Covid, "ci sono due pandemie" a causa della variante Omicron: come usciremo dall'emergenza secondo l'esperto
Il professor Giuseppe Remuzzi spiega che il coronavirus si muove con due pandemie parallele, e cosa sarebbe meglio auspicarsi in questo momento
“In un certo senso abbiamo due pandemie. Una sostenuta dalla variante Omicron e l’altra dalla variante Delta”. Lo ha spiegato Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, al Corriere della Sera. “Non dobbiamo dimenticare che molti pazienti in terapia intensiva hanno contratto la Delta, che ha continuato a espandersi anche nelle ultime settimane”, ha sottolineato l’esperto, tracciando il profilo di chi è più a rischio di contrarre il Covid in forma grave e finire in terapia intensiva.
Covid, “ci sono due pandemie” all’interno degli ospedali: l’allarme di Remuzzi
“Anche all’interno degli ospedali ci sono due pandemie. Una dei vaccinati e una dei non vaccinati. Come si vede dai grafici dell’Istituto Superiore di Sanità, che misurano l’incidenza dei ricoveri ogni 100 mila abitanti divisa per status vaccinale e classe di età, l’essere vaccinati protegge in un modo importantissimo”, ha evidenziato il medico.
“Con la terza dose del vaccino anti Covid in generale finiscono in terapia intensiva solo persone anziane e che hanno altri tipi di malattie associate. La percentuale di non vaccinati in ospedale è altissima, se tutti fossimo vaccinati, non ci sarebbe alcun problema di saturazione dei posti letto”, e dunque non ci sarebbero limitazioni relative al cambio di fascia di colore delle regioni e delle province autonome, ora determinate proprio dall’occupazione degli ospedali.
Covid, “due pandemie”: cosa succede se la variante Omicron supera la Delta
Le prossime due settimane saranno decisive per capire come la pandemia evolverà. “Se le due varianti dovessero continuare a coesistere, questo potrebbe rappresentare un problema”.
Ma se la variante “Omicron riuscisse a sopraffare la Delta, dal momento che la malattia che provoca è meno severa, allora forse riusciremo a vedere la discesa della curva nel giro di qualche settimana. L’espansione rapidissima di Omicron che sovrasti Delta non sarebbe in sé una cattiva notizia”.
Questo perché Omicron è particolarmente contagiosa porterebbe “prima al picco della curva dei nuovi positivi. Allo stesso modo, come già successo in Sudafrica e Gran Bretagna, sarà più veloce anche il calo, ma se vogliamo parlare di fine della pandemia, credo che dovremo ancora prendere delle precauzioni almeno per un paio d’anni”.
L’immunità di gregge, che potrebbe arrivare grazie alla diffusione endemica della variante Omicron e all’alto tasso di vaccinazioni nel nostro Paese, potrebbe rappresentare una via di uscita dalla pandemia, ma “resterebbero da considerare le mutazioni del virus” e “la circolazione delle persone”.
Riguardo la polemica sulla riapertura delle scuole e la richiesta di abbandonare definitivamente la didattica a distanza, il professor Giuseppe Remuzzi ha spiegato che “la scuola è rimasta chiusa per tanto tempo e i contagi hanno continuato ad aumentare”. Per questo è possibile ipotizzare “che il contributo degli studenti sia davvero irrilevante con una variante che si diffonde con tale velocità”.
Covid, come si cura oggi in Italia e quali farmaci abbiamo a disposizione
La buona notizia è che oggi sappiamo curare meglio il Covid. Proprio due studi condotti al Mario Negri di Milano hanno dimostrato l’efficacia degli antinfiammatori steroidei utilizzati nelle prime fasi della malattia, che riducono “del 90% l’evoluzione verso le forme gravi e l’ospedalizzazione. Entrambi gli studi hanno dei limiti e manca ancora la prova definitiva”.
Il paracetamolo, conosciuto anche con il nome commerciale di Tachipirina, invece, consuma il glutatione, “che è un antiossidante molto potente”. È da sconsigliare in caso di Covid, perché i pazienti hanno in genere uno stress ossidativo importante, “probabilmente responsabile del danno infiammatorio polmonare, associato a deficit di glutatione e si è visto che questo deficit aumenta con l’età”.
“I farmaci antivirali”, ha spiegato ancora il professor Remuzzi, “impediscono al coronavirus di replicarsi e quindi fermano la malattia ancora prima del suo manifestarsi. Andrebbero dati entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi in quei pazienti che si prevede finiranno per avere una malattia più severa e che devono essere segnalati dai medici di medicina generale”.
Oggi in Italia è possibile usare il molnupiravir prodotto da Merck & Co., “che riduce la malattia severa con un’efficacia del 30%”, ma dovrebbe presto essere disponibile anche il paxlovid della Pfizer, che in base ai primi studi “arriva all’87% di efficacia”.
“Gli anticorpi monoclonali funzionano contro le altre varianti, contro la variante Omicron non sono più efficaci. L’unico che funziona per adesso è sotrovimab di Gsk. In prospettiva ce ne saranno altri, allo studio”, ha sottolineato Giuseppe Remuzzi, parlando dei nuovi farmaci anti Covid.
Per quanto riguarda altri tipi di farmaci, “sembra che l’eparina funzioni se data nelle fasi precoci. Sull’idrossiclorochina sono stati fatti tantissimi studi e la conclusione è che non dà vantaggi. Stesse conclusioni per colchicina e ivermectina: non ci sono state differenze tra i pazienti trattati e quelli dei gruppi di controllo”.