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Covid, la variante sudafricana preoccupa: resiste al vaccino

Unico a essere stato testato nel sud del continente, il vaccino di Novavax non si è dimostrato efficace nel 40% dei casi affetti dal temuto ceppo

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

La  strada della più grande campagna di profilassi mai tentata a livello mondiale non sembra priva di ostacoli. Negli ultimi giorni si è parlato di un contratto opaco tra le aziende Pfizer e BioNTech, produttrici dell’omonimo vaccino, e l’Unione Europea. Sotto i riflettori sono finiti i ritardi di AstraZeneca e i guai dell’azienda con il via libera da parte delle autorità di regolamentazione, non soltanto negli Usa, ma anche in Europa.

Pfizer e BioNTech hanno inoltre rimandato più volte le consegne, recapitando ai paesi membri dell’Ue una quantità inferiore di dosi rispetto a quanto preventivato in fase di acquisto, con il conseguente slittamento in avanti delle deadline che, secondo i piani dei singoli governi, dovrebbero scandire le tappe per raggiungere l’agognata immunità di gregge.

Dopo settimane a dir poco convulse arriva l’ennesima notizia in grado di far parlare. Si tratta del vaccino Novavax, sperimentato non soltanto sulla la tipologia più diffusa di nuovo coronavirus, ma anche sulle cosiddette varianti del Covid, in particolare quella inglese e sudafricana

La prima, indicata con le sigle 20B/501YD1 oppure B.1.1.7, è stata isolata a settembre a Londra e successivamente ha raggiunto almeno 33 paesi, tra i quali, con una ventina di casi, c’è anche l’Italia. La sudafricana, sigla N501Y, sembra essere più contagiosa e con una maggiore carica virale, pur non presentando sintomi più gravi rispetto a quelli osservati tra i contagiati durante le precedenti ondate della pandemia.

Il timore è che le varianti possano rendere necessario un aggiornamento dei vaccini a nostra disposizione o addirittura provocarne l’inefficacia rispetto a mutazioni particolarmente distanti dalla struttura genetica del virus così come è stato decifrato in laboratorio. 

Ebbene, rispetto agli allarmi lanciati in questi giorni, non è chiaro se le ultime di Novavax siano motivo di rassicurazione, almeno parziale.

Come confermato da alcuni studi clinici che ne hanno accompagnato la fase di sperimentazione, il ritrovato dell’omonima compagnia di biotecnologie americana è efficace all’89,3% contro la variante inglese e in misura inferiore contro la variante sudamericana, rispetto alla quale garantisce un’efficacia clinica definita tuttavia “significativa” dal presidente e amministratore delegato della compagnia Stanley C. Erck.

Il vaccino Novavax, la variante inglese e quella sudafricana

Nome ufficiale NVX-CoV2373, il vaccino Novavax è giunto alla terza fase di sperimentazione in Gran Bretagna, Messico e Stati Uniti. 

In un comunicato stampa diffuso venerdì, la compagnia ha comunicato i risultati dei test, come già sottolineato assai promettenti contro la variante isolata per la prima volta a Londra ma meno promettenti nel caso del ceppo sudafricano

Lo studio portato avanti in Gran Bretagna ha preso in considerazione 15mila volontari la cui età è compresa tra i 18 e gli 84 anni. Nel campione monitorato sono emersi 56 casi di coronavirus tra chi è stato trattato con un placebo e 6 tra i riceventi il vaccino Novavax. Da qui una stima di quasi il 90% dell’efficacia. Una soglia assimilabile a quella del ritrovato Pfizer-BioNTech, al momento tra i più quotati nonostante la difficile conservazione.

La ricerca condotta nel Sudafrica non ha avuto le stesse dimensioni. Si tratta di una sperimentazione di fase due, quindi a uno stadio meno progredito rispetto a quello che ha visto protagonista il Regno Unito. 

I volontari in questo caso sono stati 4mila e 400. I contagi da coronavirus sono stati 29 tra coloro ai quali è stato somministrato il placebo, 15 invece nel restante gruppo. La quasi totalità dei contagiati (il 92,6%) si è rivelato affetto della variante più contagiosa e virulenta, un’ulteriore dimostrazione di quanto effettivamente abbia attecchito la N501Y tra gli abitanti della punta del continente.

