L'omicidio di Yara Gambirasio: tutti i dubbi sulle indagini, il processo e l'ergastolo a Massimo Bossetti
Uno dei crimini che hanno scosso l’opinione pubblica è stato quello di Yara Gambirasio, 13enne bergamasca ritrovata morta mesi dopo la sua scomparsa
Il brutale omicidio di Yara Gambirasio, avvenuto nel novembre 2010, per la sua crudeltà e per le sevizie, per il ritrovamento sfigurato del corpo, per le intrinseche dinamiche con le quali è avvenuto e soprattutto con le rivoluzionarie e discusse tecniche di indagine con le quali si è risolto, è entrato prepotentemente negli annali della criminologia.
Ma mentre in altri casi non si sono sottratti alle luci della ribalta nemmeno i più stretti congiunti della vittima, in questo delitto il comportamento dei familiari più stretti è stato specularmente diverso.
L’atteggiamento dei genitori straordinariamente composto, il dolore pacatamente represso e la regolare nonché rigida regola di non partecipare (nemmeno con laute promesse economiche) nei vari programmi televisivi, è particolarmente ragguardevole e degno della massima considerazione e rispetto.
- Chi era Yara Gambirasio
- La misteriosa scomparsa
- L’ombra dell’omicidio
- Mohammed Fikri
- Il macabro ritrovamento
- L’eccezionalità delle indagini giudiziarie
- Il misterioso “Ignoto 1”
- Massimo Bossetti
- La vicenda giudiziaria
- Ipotesi alternative
- Conclusioni
Chi era Yara Gambirasio
Yara Gambirasio è una gioviale e simpatica ragazzina di 13 anni, che vive a Brembate di Sopra in provincia di Bergamo. È un’adolescente tranquilla, senza eccesive pretese. Non ha abitudini a rischio, né frequenta cattive compagnie. Ha una sola grande passione: la ginnastica ritmica. É un’attività che pratica, con spiccato entusiasmo, da piccola. Probabilmente, sarà questa innocente passione a condurla, sebbene del tutto casualmente, alla sua orrenda morte prematura. Infatti, per coltivare questa passione si reca un paio di volte a settimana in una palestra del paese. Tuttavia, nulla fa pensare ad una tragedia. Mancano i fattori di rischio. Ciononostante, a volte, le previsioni sono fatte per essere smentite. Come tragicamente accade in questa vicenda.
La misteriosa scomparsa
Yara si reca al centro sportivo il 26 novembre 2010, un venerdì. Lo fa con la sua abituale precisione alle 17.30. Rimane, secondo diversi testimoni, fino alle ore 18.40. Poi, non si hanno più notizie.
I genitori, conoscendo l’estrema serietà mista alla regolarità nel rispetto degli orari della figlia, iniziano ad insospettirsi fino ad allarmarsi per l’inusuale e protratto ritardo.
Ragion per cui decidono di far scattare l’allarme, avvisando le Forze dell’ordine.
Partono le ricerche. Gli inquirenti localizzano gli ultimi radio-segnali del telefono cellulare in zona: precisamente alle 18.44 a Ponte San Pietro, alle 18.49 a Mapello ed infine a Brembate alle 18.55.
Da quel momento non si riesce più a captare nessun segnale. Della povera ragazzina, innamorata della ginnastica ritmica, si perdono le tracce. Per sempre. Almeno da viva.
L’ombra dell’omicidio
Trascorrono le ore e con esse i giorni. Gli inquirenti si convincono che Yara sia stata rapita ed uccisa da qualche degenerato maniaco.
Anche i genitori lo sospettano, ma sperano ancora nel contrario.
Nel frattempo, si intensificano le indagini.
Vengono passate a setaccio le abitudini della ragazzina e le sue frequentazioni.
Non emerge nulla. Nessun fattore di rischio, nessun contatto pericoloso, nessuna situazione sospetta.
Fino a quando, sul fronte giudiziario, si registra un forte colpo di scena.
Mohammed Fikri
É il 5 dicembre 2010. Sono passati dieci giorni dalla scomparsa della ragazzina. All’improvviso, su una nave passeggeri diretta a Tangeri, viene fermato dalle Forze dell’Ordine un operaio che sta ritornando nel suo paese d’origine: il Marocco. Si tratta di un giovanissimo di ventidue anni originario del paese nordafricano: si chiama Mohammed Fikri.
