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Dove sono e che fine hanno fatto le centrali nucleari in Italia

Negli anni Sessanta il Belpaese all'avanguardia sull'atomo: a Trino l'impianto più potente al mondo. Dove sono le centrali nucleari in Italia

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

“Il mondo è pieno di ambientalisti radical chic e di oltranzisti ideologici, che sono peggio della catastrofe climatica verso cui andiamo sparati se non facciamo qualcosa di veramente sensato (…) sul nucleare si stanno affacciando tecnologie di quarta generazione. Se a un certo momento si verifica che i chili di rifiuto radioattivo sono pochissimi, la sicurezza elevata e il costo basso è da folli non considerare questa tecnologia”. Le parole del ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, pronunciate nell’ambito del Forum Ambrosetti di Cernobbio, hanno scatenato un putiferio e, sia all’interno della maggioranza, sia in seno all’opinione pubblica, il dibattito forse mai sopito sul nucleare è ricominciato.

Non dovrebbe meravigliare che, ciclicamente, si torni a parlare di una fonte di energia che ha, nonostante Chernobyl e Fukushima, ha numerosi sostenitori. Proprio come Cingolani, i pro-nucleare fanno leva sulla novità e sulla maggiore sicurezza degli impianti: in Italia in effetti non esistono termini paragone più recenti degli anni Settanta. Ma il nostro Paese ha anche fatto da apripista nel momento in cui si stava sperimentando un utilizzo “pacifico” dell’atomo. Per un breve periodo di tempo, infatti, la centrale più potente al mondo fu proprio qui, sul suolo nazionale: ecco dove.

Dibattito sul nucleare, chi è pro e chi è contro il ministro Cingolani

“Fortunatamente non ho notizie di alcuna proposta sul nucleare nel governo, altrimenti la bloccherei senz’altro”, sono state le parole di chiusura del leader Cinque Stelle e ministro degli Esteri Luigi di Maio. I pentastellati sono stati, soprattutto in passato, un riferimento in politica per gli ecologisti e si sono ampiamente spesi contro la tecnologia evocata dal ministro nel referendum del 2011 con cui gli italiani hanno bocciato un ritorno all’atomo.

Il fronte dei contrari, in verità, è piuttosto composito e comprende manager ed ecclesiastici, tra gli altri. L’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace, ha detto che “non è realistico riconsiderare il nucleare, anche perché il ‘nuovo nucleare’ non è tanto nuovo come sembra”.

Alberto Bombassei, a capo del gruppo Brembo, si è invece speso in un plauso a favore della tecnologia di quarta generazione, che, sempre secondo il lombardo, “è molto innovativa, non è il vecchio sistema della fissione”. Decisamente meno entusiasta la Cei: “Bisogna stare molto attenti a dare al nucleare la patente di sviluppo”, ha detto il presidente della Conferenza, il cardinale Gualtiero Bassetti.

Posizioni così diversificate impressionano, soprattutto in un Paese che è stato tra i primi ad adottare, negli anni Cinquanta e Sessanta, la tecnologia nucleare, facendo da vero apripista nell’adozione di una fonte energetica che, al netto dei problemi posti dalla sicurezza degli impianti e dell’impatto ecologico – fattori naturalmente tutt’altro che secondari – è enormemente vantaggiosa in termini di quantità di energia prodotte.

Ma dove sono le centrali nucleari italiane? E qual è la storia dell’energia atomica in Italia?

Da Torino a Sessa Aurunca: dove sono, che fine hanno fatto le centrali nucleari in Italia

L’Italia ha iniziato a produrre energia nucleare all’inizio degli anni Sessanta e, nello stesso decennio, sempre di più, al punto di comparire al terzo posto – dopo Stati Uniti e Inghilterra – tra i maggiori produttori. Fu il risultato di una decisione presa nel 1955, nel corso della conferenza “Atomi per la pace” di Ginevra, che portò l’Italia a disporre di 3 impianti di prima generazione basati sulle tecnologie di tipo BWR e PWR, di origine statunitense, e di tipo Magnox, proveniente dall’Inghilterra: si trattava delle tecnologie più avanzate disponibili per l’energia nucleare negli anni Sessanta.

La prima centrale nucleare italiana fu costruita a Latina: si trattava di quella basata su tecnologia inglese. Fu ultimata nel 1963 e deteneva, al momento della sua costruzione, il primato, in termini di potenza, a livello europeo – 160 MWe lordi. Seconda in ordine temporale la centrale nucleare di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta. Il disegno dell’impianto fu di Riccardo Morandi, ingegnere e accademico che progettò anche il viadotto Polcevera a Genova, crollato nel 2018. Nel 1964 un consorzio misto di produttori privati e pubblici portò a termine la Centrale elettronucleare Enrico Fermi, all’epoca della sua costruzione la più potente al mondo: con un unico reattore, infatti, l’impianto era in grado di sprigionare 260 MW di potenza. Come sito per l’edificazione venne scelto il comune di Trino, in provincia di Vercelli.

A sei anni di distanza dall’impianto piemontese, venne ultimata una quarta centrale nucleare a Caorso, in provincia di Piacenza. Molti anni dopo, nel 1982, fu quindi messa in cantiere la centrale elettronucleare Montalto di Castro, in provincia di Viterbo: il progetto prevedeva due reattori da 982 MW di potenza elettrica netta ciascuno, basati su tecnologia BWR. Attualmente quella di Montalto è una cattedrale nel deserto, un edificio vuoto e in decadenza, che testimonia, nella sua interruzione in corso d’opera, un evento segnante nella storia italiana del nucleare.

Di quale evento stiamo parlando?

L’incidente di Chernobyl e il referendum che chiuse le centrali nucleari

Qualche preoccupazione la destò già un guasto a Sessa Aurunca, che comportò lo spegnimento di tutto l’impianto. L’incidente di Chernobyl del 1986 naturalmente ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica italiana e non solo: inizialmente tenuto nascosto dalle autorità dell’allora Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina, è ad oggi l’incidente nucleare più grave della Storia, con conseguenze che si estesero oltre i confini nazionali. Si trattò di ripercussioni anche di tipo politico.

Il referendum popolare italiano dell’8 novembre 1987 poneva ai cittadini tre questi sull’energia nucleare: il primo proponeva l’abolizione dell’intervento statale nel caso in cui un comune non avesse concesso un sito per l’apertura di una centrale nucleare; il secondo proponeva abrogazione dei contributi statali per gli enti locali per la presenza sui loro territori di centrali nucleari; il terzo intendeva impedire all’Enel di partecipare all’estero alla costruzione di centrali nucleari.

Stante il superamento del quorum, con il 65,1% di cittadini recatisi alle urne per la consultazione, tutti e tre le proposte furono accolte con ampio margine di consenso dagli italiani. Anche se, formalmente, nessuno dei quesiti referendari chiedeva la chiusura degli impianti nucleari o l’interruzione dei progetti in corso – a Trino era in costruzione, tra l’altro, un secondo impianto – gli effetti delle nuove disposizioni minarono indirettamente gli sforzi nucleari italiano, al punto che, tra il 1988 e il 1990, i governi in carica posero termine all’esperienza nucleare sul territorio nazionale.

Le tre centrali, all’epoca ancora funzionanti, di Latina, Trino e Caorso vennero chiuse.

Fonte foto: ANSA

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