Caro bollette, lo smart working conviene ancora ai dipendenti? Quanto pesa l'aumento dei costi dell'energia
Il caro bollette colpisce gli italiani, e quindi anche lo smart working: dato l'aumento dei costi è ancora conveniente lavorare da remoto? I numeri
Lo smart working conviene davvero oggi ai dipendenti oppure, ormai, ha dei costi economici non più così sostenibili? Con l’aumento consistente delle bollette di gas e luce, la questione è tutt’altro che scontata. Anche perché, in Italia, lavorare in modalità smart vuol dire essenzialmente lavorare da casa. Per capirne di più, Virgilio Notizie ha intervistato Gilberto Gini, segretario generale Smart Workers Union, sindacato ‘smart’ nato nel 2020 che si occupa di organizzare e tutelare i lavoratori digitali.
- I dati sulle bollette
- L'analisi costi-benefici
- Con lo smart working si spende meno per la sanità e si presta attenzione alla prevenzione
- Le aziende devono sostenere i costi dello smart working
I dati sulle bollette
Secondo alcuni calcoli effettuati da ‘Altroconsumo’, i costi lievitano non poco e sono da collegare, per la stagione invernale che sta per iniziare, a due aspetti:
- l’uso più consistente della luce elettrica (con l’ora solare fa buio prima) e della lavastoviglie, per il fatto che si pranza a casa;
- il consumo relativo all’uso dei dispositivi.
Non va meglio d’estate perché lavorando dalla propria abitazione nelle ore più calde, si tiene acceso il climatizzatore molto di più che in passato.
Una famiglia di due persone senza figli potrebbe consumare quindi 95 KwH in più all’anno, mentre una di tre persone con un figlio che torna a casa da scuola 135 kwh all’anno.
Costi che aumentano se a lavorare in smart working sono tutti e due i membri della coppia: in quel caso si tratta di 260 kwh in più. Che, tradotto in soldoni, per la coppia può voler dire + 300 euro all’anno, per la famiglia di tre persone + 323 euro all’anno.
Stando però all’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, i cui dati sono stati diffusi qualche settimana fa, lo smart working farebbe risparmiare ai dipendenti circa 600 euro all’anno.
Questa cifra terrebbe conto di quanto detto finora: considerando una persona che lavora da remoto due giorni a settimana, il risparmio totale sarebbe di 1.000 euro in media. Tolte le spese per le bollette (400 euro), si arriverebbe ai 600 euro di cui sopra.
L’analisi costi-benefici
Gilberto Gini, segretario generale Smart Workers Union, ai microfoni di Virgilio Notizie ha dichiarato che, nonostante l’aumento delle bollette, “il lavoratore continua ad avere un ampio risparmio a lavorare in smart working rispetto al lavoro in presenza 5 giorni su 5. Com’è stato evidenziato dall’Osservatorio Smart working, si tratta di 600 euro, il che non è poco. Risparmia infatti sui costi diretti che deve affrontare per recarsi al lavoro, come gli abbonamenti ai mezzi pubblici o, cosa che si tende a dimenticare, quelli legati al caro benzina. Il costo del carburante si è alzato tantissimo e un lavoratore che utilizza la macchina per spostarsi può spendere fino a 400 euro al mese”.
Non solo i costi legati al raggiungimento del luogo di lavoro, ma si abbattono anche quelli legati alla gestione dei figli “come la babysitter per tenerli durante le ore di assenza da casa o il dover trovare una persona che li vada a prendere all’uscita da scuola. In questo discorso rientrano anche i costi dell’assistenza agli anziani o alle persone non autosufficienti: in modalità smart il lavoro di cura, che deve essere ripartito tra donna e uomo, si affronta meglio. E nel lavoro di cura inseriamo anche la gestione della casa, tutt’altro che banale”.