Perché e come questo extracomunitario entra nella vicenda?
Fikri lavora come operaio in un cantiere edile di Mapello. É una grossa area di scavi edilizi dove i cani molecolari hanno individuato per l’ultima volta, prima di perderle definitivamente, le tracce olfattive della ragazzina.
Gli inquirenti ipotizzano che l’uomo abbia sequestrato a scopo sessuale Yara, l’abbia aggredita per violentarla, uccisa e nascosto il corpo. Per questo ora starebbe cercando di eludere le maglie della Giustizia, scappando e ritornando a casa.
A complicare la situazione per l’uomo, ci sono anche alcune sue frasi che vengono intercettate in modo clamorosamente sbagliato.
Subito, però, ci si accorge di aver commesso un errore clamoroso, che le frasi sono state tradotte male e soprattutto che il viaggio per il Marocco di Fikri è stato prenotato già mesi prima della scomparsa di Yara.
É questa la prova decisiva della sua estraneità alla vicenda.
Quindi Mohammed Fikri viene scarcerato e scagionato definitivamente, uscendo dalla vicenda giudiziaria.
Il macabro ritrovamento
Trascorre quasi tutto l’inverno del 2010-2011. Si arriva a fine febbraio. Per la precisione al 26. Un appassionato di volo amatoriale e di droni si reca in campagna a Chignolo d’Isola. La zona dista una decina di chilometri da Brembate.
Ad un tratto, si imbatte in qualcosa di anomalo. Sulle prime pensa ad una carcassa di animali. Poi, osservando meglio, si accorge che si tratta di un piccolo corpo umano in decomposizione.
Dato l’allarme, intervengono le Forze dell’Ordine, vengono svolti rilievi ed esami. I peggiori timori prendono corpo. Quello che, a voce bassa, tutti mormorano viene ufficializzato dall’Autorità Giudiziaria: il corpo è proprio quello della povera e sventurata Yara Gambirasio, scomparsa esattamente tre mesi prima.
Ad un primo esame del medico legale il corpo presenta sei ferite di arma da taglio, una ferita profonda al collo, numerosi colpi probabilmente inferti con una spranga ed un devastante trauma cranico.
Si tratta di un delitto connotato da una crudeltà devastante, perpetrato con modalità raccapriccianti.
L’autopsia non evidenzierà tracce di violenza sessuale. Non si esclude che il feroce criminale, non riuscendo nell’intento di perpetrare un abuso sessuale, abbia scatenato la sua violenta reazione parossistica da frustrazione.
Dal referto autoptico e dai rilievi della scientifica emergono particolari che aggiungono orrore ad orrore: la ragazzina non è morta subito, ma, lasciata agonizzante, è deceduta dopo un certo lasso di tempo a causa della combinazione letale delle ferite devastanti e del freddo estremo.
L’eccezionalità delle indagini giudiziarie
L’intera comunità è sotto shock. Chi può aver ucciso in un modo così terrificante e cruento una povera ed innocente ragazzina di tredici anni? La risposta che si danno tutti, come sempre in questi casi, un mostro. Un mostro che vive e si mimetizza in mezzo a loro. Ma com’è possibile?
Inizia quindi, in modo serrato, la caccia al “mostro”. Gli inquirenti fanno il possibile e l’impossibile. Quello che si verifica nelle indagini giudiziarie sull’orrendo delitto della piccola e sventurata Yara, è qualcosa mai riscontrato prima negli annali delle statistiche giudiziarie. Si utilizza, in modo eccezionale, smodato e finanche esagerato lo strumento della cosiddetta genetica forense: vale a dire il celeberrimo DNA.
Viene utilizzato a pioggia, in maniera scriteriata ed indiscriminata, testando ben 25700 persone! È qualcosa di mai visto. Inaudito. La Procura è investita da potenti attacchi giornalistici per l’utilizzo incongruo ed improprio dell’ematologia forense, con costi altissimi a carico del cittadino.
Tutti, addetti ai lavori e non, sono sbalorditi.
Del resto, una delle leggi fondamentali in materia di crimini è che le investigazioni le conducono gli inquirenti. La pur preziosa criminalistica/scienza forense (in questo caso la genetica forense) può e deve essere un supporto, tanto prezioso quanto dirimente, ma non deve sostituirsi alla figura dell’inquirente.
