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Coronavirus nei reni, la scoperta italiana. Perché è importante

Il coronavirus è stato fotografato per la prima volta in Europa all'interno di una cellula renale, al Negri di Bergamo

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

Il coronavirus è stato fotografato per la prima volta in Europa all’interno di una cellula renale. Ad effettuare la scoperta i ricercatori dell’Istituto Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Bergamo, grazie a un campione ottenuto dall’autopsia di un paziente deceduto all’ospedale Papa Giovanni XIII. Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri, ha spiegato all’Ansa l’importanza di questa svolta.

Coronavirus in un rene, l’importanza della scoperta

“La scoperta è molto importante perché ci consente di avanzare nello studio di una cura che vada oltre il focus dei polmoni. Bisogna capire che la causa della morte non è solo l’insufficienza respiratoria ma in moltissimi casi è l’insufficienza renale. La dinamica è riportata anche sul recente numero della rivista Science”, ha precisato Remuzzi.

Nell’ambito dello studio, sono state osservate le reazioni immunitarie che si attivano in risposta all’attacco del virus, che può comportare l’insorgere di polmoniti. “Siamo riusciti a capire – ha illustrato Remuzzi – che queste polmoniti dipendono da altri meccanismi secondari attivati dal sistema immune: uno di questi meccanismi si chiama ‘sistema del complemento'”.

Coronavirus, “buone risposte da Eculizumab”

Questo sistema dovrebbe proteggerci dalle malattie, ma l’infezione da Covid-19 lo fa “impazzire” e diventare dannoso. “Così abbiamo provato a usare su malati Covid – ha precisato il direttore – farmaci già presenti sul mercato che inibiscono l’attivazione del complemento. Buone risposte stanno arrivando dall’Eculizumab, che normalmente usiamo per una malattia rara che provoca un’alterazione genetica che era fatale nei bambini, morivano quasi tutti entro 6 anni dalla diagnosi”.

Coronavirus, infusione di anticorpi: la terapia inedita

Lo studio è ancora in corso, ma i primi risultati sono positivi, soprattutto se incrociati con un’altra terapia inedita messa a punto dal Negri e dall’ospedale Papa Giovanni XIII: l’infusione di anticorpi di pazienti guariti dal Covid-19 in malati gravissimi intubati in terapia intensiva, diversa, come riporta l’Ansa, dall’infusione di plasma.

Remuzzi ha così concluso la sua spiegazione: “La nostra idea è che nelle fasi iniziali della malattia possa essere meglio l’uso del farmaco inibitore del complemento ma in quella più avanzata siano più efficaci gli anticorpi”.

Fonte foto: ANSA
Coronavirus, quali sono i farmaci che si stanno sperimentando

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