La quantità di immunizzati, oltre a non rappresentare una stima definitiva, cambia a seconda che si includano o no le persone portatrici di HIV, un problema diffusissimo nel Paese di elezione dei test. Nel primo caso, il nuovo preparato funziona nel 49,7% dei casi. Affetti da Aids esclusi, il vaccino Novavax raggiunge l’obiettivo nel 60% delle somministrazioni.

Come funziona il vaccino Novavax

Nel comunicato stampa diffuso nella giornata di giovedì, si legge che “NVX-CoV2373 è stato creato utilizzando la tecnologia delle nanoparticelle ricombinanti di Novavax per generare l’antigene derivato dalla proteina del coronavirus spike (S)”. Inoltre, “NVX-CoV2373 contiene antigene proteico purificato e non può replicarsi, né può causare Covid-19”.

“Ad oggi – continua il messaggio – oltre 37.000 partecipanti hanno partecipato a quattro diversi studi clinici in cinque paesi. NVX-CoV2373 è attualmente in fase di valutazione in due studi cardine di Fase 3: uno studio nel Regno Unito che ha completato l’arruolamento a novembre e lo studio PREVENT-19 negli Stati Uniti e in Messico, iniziato a dicembre”.

La temperatura di conservazione varierebbe tra gli 8 e i 12 gradi centigradi, il che renderebbe possibile trasportare una soluzione liquida in grado di sfruttare la catena di approvvigionamento attualmente a disposizione dei vaccini già esistenti. 

Novavax ha assicurato la produzione di 2 miliardi di dosi entro la fine del 2021 ma c’è chi ha espresso qualche dubbio rispetto a un obiettivo forse troppo ambizioso per un’azienda dalle dimensioni relativamente modeste.

Cosa dicono gli esperti sul vaccino Novavax

Le reazioni ai test sulla variante inglese sono state caratterizzate dall’entusiasmo. Non sorprende, trattandosi di risultati ampiamente positivi. 

Tra tutte si è distinta quella del primo ministro inglese Boris Johnson, che ha parlato di “buona notizia” e ha individuato la seconda metà dell’anno come finestra temporale per le prime inoculazioni, naturalmente legate a un vincolante via libera delle autorità regolatorie. 

Più difficile interpretare i dati provenienti dal Sudafrica.

Cosa significa che il vaccino di Novavax è efficace al 60% contro una delle varianti che fin da subito si è presentata come un motivo di ragionevole preoccupazione da parte di virologi, governi e semplici cittadini? Un’immunità garantita in un caso su due è abbastanza? Possiamo considerare Novavax, l’unico vaccino finora testato in Sudafrica, un’arma affidabile nella battaglia contro la pandemia?

La risposta naturalmente spetta agli esperti, ma fin da subito vale la pena segnalare che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) prevede che un vaccino funzioni almeno al 50 per cento per poter essere utile contro il Covid. Nel secondo studio citato, quindi, Novavax si fermerebbe sulla soglia.

Gli studiosi che non fanno riferimento all’Oms suggeriscono innanzitutto cautela, siccome quelli a nostra disposizione sono dati parziali estrapolati su un campione di soggetti dalle caratteristiche uniche.

Roger Lord della facoltà di Health Sciences all’Australian Catholic University ha definito “ambigui” i risultati dell’analisi così come riferiti nel comunicato nella parte rispettiva al Sudafrica. Sentita dall’Australian Science Media Centre, Raina MacIntyre, esperta di influenza e malattie infettive emergenti, ha definito “mixed”, miste, le notizie che hanno accompagnato il nuovo mezzo di prevenzione.

C’è anche chi si è abbandonato a un cauto ottimismo, come John Moore. Il professore della Weill Cornell Medicine ha dichiarato al New York Times che “cinquanta è pur sempre migliore di zero”, subito dopo richiamando l’attenzione sull’urgenza di vaccinare la popolazione in tempi rapidi per evitare ulteriori mutazioni.

Varianti Covid, la lezione di Burioni: come nascono e conseguenze Fonte foto: ANSA
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