Nonostante questo titanico e ciclopico sforzo profuso per ben 3 anni non si ottiene nessun risultato. I media si scatenano contro gli inquirenti.
Poi, all’improvviso, soltanto per una pura casualità o per un colpo di fortuna arrivano i risultati e sono subito oggetto di veementi contestazioni.
Il misterioso “Ignoto 1”
Tuttavia, l’utilizzo – sia pure abnorme – del DNA ha una sua ragion d’essere.
Infatti, sul corpicino straziato della ragazzina è stata individuata una traccia genetica con relativo profilo. In special modo sugli indumenti intimi.
Da quel momento, gli investigatori hanno una sola ossessione: abbinare un nome a quella traccia.Per adesso, viene denominata Ignoto 1.
Dopo serrate indagini e test genetici come in una catena di montaggio, si arriva ad identificare un nome: si tratta di Pierpaolo Guerinoni. L’uomo risulta estraneo alla vicenda, ma ha un fratello Giuseppe, ex autista di pullman, deceduto nel 1999, che risulta avere avuto decine di relazioni coniugali.
Gli investigatori pensano ad un parente dell’autista, probabilmente ad un figlio illegittimo.
A seguito di controlli a tappeto nella zona si apprende che l’uomo decenni addietro avrebbe avuto una relazione extraconiugale con una donna del luogo. Precisamente con una vicina di casa.
La donna ha un nome: si chiama Ester Arzuffi, è sposata con Giovanni Bossetti ed ha due figli gemelli, nati il 28 ottobre 1970: una femmina di nome Laura Letizia ed un uomo di nome Massimo.
Individuata la donna, si effettua la comparazione del materiale genetico prelevato sui vestiti di Yara con il suo DNA nucleare materno. Il risultato è sorprendente: corrisponde al misterioso “Ignoto 1” per parte materna.
Gli inquirenti non hanno più dubbi. Il soggetto ignoto è il figlio illegittimo della donna, concepito con Giuseppe Guerinoni.
La Arzuffi nega recisamente. Ciononostante gli inquirenti seguono con pervicacia la loro strada ed appuntano le attenzioni sul figlio maschio che svolge l’attività di muratore e che insieme alla sorella sarebbe nato dalla relazione clandestina.
La donna negherà sempre con forza fino alla sua morte avvenuta il 29 aprile 2018.
Massimo Bossetti
Nel corso di un’operazione di controllo stradale (non si sa quanto casuale e quanto predisposta), fra i tanti fermati ce n’è uno che viene sottoposto al test dell’etilometro con relativo prelievo del DNA. Si chiama Massimo Giuseppe Bossetti. Ha 44 anni ed è un muratore di Mapello. Bossetti non è uno a caso, ma – come anticipato – è uno dei due figli di Ester Arzuffi.
Per la cronaca è il 16 giugno del 2014. Sono trascorsi quasi quattro anni dall’orrendo delitto.
Il test genetico dimostra l’esatta corrispondenza fra l’uomo ed il profilo ematico rinvenuto sul corpo della tredicenne uccisa in modo feroce.
Per gli inquirenti, non ci sono dubbi: Ignoto 1 è Massimo Bossetti
Da quel momento per tutti gli italiani, Bossetti è il mostro che ha ucciso nel corso di un maldestro, ma violentissimo, tentativo di aggressione sessuale Yara Gambirasio.
L’uomo da subito si professa innocente. A nulla vale la testimonianza della moglie, la quale afferma che il marito la sera del delitto era a casa con lei.
La vicenda giudiziaria
Con queste premesse investigative, per gli inquirenti certe ed inoppugnabili, Bossetti viene rinviato a giudizio.
Il 3 luglio del 2015 inizia in Corte d’Assise a Bergamo il processo a Bossetti.
Come facilmente immaginabile, c’è la folla delle grandi occasioni. Il pubblico dei grandi processi mediatici. Anche stavolta ci si divide fra colpevolisti (i più) ed innocentisti (i meno).
