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Brexit diventa realtà, il Regno Unito saluta l'Ue

Johnson: "La strada dell'Ue non era più la nostra. Lasciare l'Europa per noi una meravigliosa speranza"

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

La Gran Bretagna saluta l’Ue e la Manica torna a essere un confine europeo, fra il continente e l’isola. È bastato lo scoccare di un secondo, segnato dal countdown sulla facciata di Downing Street e sulle bianche scogliere di Dover, a chiudere una pagina di storia durata quasi mezzo secolo, dal ’73 a oggi: quella del matrimonio, d’interesse eppure non privo di frutti, di Londra con Bruxelles.

La Brexit diventa realtà nella notte tra il 31 gennaio e il 1 febbraio, riporta l’Ansa, fra i festeggiamenti colorati, a tratti rabbiosi, e il boato del popolo euroscettico riunito in folla a Londra; e le recriminazioni, il rammarico, il dolore di chi questo epilogo non avrebbe voluto.

In un messaggio alla nazione il primo ministro Boris Johnson ha fatto sfoggio di ottimismo e richiamato all’unità un Paese profondamente lacerato, anche se in maggioranza forse sollevato dalla sensazione di aver dato almeno un primo taglio alle incertezze. Ha definito questo passaggio “l’alba di una nuova era” che “non segna una fine, ma un inizio”.

Johnson ha rivendicato l’addio come “una scelta sana e democratica” sancita “due volte dal giudizio del popolo”, tanto nel 2016 quanto alle elezioni del dicembre scorso.

E ha esaltato le speranze di un rinnovato slancio all’interno, di un ruolo europeo e globale “indipendente” del Regno, ma anche di una “cooperazione amichevole” di buon vicinato con gli ex partner dell’Ue. In un contesto nel quale ha spronato i compatrioti a “scatenare il potenziale” d’una nazione che fu impero, a credere nel cambiamento come alla chance di un “clamoroso successo”.

Parole accompagnate da toni di comprensione verso “il senso di ansia e smarrimento” di quella metà del Paese che alla Brexit ha guardato come a un errore storico o a un azzardo. E dall’impegno del governo a cercare la strada per ricondurre ora il Regno “all’unità” in modo da poter guardare avanti “insieme”.

Le incognite del futuro restano d’altronde numerose e tutte da affrontare. A iniziare dal cruciale negoziato, da chiudere nei soli 11 mesi di transizione che Londra intende concedersi sino al 31 dicembre 2020 sulle relazioni post divorzio – commerciali in primis – con i 27; e dalle scommesse sulle parallele intese di libero scambio auspicate con gli Usa e con altre potenze terze.

Senza contare le promesse sul controllo dell’immigrazione, sugli investimenti in infrastrutture e servizi, sull’alleggerimento delle disparità a beneficio di aree depresse come il nord dell’Inghilterra, dove l’esecutivo ha tenuto nel Brexit Day un consiglio dei ministri simbolico nell’euroscettica Sunderland.

Traguardi da conciliare con le stime affannate del Pil e con non poche contraddizioni interne. Contraddizioni che oggi si sono riflesse nelle piazze di Londra e non solo. Dove sono scesi dapprima, fra rimpianti e lacrime, gruppetti di remainer non pentiti, rappresentanza di una fetta ampia di Paese che continua a masticare amaro, rispecchiandosi nel “cuore spezzato” del sindaco laburista della capitale, Sadiq Khan.

Poi i sostenitori della Brexit, molti provenienti da fuori Londra, e arringati dalle parole del pioniere Nigel Farage, radunatisi a decine di migliaia in serata fino a riempire Westminster Square, in barba alla pioggia, per far sventolare – tra fuochi, brindisi, inni e comizi – bandiere e simboli nazional-patriottici.

E contraddizioni che non smettono di agitare le nazioni del ‘no’: l‘Irlanda del Nord, dove ha rifatto capolino una linea di frontiera pur invisibile con Dublino; e soprattutto la Scozia, dove la piazza di Edimburgo ha risposto a quella di Londra e la first minister indipendentista Nicola Sturgeon è tornata a invocare l’obiettivo di un secondo referendum secessionista.

Intanto da Bruxelles e dalle varie capitali continentali, la consapevolezza del momento “storico” si è unita ad accenti di “tristezza”, talora d’allarme, nelle voci dei leader: da Giuseppe Conte a Emmanuel Macron, passando per il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, e per il commissario Paolo Gentiloni.

Mentre Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, ha tenuto a lasciare aperta la porta al “miglior partenariato possibile” con il Regno che va via, ma ricordando che nessun accordo potrà mai essere come “la membership”. E dicendosi certa che non sarà “lo splendido isolamento” la soluzione ai problemi del domani.

Fonte foto: Ansa

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