Casa di moda Alviero Martini accusata di agevolare il caporalato: lavoratori sfruttati per realizzare borse
Il brand di Alviero Martini finisce nelle indagini dei carabinieri per caporalato: società in subappalto sfruttano operai per creare borse di lusso
Alviero Martini finisce in “amministrazione giudiziaria” per non aver impedito il caporalato nei laboratori che producono le borse di lusso come quelle di “1° Classe”. Il valore delle prodotto, in questo modo, si aggirava intorno ai 20 euro al pezzo, mentre in negozio la vendita è di almeno 350 euro.
- Alviero Martini è stato accusato di caporalato?
- Le indagini sulle borse
- Caporalato: schema produttivo a strozzo
- La nota di Alviero Martini
Alviero Martini è stato accusato di caporalato?
Alviero Martini (azienda dietro il brand 1° Classe) non è stato accusato di caporalato (accusa mossa recentemente anche a Ips Italia, una società di logistica), non in maniera diretta. Questo perché il sistema di esternalizzazione della produzione ha impedito all’azienda di avere controllo sui subappalti. La società, come ricorda il Corriere della Sera, non si è però dotata di sistemi di controllo per impedire che questo genere di reati si verificassero sotto al suo nome (legge n.231 del 2001).
In altre parole, i magistrati riconoscono ad Alviero Martini di aver agevolato la commissione del reato di caporalato, di cui sono indagate una serie di persone, ovvero i gestori dei lavoratori clandestini. È stata così disposta l’amministrazione giudiziaria per bonificare e far rientrare nella legalità le condizioni di lavoro.
Le indagini sulle borse
I Carabinieri di Milano, a partire da settembre 2023, hanno iniziato a effettuare accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei prodotti di lusso del brand. Su 8 opifici controllati, tutti sono risultati irregolari; inoltre su 197 lavoratori 37 risultavano occupati in nero. Tutti, in ogni caso, lavoravano in condizioni di sfruttamento, con pagamenti minimi, orari di lavoro oltre le norme e ambienti di lavoro insalubri.
10 titolari di aziende e 37 persone non in regola sono state attenzionate e infine, per un totale di oltre 300 mila euro, sono state riconosciute sanzioni amministrative e sospensione dell’attività.
Caporalato: schema produttivo a strozzo
L’accusa mossa ad Alviero Martini è di non aver impedito il caporalato alla base del prodotto di lusso. Lo schema produttivo, detto“a strozzo”, prevede una produzione effettiva in condizioni di sfruttamento presso un opificio (cinese). Il valore del prodotto, in questa fase, è di circa 20 euro.
Lo schema, come spiegato dai Carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro di Milano, prosegue con una produzione totalmente affidata a società terze mediante appalto con divieto di sub-appalto (senza preventiva autorizzazione). Il problema, spiegato nel comunicato, è che le aziende appaltatrici non hanno l’effettiva capacità di produzione e per restare competitivi sul mercato esternalizzano a loro volta le commesse a opicifi cinesi. Questi abbattono i costi attraverso l’utilizzo di manodopera irregolare (“in nero”) e clandestina in condizioni di sfruttamento (esito simile per l’inchiesta su Cosmopol) come zero costi contributivi, assicurativi e imposte dirette.
La nota di Alviero Martini
L’azienda di moda ha voluto precisare che le attività illecite, condotte da terzi e all’insaputa della società, sono “assolutamente contrarie ai valori aziendali”. Per questo, specifica la nota in merito alla notizia circolata sui media, la casa di moda si è messa tempestivamente a disposizione delle autorità.
Secondo l’azienda “tutti i rapporti di fornitura sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori“, ma non è così per la Procura, che riconosce una mancanza di controlli che ha portato ad agevolare lo sfruttamento. Al momento tutte le informazioni sono parte emerse nelle indagini preliminari.