Coronavirus, programmare fase 2 solo con i test: l'idea di Galli
Secondo l'infettivologo parlare di riapertura è prematuro: le scuole farebbero meglio a restare chiuse
La fase 2 dell’emergenza coronavirus in Italia andrà programmata solo dopo aver assicurato i test al maggior numero di persone. È di questo parere l’infettivologo Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano. Nel dibattito organizzato dalla pagina Facebook “Coronavirus – Dati e analisi scientifiche” l’esperto ha spiegato che è importante colmare l’attuale “carenza dispositivi diagnostici”.
“Dobbiamo interrogarci – ha aggiunto l’infettivologo – sul perché l’Italia non abbia messo in piedi linee di diagnostica per passare alla fase 2, oggi prematura, ma da programmare altrimenti si rischia di spalmare la ripresa in un tempo infinito o anticipata, con il rischio di nuovi focolai”.
Coronavirus, Galli e i numeri reali dei contagi
Sui numeri effettivi dell’epidemia in Italia, Galli e il fisico Federico Ricci Tersenghi, dell’Università Sapienza di Roma, hanno riferito durante il dibattito che sarebbero circa un milione i casi. “È inutile dire che l’Italia ha il tasso letalità più alto del mondo, in realtà – ha sottolineato Galli – ha il denominatore più sballato del mondo: manca il 90% di chi ha l’infezione. Circa un milione l’ha incontrata”.
Coronavirus, Galli e la riapertura delle scuole
Per quanto riguarda le scuole, ha dichiarato Massimo Galli in collegamento durante la trasmissione Agorà su Rai3, “è più prudente che non riaprano proprio, per una serie di ottimi motivi”.
“La cosa, tra l’altro, che mi domando è quale senso avrebbe riaprirle per pochi giorni di maggio” ha ribadito, come riporta Ansa, il direttore dell’Istituto di Scienze Biomediche he all’ospedale Sacco di Milano.
Coronavirus, Galli: “Clamoroso fallimento” nella gestione dell’emergenza
Durante la trasmissione condotta da Serena Bortone, inoltre, Galli ha parlato anche della gestione in generale dell’emergenza Covid-19 in Lombardia: “C’è stato un clamoroso fallimento, e di questo ne dovremo prendere atto per il futuro, della medicina territoriale, ammettiamolo e riconosciamo questo aspetto”.