Le prove del DNA sembrano schiaccianti. L’uomo si difende, affermando di soffrire di frequenti epistassi che impregnerebbero i suoi fazzoletti e finanche i suoi abiti, dei quali si libererebbe, a volte, in modo incongruo. Questo spiegherebbe le tracce ematiche rinvenute. È una difesa labile, estremamente labile, ma viene ripetuta con ostinazione.
I suoi avvocati presentano una lista chilometrica di testimoni: 711 per la precisione!
Se fossero tutti insieme contemporaneamente riempirebbero decine di aule di tribunale.
Gli avvocati di Bossetti contestano in radice il test di genetica forense, in termini di fallacia e di errore. Avanzano anche delle ipotesi investigative diverse, sostenendo che la povera Yara sia morta vittima di un episodio di feroce bullismo di gruppo o che sia incappata fra alcuni anomali delitti, verificatisi in quelle zone.
Ciononostante, il 1 luglio del 2016 Massimo Bossetti viene riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo.
Il verdetto verrà confermato sia in appello giusto un anno dopo, il 17 luglio 2017, sia in Cassazione il 12 ottobre del 2018.
In questo modo la sentenza diventa definitiva.
Per la Giustizia italiana Massimo Giuseppe Bossetti è il mostro che ha seviziato ed ucciso la povera Yara Gambirasio.
Sipario chiuso? Non proprio.
Ipotesi alternative
Nonostante la sentenza definitiva, gli avvocati di Bossetti si battono per una revisione del processo e presentano ripetute istanze di riesame dei reperti, ma le istanze vengono tutte respinte.
Fra l’altro, vi è l’ostacolo tecnico insormontabile che il campione generico di Ignoto 1 – servito per la comparazione – è andato distrutto nell’esperimento.
Molte ipotesi continuano a sostenere che il delitto sia maturato nell’ambiente del cantiere edile, dove i cani molecolari avevano fiutato le tracce di Yara. Gli addetti del cantiere smentiscono e si difendono per vie legali. Certo è che non emerge nulla che suffraghi tale ipotesi.
Altre ricostruzioni contestano in radice la validità del test del DNA e la sua presunta infallibilità.
Intanto, Bossetti dal carcere continua a proclamarsi innocente.
Va anche detto però che, a volte, anche criminali che compiono delitti terrificanti (come quello di Yara) possono proclamarsi, ad oltranza, innocenti, non tanto per meccanismi di rimozione intrapsichici ma per il semplice motivo che non accettano di essere considerati, in primis nell’ambiente carcerario ed in secundis nella società esterna, autori di delitti così feroci.
Conclusioni
A conclusione della disamina criminologica e giudiziaria di questa tragedia, non possono non rimanere delle zone d’ombra.
Come detto, per la giustizia italiana il caso è chiuso. Il colpevole è stato individuato (anche se con metodiche criminalistiche ed investigative eterodosse). É stato sottoposto, con tutte le guarentigie di legge che l’ordinamento appronta per tutti i cittadini, ai tre gradi di giudizio, al termine dei quali è risultato colpevole in via definitiva.
Adesso deve scontare la condanna.
Tuttavia, è anche opportuno e doveroso precisare – astraendoci dal caso specifico ma effettuando una valutazione tecnico-scientifica generale di tipo criminologico e criminalistico – che non è mai congruo condannare (fra l’altro a pene severissime) un individuo solo sulla base delle tracce ematiche di genetica forense. È sempre auspicabile che la condanna sia supportata da un corredo di ulteriori prove.
Ciò in quanto il celeberrimo, tanto decantato e quasi miracolistico, DNA presenta numerosi rischi di alterazione e falsificazione involontaria in termini di prelievo, di refertazione, di conservazione e della relativa catena di trasmissione del reperto. Pertanto l’errore di valutazione incombe sempre sull’esito del verdetto.
Non bisogna dimenticare che nella nazione dove il DNA è considerato la regina delle prove giudiziarie (la cosiddetta queen of trials) – gli Stati Uniti d’America – sono innumerevoli ed abominevoli gli errori compiuti conosciuti e tanti, troppi, i casi di innocenti condannati a morte solo sulla scorta della famosissima particella genetica.
Si tratta di un dato tanto drammatico quanto incontrovertibile, che deve far riflettere ed al tempo stesso avversare soluzioni giudiziarie, che fondino condanne severe soltanto sulla scorta di test genetici.