di finanziamenti, a questo punto indispensabili per procedere alle fasi 2 e 3. C’è poi un’altra ragione: il Green pass. Trattandosi di un vaccino di tipo sperimentale, ai volontari non dà diritto al certificato verde.

Sul punto abbiamo tentato un dialogo con il ministero della Salute, ma non c’è stato nulla da fare. A queste condizioni è molto difficile anche portare avanti uno studio di fase 2, nonostante la platea di volontari relativamente piccola di cui abbiamo bisogno (ulteriori 80, da aggiungersi a chi ha partecipato alla fase 1).

Di quanti volontari ha invece bisogno la fase 3?

Per quanto riguarda la fase 3, il numero di persone sulle quali testare il vaccino è ancora oggetto di discussione con le agenzie regolatorie. Prima si parlava di decine di migliaia di volontari, sia nel braccio dei vaccinati, sia in quello di chi riceve il placebo, ma al momento si discute di alcune centinaia di volontari, anche perché, con i vaccini approvati, il placebo non è eticamente possibile. Diminuendo i volontari, anche i costi risulterebbero inferiori a quelli della “vecchia” fase 3.

Sarebbe possibile testare COVID-eVax nei paesi in cui i vaccini attualmente sul mercato non sono disponibili?

Siamo in contatto con il Burkina Faso, il Ruanda e il Paraguay, ma resta il problema del finanziamento, perché in questi casi i costi aumenterebbero più del doppio. Uno studio in Africa infatti comporta un intermediario sul campo e un’organizzazione logistica più complessa.

Il vostro vaccino è basato su un sistema innovativo che utilizza la cosiddetta ”elettroporazione”, cosa significa?

L’elettroporazione riguarda la modalità di somministrazione del vaccino e consiste nel far entrare il materiale genetico nella cellula tramite una scossa di corrente elettrica, che dura alcuni millisecondi e crea alcuni pori sulla superficie della membrana delle cellule (da qui il nome, elettroporazione). Alcune persone sono allergiche ad alcune componenti delle liponanoparticelle di alcuni vaccini in commercio, il DNA da questo punto di vista non dà problemi. In India è già disponibile un vaccino a DNA, mentre un altro è allo studio di fase 3 negli Stati Uniti.

Lei ha dichiarato: “Negli scorsi mesi, abbiamo generato quasi in tempo reale modifiche di COVID-eVax contro le varianti Alpha, Beta, Gamma, Delta e tante altre dimostrandone l’immunogenicità in modelli animali”. Cosa significa?

I vaccini basati su DNA possono essere modificati facilmente grazie ad alcune tecniche di sintesi genica. Takis lo ha già fatto a livello pre clinico con la variante Omicron, adesso dobbiamo procedere con gli studi sugli animali per ulteriori considerazioni, più approfondite. Questa cosa non è fattibile con altre tecnologie di vaccino, che richiedono tempi molto più lunghi per l’aggiornamento alle varianti.

Il Covid è un virus zoonotico. In cosa consiste il rischio posto dalla circolazione del coronavirus tra gli animali?

Sappiamo che il Covid è in grado di infettare gli animali, ad esempio nel Nord Europa sono stati abbattuti moltissimi visoni, che si infettano facilmente. Avevano sviluppato, a causa del coronavirus, una polmonite bilaterale. Il virus evolve anche nel visone, producendo varianti che hanno infettato l’uomo.

Come Takis, stiamo sviluppando un vaccino anche per gli animali, con lo scopo di evitare la creazione di un serbatoio naturale di coronavirus che evolva nelle specie animali a contatto diretto con l’uomo.

Avete rivolto un appello affinché il governo italiano investa parte dei soldi del Pnrr nella ricerca di un vaccino italiano. Perché l’esecutivo non dovrebbe invece decidere di acquistare altre dosi dei vaccini già disponibili, magari aggiornati alle varianti?

Comprare più vaccini è una scelta possibile, l’altra scelta possibile ha a che fare con una delle lezioni che abbiamo imparato dalla pandemia. Paesi come gli Stati Uniti hanno sviluppato rapidamente tecnologie che non avevano grande applicazione, è il caso ad esempio dell’RNA. L’Italia avrebbe potuto fare lo stesso, ma in passato non ha investito in ricerca. Se lo avesse fatto, avrebbe saputo rispondere meglio all’emergenza.

Fra 5 anni potremmo trovarci in una situazione simile a quella di oggi, magari a causa di un nuovo e pericoloso ceppo dell’influenza. Ecco perché abbiamo bisogno di investire maggiormente in ricerca sulle malattie che richiedono maggior “medical need”.

Tra quanto tempo potrebbe essere pronto il vaccino italiano, con e senza finanziamenti statali?

Senza finanziamenti sarà impossibile completare la fase 2 e la fase 3. Sarà invece necessario un finanziamento di almeno 60 milioni euro. Se un simile finanziamento dovesse arrivare oggi, entro fine 2022 o al massimo a inizio 2023 il vaccino di Takis a DNA potrebbe essere pronto.

Fonte foto: ANSA
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