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Covid, terza ondata e vaccino: cosa aspettarsi secondo Pregliasco

Fabrizio Pregliasco in un'intervista a Virgilio Notizie fa il punto sull'emergenza Covid e sulla prossima campagna di vaccinazioni

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

Si avvicinano le festività natalizie e con esse si avvicina anche il primo anniversario di un evento che ha in qualche modo cambiato la vita di milioni di persone nel mondo. Era il 30 gennaio 2020 quando una coppia di turisti venne ricoverata all’istituto Spallanzani di Roma, dando di fatto inizio all’allarme Covid-19 in Italia.

L’emergenza sanitaria ha messo a dura prova non solo il sistema sanitario nazionale, ma anche diversi comparti produttivi del Paese. E mentre le notizie impazzano, si percepisce sempre con maggiore forza la necessità di un ritorno alla vita così come la conoscevamo prima della pandemia. Un obiettivo che però, nonostante il fronte dei vaccini stia andando avanti velocemente, risulta ancora lontano.

Con VirgilioNotizie abbiamo cercato di fare un punto sullo stato dell’arte con il dottor Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano e presidente dell’Anpas.

Dottor Pregliasco, si parla di una terza ondata. Ci sarà davvero?

Nelle passate pandemie i virus si sono mostrati con diverse ondate, in genere appunto tre. Questo è il caso ad esempio della spagnola. Consideriamo poi che nel caso del Covid-19, a causa delle caratteristiche del virus, nel corso di questi mesi siamo solo riusciti a mitigare la diffusione, ma non a sconfiggerlo. Ecco perché dovremmo aspettarci una terza ondata e perché è fondamentale prestare ancora la massima attenzione.

Grazie alle misure contenitive adottate siamo riusciti a contrastare il picco di infezioni, attualmente in calo. Sarà però importante prestare attenzione durante le feste di Natale, molta più attenzione rispetto a questa estate, e limitare al massimo gli spostamenti. L’andamento dei prossimi mesi dipenderà tutto da noi.

A proposito delle misure contenitive, come pensa che abbia agito il governo in questi mesi? Pensa che le cose si sarebbero potute gestire meglio o diversamente?

Penso che questa sia una situazione inedita per tutti e che quindi si stiano sperimentando di volta in volta delle soluzioni diverse in base al momento. Chiaro che dal punto di vista sanitario sarebbe stato meglio continuare il lockdown totale così come lo abbiamo sperimentato durante la prima ondata, ma occorre anche vigilare sulla tenuta sociale ed economica del Paese. La scelta di costituire delle zone – rossa, arancione e gialla – nella seconda fase andava proprio in questa direzione.

Occorre compendiare con delle scelte politiche, ma non esiste un manuale della strategia perfetta. È tuttavia fondamentale ricordare, al di là delle scelte politiche, che tutti noi abbiamo un dovere di responsabilità. Dobbiamo purtroppo considerare le persone, anche le più vicine, come possibili elementi di infezione. La contagiosità è uno tra i maggiori elementi di forza del virus e forse anche il nostro maggiore punto di debolezza.

Ci aiuta a fare un punto sulla questione vaccini?

Ci sono due elementi centrali che ruotano attorno ai vaccini: la necessità di stabilire un modo per convivere con il virus e una questione geopolitica, strettamente legata alla prima. Intendo dire che il Paese che prima riuscirà a vaccinare la popolazione sarà anche il primo che riuscirà a stabilire una civile convivenza con il virus.

Occorre considerare che questa sarà una campagna di vaccinazione epocale. Bisognerà informare bene, portare la gente a vaccinarsi. L’effetto sommatorio sarà di fondamentale importanza per raggiungere la tanto agognata immunità di gregge. Bisogna considerare che in ogni caso gli effetti si vedranno nel tempo.

Si è diffuso anche il timore che ai vaccini si sia lavorato troppo in fretta e che quindi possano essere poco sicuri.

Su questo mi sento di dare rassicurazioni. I vaccini non sono stati sviluppati in fretta, c’è solo stata una mobilitazione enorme che ha velocizzato notevolmente alcune prassi. Ma gli studi che sono stati elaborati fino ad ora sono fatti bene. È chiaro che poi nel tempo potranno emergere alcuni elementi su cui si potrà tornare a lavorare, ma questo rientra nella normalità.

Anche l’aumento dei gruppi di vaccino-scettici complica ulteriormente le cose…

Sì ma ritengo anche che sia una cosa abbastanza normale. Noi siamo abituati a sottoporci ad una terapia farmacologica sulla base di una sintomatologia che ci fa stare male. Quindi il disagio che proviamo supera la paura dei farmaci. Con i vaccini è diverso perché diversa è la valutazione dei rischi e perché noi ci sottoponiamo alle vaccinazioni quando stiamo bene.

Dopo la vaccinazione le nostre abitudini di vita torneranno quelle di prima?

Non subito. L’effetto del vaccino inizierà a vedersi quando avremo vaccinato il 20-30% della popolazione, ma occorrerà essere ancora prudenti e continuare con il distanziamento e con l’uso delle mascherine per un po’ di tempo.

Si parla di immunità con il 60-70% della popolazione vaccinata. Nel caso in cui non si raggiungessero queste cifre con la vaccinazione volontaria sarebbe favorevole all’obbligatorietà?

L’obbligatorietà sarebbe la soluzione migliore, ma la scelta politica non è facile. Occorre non dimenticare che la vaccinazione ha un valore sociale, è il modo con cui noi tutti proteggiamo la nostra comunità e il nostro servizio sanitario nazionale, già messo a dura prova nel corso di questi mesi.

Lei è anche presidente dell’Anpas. Il Terzo Settore, così come il servizio sanitario nazionale, rappresenta da sempre un fiore all’occhiello dell’Italia. In particolare in questa emergenza, quanto ha influito l’intervento dei volontari?

Il volontariato è stato determinante. Questa emergenza ci ha ridato l’opportunità di tornare ad una dimensione di mutualità che era tipica ad esempio del tempo dei nostri nonni, quando non esisteva il welfare che c’è oggi. Abbiamo portato i libri ai bambini lasciati a scuola, fatto la spesa alle persone, sostenuto gli anziani. Abbiamo trovato nuove modalità di risposta all’emergenza. È una cosa di cui, alla luce della mia storia di volontariato lunga 40 anni, vado particolarmente fiero.

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