Con lo smart working si spende meno per la sanità e si presta attenzione alla prevenzione
L’aspetto della qualità della vita non è poi da trascurare: se un lavoratore non deve correre per essere puntuale in ufficio e riesce a incastrare meglio i proprio impegni, “è una persona più felice”, precisa Gini, “e un lavoratore felice è un lavoratore che si ammala di meno. Ovviamente molto dipende da come si riesce a gestire la flessibilità legata allo smart working, evitando situazioni particolarmente stressanti, e da come le figure apicali riescano a dare degli obiettivi da raggiungere, cosa che in Italia non è affatto scontata. Il lavoratore in smart working infatti non va lasciato da solo e, a mio avviso, bisognerebbe incontrarsi in sede una volta a settimana per vedere se gli obiettivi sono stati raggiunti e quali sono i nuovi traguardi”.
E ancora: “In questi due anni poi c’è stato il 50% in meno di permessi di malattia. Pensiamo ai lavoratori pubblici: hanno 18 ore all’anno per le visite specialistiche, lavorare in smart working vuol dire poterle organizzare meglio durante la giornata. E in questo senso lo smart working aiuta anche in ottica di prevenzione: il lavoratore ha più tempo per pensarci, gestire gli esami da fare, prendersi cura di se stesso. C’è un grande guadagno da tutti i punti di vista”.
Le aziende devono sostenere i costi dello smart working
L’aumento dei costi delle bollette dovrebbe essere in qualche modo sostenuto dalle aziende? “Sì, dovrebbero sostenerli tramite accordi collettivi nazionali in modo da rimborsare la spesa in più per i lavoratori in smart working. Nel 2022 abbiamo anche un vantaggio che sono i fringe benefit aziendali passati da 258,23 euro a 600 euro che sono esentasse anche per coprire i costi delle bollette, ma una cosa simile andrebbe fatta anche nel pubblico impiego. Anche perché è chiaro che se un’azienda affitta un palazzo di diversi piani e viene meno gente, ha un notevole risparmio. Non deve infatti passare il messaggio che l’azienda accolli al dipendente il costo del lavoro”.
E in altri Paesi, come la Germania i costi dei lavoratori da remoto vengono considerati anche dallo Stato. Spiega ancora Gini: “Si è stabilito uno sconto fiscale di 5 euro per ogni giornata che il lavoratore fa da remoto, ma non solo. Se una persona dedica per esempio 5 metri di casa propria alla postazione per lavorare, nel calcolo della somma da pagare per la tassa sulla casa quei metri non vengono considerati. Ovvio che poi la persona può lavorare da dove vuole: scrivania, divano, terrazzo, eccetera”.
I costi del lavoro non devono ricadere sul lavoratore e questo vale anche per le attrezzature necessarie per lavorare.
“In Italia – continua il sindacalista – le aziende spesso si limitano a dare il computer portatile, ma dovrebbero anche rientrare le sedie ergonomiche, le eventuali scrivanie, un router portatile che permetta al lavorare di fare davvero smart working da dove vuole. E questo riguarda anche i coworking, presenti perlopiù nei grandi centri, il cui costo dovrebbe essere a carico delle aziende. Ma il problema in Italia è un altro”.
Quale? “Il fatto che lo smart working dovrebbe essere adottato a regime su larga scala e se così fosse i benefici sarebbero molteplici per tutta una serie di categorie di lavoratori. Invece, nel nostro Paese lo smart working è sempre legato a situazioni emergenziali: prima il Covid ora il caro bollette e così finisce che usiamo questa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa per tutto, ma non per il motivo per cui è nato. Vale a dire: un vero e proprio cambio di paradigma e il valutare quanto viene fatto attraverso il raggiungimento degli obiettivi. Ecco perché siamo favorevoli a quanto sta facendo il Comune di Milano (i dipendenti lavorano da remoto il venerdì, ndr): quello che ci spiace è che lo smart working venga usato solo quando c’è bisogno. Se dobbiamo tutti risparmiare o puntare su un minore impatto ambientale, lo smart working deve esserci sì, ma per sempre”.