Il cellulare può causare un tumore al cervello? Cosa dice il nuovo studio dell'Oms sull'uso dei telefonini
Uno studio, commissionato dall’Oms, si è focalizzato sul rapporto tra l'uso del cellulare e il tumore al cervello. Cosa dicono i ricercatori
Il tema è dibattuto da tempo ed è al centro della ricerca: l’uso dei cellulari è collegato a un maggior rischio di tumori al cervello? Una risposta, ora, sembra arrivare da un nuovo studio, commissionato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). La ricerca, pubblicata sulla rivista Environment International, sembra concludere con una rassicurazione: “Non c’è alcuna evidenza scientifica che colleghi l’uso dei cellulari allo sviluppo di tumori cerebrali”, si legge nel documento, che escluderebbe anche effetti nocivi a lungo termine. Virgilio Notizie ha intervistato Fiorella Belpoggi, direttrice Scientifica emerita dell’Istituto Ramazzini di Bologna, già Direttrice del Centro Ricerca Tumori, tra i più prestigiosi nel campo delle malattie oncologiche correlate all’esposizione a campi elettromagnetici.
- Nessun danno al cervello causato dagli smartphone
- Il nuovo studio sui cellulari
- Nessun effetto dei telefonini a lungo termine
- L'intervista a Fiorella Belpoggi
Nessun danno al cervello causato dagli smartphone
Il risultato della ricerca sembra fare tabula rasa rispetto a quanto saputo finora.
Ad oggi, infatti, i campi elettromagnetici a radiofrequenza, emessi dai cellulari, sono classificati come “possibilmente cancerogeni” dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) dell’Oms.
Significa che, pur non essendoci una certezza, rimane il sospetto di rischio legato all’esposizione, dunque all’uso degli smartphone.
Ad affermare che non esistono pericoli, invece, è ora la ricerca commissionata dalla stessa Oms e coordinata dall’Australian Radiation Protection and Nuclear Safety Agency (Arpansa).
Il nuovo studio sui cellulari
I ricercatori hanno analizzato oltre 5 mila ricerche scientifiche condotte finora.
In particolare l’attenzione si è focalizzata su 63 studi considerati di alto profilo scientifico e realizzati nell’arco di quasi 30 anni, tra il 1994 e il 2022.
L’obiettivo era capire se l’uso – anche prolungato – di smartphone fosse connesso a un maggior rischio di andare incontro a tumori a carico del sistema nervoso centrale, dunque che potessero coinvolgere il cervello, le meningi, il nervo acustico e la ghiandola pituitaria, cioè una ghiandola molto piccola che si trova alla base del cranio, con una grande importanza a livello endocrino perché producendo ormoni ha una funzione di controllo del metabolismo. “Abbiamo concluso che le prove non mostrano un collegamento tra i telefoni cellulari e il cancro al cervello o altri tumori della testa e del collo”, ha affermato Ken Karipidis, primo autore della ricerca.
Nessun effetto dei telefonini a lungo termine
Uno dei rilievi mossi in passato agli studi già condotti era che non si potessero dimostrare eventuali effetti sul lungo periodo.
Karipidis, invece, ha affermato che dalla revisione (“La più completa fino ad oggi”, ha dichiarato) non è emersa alcuna associazione, neppure tra coloro che utilizzano il cellulare da oltre 10 anni, che viene considerata una soglia minima per valutare eventuali rischi oncologici.
Lo stesso risultato sarebbe emerso tra gli utilizzatori intensivi del device, come coloro che effettuano molte chiamate o trascorrono molto tempo al telefono.
L’intervista a Fiorella Belpoggi
Le conclusioni della ricerca sembrerebbero smentire i timori circolati finora. Cosa ne pensa?
“Non sono meravigliata dall’esito dell’ultimo lavoro perché chi lo ha condotto si era già espresso in precedenza affermando l’assenza di pericoli. Molti hanno fatto parte del gruppo di esperti di ICNIRP (l’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protect), un gruppo di lavoro a cui l’Ue si è affidata per stabilire i limiti di esposizione alle radiofrequenze. Ma è nota la loro posizione negazionista nei confronti di possibili effetti nocivi. Diciamo che mi sarei aspettata almeno una conferma dell’attuale classificazione come “possibili cancerogeni”, perché in ambito scientifico non c’è certezza assoluta”.
