Presidente della repubblica
Tutto quello che c'è da sapere sul Presidente della Repubblica italiana: funzioni, poteri e attribuzioni del Capo dello Stato
Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e nella sua persona rappresenta l’unità della nazione.
Nel sistema politico italiano, una repubblica parlamentare, il Presidente della Repubblica è una figura istituzionale e non politica.
Il Presidente è la prima carica dello Stato. La seconda carica è il Presidente del Senato, il quale a norma dell’articolo 86 della Costituzione svolge le funzioni di supplente in caso di impedimento temporaneo del Capo dello Stato.
Le altre Alte cariche dello Stato della Repubblica Italiana sono il Presidente della Camera (terza carica), il Presidente del Consiglio dei ministri (quarta) e il Presidente della Corte costituzionale (quinta carica).
Elezione del Presidente della Repubblica
A norma dell’articolo 83 della Costituzione “Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All'elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato. L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta”.
Può diventare Presidente “ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d'età e goda dei diritti civili e politici” (art. 84).
Dunque la Costituzione permette teoricamente a chiunque di ambire al ruolo di Capo dello Stato. Tuttavia, di fatto, i Presidenti della Repubblica sono sempre stati scelti all’interno del mondo della politica.
Il Presidente rimane in carica per sette anni e può essere rieletto al termine del suo mandato.
Poteri e attribuzioni del Presidente della Repubblica
Al ruolo di Presidente della Repubblica sono attribuiti i poteri espressi dall’articolo 87 della Costituzione.
Il Presidente può:
- inviare messaggi alle Camere;
- indire le elezioni delle nuove Camere e fissarne la prima riunione;
- autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del governo;
- promulgare le leggi;
- emanare regolamenti e decreti con valore di legge;
- indire referendum popolari nei casi previsti dalla Costituzione;
- nominare funzionari dello Stato nei casi previsti dalla normativa;
- accreditare e ricevere i rappresentanti diplomatici;
- ratificare trattati internazionali;
- concedere le onorificenze della Repubblica;
- concedere la grazia e commutare le pene;
- dichiarare lo stato di guerra deliberato dalle Camere.
Il Presidente ha inoltre il comando delle Forze armate e presiede il Consiglio supremo di difesa e il Consiglio superiore della magistratura.
L’articolo 88 della Costituzione permette al Presidente di sciogliere le Camere o anche una sola di esse, sentiti i loro Presidenti. Prerogativa che non può essere esercitata negli ultimi sei mesi del suo mandato (il cosiddetto ‘semestre bianco’, salvo che essi coincidano con gli ultimi sei mesi della legislatura.
Oltre alle classiche prerogative presidenziali scritte nella Costituzione e ampiamente commentate nei libri di Diritto pubblico, e talvolta dal sapore puramente formale, il Capo dello Stato può esercitare anche altre facoltà con le quali incide materialmente e in maniera determinante nella vita pubblica.
Il rinvio delle leggi
Prima che una legge venga promulgata, il Presidente ha la facoltà di esercitare il diritto di rinvio alle Camere, qualora ravvisasse dei vizi.
Tale facoltà gli è attribuita dall’articolo 74 della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”.
Questo significa che in caso di seconda approvazione di un testo legislativo, senza modifiche, il Presidente sarebbe costretto a promulgarlo pur continuando a ravvisare delle irregolarità. In caso di vizi di costituzionalità interverrebbe poi il controllo successivo della Corte costituzionale.
Le consultazioni del Presidente della Repubblica
Le consultazioni non sono una facoltà presidenziale sancita dalla Costituzione. Si tratta invece di una consuetudine improntata al galateo istituzionale e consolidatasi con gli anni.
Dopo le elezioni politiche il Capo dello Stato lavora attivamente per mettere in piedi un esecutivo quanto più stabile e del più alto profilo possibile. A tale fine convoca i presidenti dei gruppi parlamentari, i rappresentanti delle coalizioni, i Presidenti di Camera e Senato e gli ex Presidenti della Repubblica.
Qualora alle elezioni politiche dovessero essersi presentati due poli contrapposti, che già durante la campagna elettorale abbiano espresso chiaramente i loro leader, allora generalmente il Presidente prende atto degli equilibri politici emersi dalle urne e affida la nascita del nuovo governo al leader della coalizione vincente.
