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Vaccini e antinfiammatori: la ricetta di Remuzzi contro il Covid

Il direttore dell'Istituto Mario Negri espone la sua scoperta sull'efficacia degli antinfiammatori nella cura al Covid-19

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

Il Covid-19 è una malattia che se presa alle prime insorgenze può essere bloccata in tempo. La chiave per curarla prima che si trasformi nella forma più grave potrebbe essere l’uso tempestivo degli antinfiammatori. Lo sostiene il professore Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri tramite uno studio portato avanti col suo team.

“Fin dall’inizio avevano l’idea che la malattia di Covid-19 si potesse curare a casa nelle fasi molto precoci, fin dai primi sintomi, senza aspettare il tampone, semplicemente come si cura qualunque infezione delle alte vie respiratorie e cioè con degli antinfiammatori” dice in un’intervista all’Huffington Post.

Il medico spiega così la sua ricerca: “L’unico studio che potevamo fare era retrospettivo, cioè andando a vedere come erano andati dei pazienti, trattati con antinfiammatori ai primi sintomi, che avevamo selezionato per essere identici a un altro gruppo che abbiamo trattato con sistema tradizionale, cioè con vigile attesa e tachipirina.”

Alla base della terapia proposta dal professor Remuzzi  ci sono gli antinfiammatori Celecoxib e Nimesulide per la loro capacità di “inibire una serie di mediatori dell’infiammazione”.

Questi non sono farmaci da utilizzare fai da te, voglio ribadirlo, ma sotto osservanza medica – sottolineare il professore. In alternativa utilizziamo l’aspirina e questo per i primi 6-8 gg. Questa somministrazione avviene in fase precoce, alla comparsa dei primi sintomi. Poi si fanno degli esami in laboratorio dopo 8-10 gg, se ci sono segni di eccessiva infiammazione si somministra cortisone, mai prima di 8 giorni, e poi eventualmente eparina nel caso ci siano segni di attivazione della coagulazione.”

Il gruppo di ricerca dell’Istituto Mario Negri ha poi portato avanti lo studio ottenendo dei risultati che lo stesso direttore definisce sorprendenti: “La durata dei sintomi non si riduce rispetto alla cura tradizionale, è uguale. Ma l’obiettivo secondario che ci eravamo prefissati è centrato: 2 ospedalizzazioni su 90 con la nostra cura; 13 su 90 nei pazienti trattati con cura tradizionale. Tutto questo è nello studio che adesso è pubblico, in preprint, in attesa di essere pubblicato ufficialmente su una rivista scientifica.”

Oltre alla terapia il ricercatore infine sottolinea l’importanza della prevenzione contro il Covid-19 tramite il vaccino e prova a fare un’ipotesi su quando ci si potrà lasciare alle spalle l’epidemia: “Difficile fare previsioni. Penso che fra la bella stagione, la vaccinazione e il fatto che l’epidemie hanno delle campane di 40 giorni e poi tendono a diminuire, mi auguro che a giugno staremo molto meglio di adesso. E poi naturalmente dipende da quanto riusciamo a vaccinare.”

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