Si tratta di uno studio revisionale, ossia condotto analizzando precedenti lavori. Crede che sia sufficiente, oppure occorrerebbe una nuova ricerca sulla base delle conoscenze più recenti?
“Credo che servano ulteriori ricerche. Mentre al settore, chimico, per esempio sono richiesti corposi (e costosissimi) dossier prima dell’immissione di nuovi materiali, questo non accade con le nuove tecnologie nell’ambito della telefonia mobile. Io non sono contraria all’avanzamento delle tecnologie, ma invoco il principio di precauzione e studi approfonditi su animali di laboratorio, perché è l’unico modo per poter correlare eventuali patologie all’esposizione, valutando i risultati attraverso il confronto con un gruppo di controllo ‘vero’”.
Karipidis e il team di ricercatori stanno proseguendo lo studio, concentrandosi su tumori meno frequentemente collegati all’uso dei telefoni cellulari, come leucemia e linfoma non-Hodgkin. È possibile, ad oggi, escludere anche effetti nocivi sul lungo periodo?
“No, per diversi motivi. Il primo è che le neoplasie impiegano anche decenni a svilupparsi e non abbiamo ancora dati disponibili in questo senso. Inoltre, anche con nuove ricerche, si pone il problema di non disporre più di un gruppo di controllo con il quale comparare i risultati di soggetti esposti alle radiofrequenze dei cellulari, perché tutti ne siamo dotati. Sono diffusi in modo massiccio e, a meno di non comparare i dati con quelli di 30 anni fa, risulta molto difficile poter condurre uno studio attendibile”.
Cosa occorrerebbe fare?
“Io credo che sia buona parte dell’opinione pubblica allarmata o confusa, anche perché ci sono accuse reciproche, tra i ricercatori, di conflitti di interesse che non sono soltanto economico, ma anche ideologico. Per questo, ma soprattutto perché la tecnologia è in evoluzione e la ricerca scientifica prosegue, occorrerebbe appellarsi al principio di precauzione. Non significa essere contrari ai devices e all’innovazione, ovviamente, ma almeno usare la maggior prudenza possibile in attesa di conferme, anche perché la scienza non è certa”.
Come vive questa incertezza?
“Io sono più preoccupata per l’atmosfera e la condotta generale della valutazione del rischio da parte degli Enti preposti che non nello specifico dalle radiofrequenze. Noto un approccio delle agenzie regolatorie riguardo alla tossicità di vari elementi presenti in ambienti di vita e lavoro che spesso è negazionista. Ma la scienza non è esatta: l’interpretazione dei dati dipende anche da chi la fa. Io ho visto al microscopio i tumori nelle cavie. Per questo auspico nuovi studi, condotti su animali di laboratorio. Con questo non dichiaro certezze, ma spero almeno che prevalga un atteggiamento generale di dubbio e cautela”.
Esistono comunque consigli e raccomandazioni?
“Sicuramente è meglio evitare il contatto tra il cellulare e la testa: è sufficiente usare gli auricolari, per esempio, meglio se con il cavo anche se è oggettivamente più scomodo, ma che azzera l’esposizione. Anche il bluetooth comunque riduce di 100 volte la potenza delle radiazioni. Va bene anche il vivavoce perché permette di tenere il cellulare lontano dalla testa”.
Ci sono indicazioni specifiche per i bambini?
“Sì, loro sono i più esposti, perché hanno il 70% del corpo costituito da acqua, che è il miglior trasportatore di energia che esista, per cui il loro corpo assorbe molto più del nostro. Un altro elemento di preoccupazione, però, è la dipendenza da questi dispositivi. Spesso sono dati in mano ai bambini, anche molto piccoli, in modo estensivo, a tavola al ristorante o in casa per tenerli occupati. Basterebbero almeno delle precauzioni per ridurre la loro esposizione alle radiofrequenze. Per esempio, invece che far guardare loro dei cartoni animati live, si potrebbero scaricare, in modo da sospendere la connessione”.