In situazioni politiche più frastagliate il Presidente fa partire una serie di delicate consultazioni. Ciò può avvenire, ad esempio, quando il risultato elettorale mostri due partiti dal largo consenso popolare ed entrambi presentatisi alle elezioni senza alleanze. Qualora tali partiti fossero disposti a governare insieme ma non riuscissero a trovare una quadra sul nome del premier, ecco che il Capo dello Stato metterebbe in atto la sua mediazione al fine di far convergere i litiganti su un nome condiviso, anche estraneo al mondo della politica, purché di alto profilo. Quello presentato è solo un esempio fra i casi possibili.
In caso di situazioni improntate a incertezza e litigiosità, il Capo dello Stato può anche delegare le sue funzioni e conferire un mandato esplorativo al Presidente del Senato o a quello della Camera.
Quando le forze politiche esprimono un possibile premier, il Presidente gli affida il cosiddetto ‘preincarico’, ovvero la facoltà di svolgere ulteriori consultazioni al fine di avere la garanzia che un governo da lui formato otterrebbe la fiducia della maggioranza del Parlamento.
Una volta trovato l’accordo sul nome del premier è il momento di formare il governo.
Nella Costituzione l’articolo di riferimento è il numero 92, secondo il quale “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”.
Il Presidente della Repubblica riceve dunque una lista di nomi e fa valere il suo peso istituzionale per cassare nomi di profilo non adeguato o che abbiano espresso in passato posizioni non in linea con la Costituzione, in particolare con l’articolo 11 che parla della “limitazioni di sovranità” e delle “organizzazioni internazionali rivolte” ad assicurare “la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Sottotesto: Nato e Unione Europea.
La nomina dei senatori a vita
L’articolo 59 della Costituzione consente al Presidente della Repubblica di nominare cinque senatori a vita, scelti fra cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.
Non si tratta di una prerogativa puramente formale: ogni Presidente ha la sua storia politica e la nomina di persone schierate da una parte o dall’altra può incidere in maniera determinante sulle votazioni in aula, soprattutto nel caso di maggioranze risicate in cui anche pochi voti in più possono fungere da ago della bilancia.
Anche gli ex Presidenti della Repubblica (i Presidenti emeriti) diventano senatori a vita di diritto.
Il governo del Presidente
Nel gergo politico e giornalistico, per ‘governo del Presidente’ si intende un esecutivo di breve durata che con obiettivi ben definiti e membri scelti dal Capo dello Stato. Il fine di un governo del Presidente è superare una criticità o un’impasse.
Moral suasion del Presidente della Repubblica
Pur non essendo, formalmente, una figura politica, il Capo dello Stato può orientare l’agire di esecutivo e parlamento (così come l’agenda dei mass media) tramite moniti, consigli ed esortazioni.
Ricucire gli strappi istituzionali
Il Capo dello Stato si prodiga attivamente nell’ambito delle relazioni diplomatiche. Negli anni i vari Presidenti hanno lavorato attivamente e incessantemente per ricomporre le controversie internazionali sorte fra l’Italia e i principali partner europei.
Messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica
La messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica è quella che nella pubblicistica e nel gergo parlamentare viene comunemente (e impropriamente) definita ‘impeachment’, parola che non esiste nella Costituzione. L’ordinamento italiano protegge il Presidente della Repubblica dal rischio di venire incriminato per accuse pretestuose e inconsistenti tramite un articolato iter giudiziario. A norma dell’articolo 90 della Costituzione “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”. Segue poi un iter complesso e articolato.
Nessun Presidente della Repubblica è mai stato messo in stato d’accusa.
Solo in due occasioni si arrivò a sfiorare l’impeachment: nel 1978 quando il Pci annunciò di voler procedere contro il Presidente Giovanni Leone per lo scandalo Lockheed e nel 1992 quando Pds accusò Francesco Cossiga di avere snaturato le funzioni presidenziali. In entrambi i casi i Presidenti si dimisero anticipatamente. Nel 2014 Luigi Di Maio, allora capo politico del Movimento 5 Stelle, accusò pubblicamente Sergio Mattarella di voler sabotare la nascita del governo Lega-M5S e annunciò di voler mettere il Capo dello Stato sotto impeachment. Ipotesi già ventilata da Giorgia Meloni.
Quanto guadagna il Presidente della Repubblica
Lo stipendio del Capo dello Stato non è specificato nei bilanci del Quirinale, ma fonti giornalistiche riportano che ammonti a 239.000 euro lordi l’anno. Il Presidente Sergio Mattarella, tuttavia, ha richiesto che la sua retribuzione annuale venisse ridotta di 60mila euro.