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Autonomia differenziata: quali materie chiedono le Regioni, cosa sono i LEP e cosa dice la Costituzione

Il tema del rapporto tra Stato ed enti locali torna a far discutere: cosa prevede la bozza del ministro Calderoli e cosa farà il governo

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Federico Casanova

GIORNALISTA

Giornalista professionista, esperto di politica, economia e cronaca giudiziaria. Collabora con importanti realtà editoriali e testate giornalistiche. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia. Ha svolto il ruolo di ufficio stampa per diverse campagne elettorali locali e nazionali.

Lunedì 5 e martedì 6 dicembre, prima a Milano nelle sale del Palazzo Lombardia e poi a Monza a Villa Reale, si è svolto il primo Festival promosso dalle Regioni e dalle Province autonome. La prima edizione del summit “L’Italia delle Regioni” (questo il titolo della kermesse) è servita a mettere a fuoco le tematiche più stringenti che riguardano l’attività degli enti locali e il loro rapporto con l’amministrazione centrale.

Alla presenza di alcune delle più alte cariche istituzionali – hanno partecipato sia la presidente del Consiglio che il capo dello Stato, oltre a diversi ministri – tutti i Governatori d’Italia si sono riuniti per porre l’attenzione sui prossimi passi da compiere nel percorso di parziale indipendenza degli enti regionali su alcune materie specifiche. Tra gli ordini del giorno in programma, i presidenti si sono trovati concordi nel dare la priorità alla questione dell’autonomia differenziata, una materia che ciclicamente, da oltre vent’anni, torna ad occupare un posto di primo piano nel dibattito pubblico del nostro Paese.

Autonomia differenziata, il programma del governo Meloni

“L’attuazione dell’autonomia differenziata arriverà in tempi rapidi e con l’obiettivo di dare maggiore responsabilità a tutti i soggetti coinvolti: le Regioni, gli enti locali e lo Stato”. Ha usato queste parole Giorgia Meloni durato il suo intervento realizzato in collegamento, sottolineando come a Palazzo Chigi sia in corso un lavoro di “costante confronto e approfondimento” con il ministro Roberto Calderoli, titolare del dicastero degli Affari regionali e dell’autonomia.

È proprio lo storico esponente della Lega l’uomo più in vista durante la due giorni tenuta in Lombardia. Già nelle ultime settimane le sue interviste sugli organi di stampa si erano moltiplicate, a testimonianza di una certa urgenza nel voler affrontare la questione.

Una volta conclusa la corsa contro il tempo del governo per l’approvazione della legge di Bilancio entro il 31 dicembre, con l’arrivo del nuovo anno il ministro del Carroccio si aspetta un’accelerazione sul tema del rapporto tra Stato e Regioni, un dossier su cui ritiene che “manchi ancora la dovuta chiarezza” e che necessita di “proposte utili per potenziare il ruolo e le diverse identità delle venti Regioni e delle due Province autonome che compongono l’Italia”.

Autonomia differenziata, cosa dice la Costituzione e quali sono le materie contese

Per molti cittadini il concetto di autonomia differenziata rimane al momento alquanto sfumato e poco chiaro, nonostante su questo argomento vi sia un esplicito richiamo contenuto all’interno della nostra Costituzione. All’articolo 116 infatti la Carta – oltre a individuare le cinque Regioni a statuto speciale che già oggi “dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia” – consente ad ogni Regione a statuto ordinario di chiedere un ampliamento delle proprie competenze legislative su una serie di materie molto rilevanti, che vengono elencate nel dettaglio nel successivo articolo 117.

Il meccanismo è quello del regionalismo differenziato, che individua ben 23 macro-argomenti su cui lo Stato non esercita la potestà esclusiva ma che amministra assieme agli enti locali secondo il principio della cosiddetta “legislazione concorrente“. Di seguito la lista delle tematiche su cui le Regioni possono chiedere maggiore libertà di manovra:

  • Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
  • Commercio con l’estero;
  • Tutela e sicurezza del lavoro;
  • Istruzione (fatto salvo per l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con l’esclusione dell’istruzione e della formazione negli istituti scolastici professionali);
  • Professioni;
  • Ricerca scientifica e tecnologica;
  • Sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
  • Tutela della salute;
  • Alimentazione;
  • Ordinamento sportivo;
  • Protezione civile;
  • Governo del territorio;
  • Porti e aeroporti civili;
  • Grandi reti di trasporto e di navigazione;
  • Ordinamento della comunicazione;
  • Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
  • Previdenza complementare e integrativa
  • Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  • Valorizzazione dei beni culturali e promozione e organizzazione di attività culturali;
  • Valorizzazione dei beni ambientali;
  • Casse di risparmio e casse rurali;
  • Aziende di credito a carattere regionale;
  • Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Autonomia differenziata, quali Regioni hanno già presentato la richiesta

Nel corso degli anni, già diverse Regioni hanno avviato il procedimento di richiesta allo Stato centrale per l’attribuzione delle competenze legislative su alcune materie specifiche. Chi lo ha fatto in maniera assai più strutturata sono state innanzitutto il Veneto e la Lombardia, che con il referendum consultivo del 22 ottobre 2017 avevano chiesto di gestire tutte le 23 materie in modo autonomo, riscontrando la piena approvazione dei cittadini.

Esistono poi altre cinque Regioni che hanno assunto delle posizioni intermedie, richiedendo la legislazione solo per alcune delle tematiche concorrenti:

  • L’Emilia Romagna ha chiesto l’autonomia su 15 delle 23 materie;
  • Il Piemonte ha chiesto l’autonomia su 12 delle 23 materie;
  • La Liguria ha chiesto di poter gestire in autonomia le grandi reti di trasporto;
  • La Puglia e la Campania hanno chiesto la gestione esclusiva ed autonoma di tutto quello che concerne la sanità.

Autonomia differenziata, cosa sono i LEP e chi deve rispettarli

Affinché lo Stato approvi la cessione della gestione di singole materie, devono sussistere dei Livelli essenziali di prestazione che le Regioni hanno l’obbligo di garantire per poter richiedere la potestà legislativa. Stiamo parlando dei cosiddetti LEP, ossia delle soglie minime di qualità dei servizi su cui ogni cittadino deve poter contare in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale.

I LEP vengono determinati dallo Stato e proprio la loro sussistenza rappresenta il terreno di scontro più acceso tra la maggioranza e i partiti di opposizione. Durante il Festival delle Regioni, il ministro Roberto Calderoli ha ricordato che “prima di poter attuare l’autonomia differenziata, occorre definire in modo chiaro i Livelli essenziali di prestazione. Solo allora si potrà finalmente parlare di costi e fabbisogni standard e dei trasferimenti”.

Una lettura criticata con toni molto duri soprattutto da parte del Terzo Polo: il gruppo di Renzi e Calenda, tramite le parole di Mara Carfagna, ha etichettato le frasi del ministro come delle “provocazioni”, ricordando che già durante il precedente governo di Mario Draghi erano stati stanziati “quasi due miliardi di euro per tre LEP che riguardano gli asili nido, gli assistenti sociali e il trasporto scolastico degli alunni con disabilità”.

Autonomia differenziata, cosa prevede la bozza del ministro Calderoli

Ma che cosa chiede nello specifico Roberto Calderoli e cosa prevede la sua bozza di testo sul rispetto dei LEP? All’articolo 3, comma 2, viene stabilito che “entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge” vengano determinati i Livelli essenziali di prestazione. Se entro un anno ciò non accadesse, il trasferimento di funzioni dovrebbe avvenire “sulla base della spesa storica“. Quest’ultima non è altro che l’ammontare complessivamente utilizzato in un anno dalle singole Regioni per l’offerta di servizi ai cittadini.

Il riferimento alla spesa storica era stato accantonato da una riforma dell’ordinamento del 2010, che aveva individuato nei fabbisogni standard il nuovo parametro tramite cui valutare la ripartizione dei trasferimenti statali. Si tratta del peso finanziario che ogni ente locale prevede di attuare per garantire il mantenimento delle prestazioni alla cittadinanza. Ora il ministro vuole tornare indietro: per fare chiarezza e intavolare una volta per tutte un percorso chiaro, bisognerà attendere la discussione in Parlamento prevista per i primi mesi del 2023.

Fonte foto: Ansa

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