Coronavirus, la testimonianza della gip colpita dal Covid-19
Il diario di Ezia Maccora: "La febbre, il fiato corto, il ricovero con mio marito"
I sintomi, il ricovero in ospedale, la paura di morire, ma anche il lieto fine. Ezia Maccora, vice presidente dell’Ufficio dei giudici delle indagini preliminari del Tribunale di Milano, ha raccontato la sua esperienza con il coronavirus in un diario affidato alla rivista ‘Questione Giustizia’. I passaggi principali sono stati ripresi dal Corriere della Sera.
Il diario parte dall’8 marzo, quando iniziano i primi malesseri. “Nell’immediatezza speravo si trattasse di stanchezza, ma la febbre, i dolori in tutto il corpo, la spossatezza erano sempre più intensi – scrive la Maccora -. Ero distrutta e sono rimasta come stordita per una settimana, prendendo al bisogno del paracetamolo».
Il gip lavora a Milano, ma vive a Bergamo. Venerdì 13 marzo “nello scendere le scale di casa mi accorgo di avere il fiato corto. Mio marito, medico, mi fa vestire velocemente, mi dice di prendere un cambio e mi accompagna in ospedale a fare una tac. Prima di uscire non riesco neanche ad abbracciare mia figlia che mi guarda con i suoi occhioni tra l’impaurito e la voglia di farmi coraggio”.
In ospedale, continua la Maccora, “mi comunicano che nel letto accanto ricovereranno anche mio marito, che nel frattempo aveva fatto la tac ed era risultato anche lui positivo. Non avevo neanche la forza di alzare la testa dal cuscino, restavo in silenzio, il mal di testa mi stordiva completamente e la febbre alta faceva il resto».
Come sono le giornate di una persona ricoverata in ospedale? “Scandite dai tempi dei prelievi, tutte incombenze affidate a gentili infermieri e infermiere che, con sistemi di protezioni individuali, entravano nella stanza e si avvicinano cercando di portarti quel minimo di conforto umano che quando sei così prostrata non riesci neanche ad apprezzare e che solo col tempo capisci quanto invece sia stato prezioso per la tua ripresa. Di notte, il suono delle sirene delle ambulanze che si avvicinavano all’ospedale”.
Dopo alcuni giorni, finalmente la febbre scende “e per le successive 72 ore ne sono stata liberata. Il mio corpo ha percepito il cambiamento in corso: era come se avessi raggiunto la temperatura più bassa possibile e da lì è partita la ripresa”.
Un sospiro di sollievo per se stessa, ma non per suo marito, che si aggrava. “Per giorni è stato attanagliato nella morsa di una febbre altissima, non mangiava e non reagiva a nessuno stimolo. Era svuotato, assente, non riusciva a prendersi cura di sé, non lo riconoscevo più. Iniziavano a preoccuparsi anche i medici che venivano a trovarlo e che lo stimolavano a reagire”.
Il giudice racconta che il suo compagno arriva a perdere “15 chili nel giro di una settimana. Veniva alimentato per via parenterale, ma anche quello era un problema per la difficoltà di trovare un adeguato accesso venoso. Sono stati giorni estenuanti, difficili, ma alla fine anche lui una sera mi ha chiesto di aiutarlo ad alzarsi dal letto per radersi. Quello è stato l’inizio della risalita“.
Ora stanno bene entrambi, la Maccora è stata dimessa e aspetta il marito a casa. “Credo che raccontare il Covid-19 con gli occhi di chi l’ha vissuto possa essere un modo per non dimenticare, dal punto di vista umano, una realtà che ha stravolto la nostra esistenza. Abbiamo un sistema sanitario straordinario che deve essere difeso e potenziato. Tante persone ogni giorno sono in prima linea e rischiano il contagio per prendersi cura degli altri e offrire loro una possibilità di vita. Tutte queste persone meritano un ringraziamento collettivo, senza di loro oggi io, per prima, non sarei qui a raccontare quello che mi è accaduto”.
Inevitabile un passaggio sulla situazione di Bergamo: “Ci hanno lasciato molte persone a noi care, un’intera generazione non c’è più e sono andati via senza il conforto dei loro cari. Le immagini delle bare che lasciano il piazzale del cimitero alla ricerca di altri lidi per la cremazione resteranno per sempre scolpiti nella mia mente e nel mio cuore. In quelle bare ci sono anche degli amici e delle persone care. Ci sarà bisogno di un momento collettivo di elaborazione di questo grande lutto che ci ha colpito. Nessuno può farcela da solo“.