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Annamaria Franzoni

Tutto quello che c'è da sapere su Annamaria Franzoni, il suo ruolo nel delitto di Cogne

di Marta Ruggiero

Dopo un iter giudiziario lungo e complesso, Annamaria Franzoni viene riconosciuta colpevole dell’omicidio del figlio di appena tre anni, Samuele Lorenzi. L’infanticidio viene ricordato come il delitto di Cogne, la frazione della Valle d’Aosta dove si trova la villetta teatro di un crimine efferato.

La prova che la inchioda è il sangue ritrovato sulle ciabatte e il pigiama della donna, che sconta sei anni di carcere e cinque di arresti domiciliari. La pena si estingue in anticipo per buona condotta, ufficialmente il 7 febbraio 2019 dopo alcuni mesi dalla sua scarcerazione.

Annamaria Franzoni e il delitto di Cogne

L’omicidio del piccolo Samuele ha sin da subito un grande clamore mediatico, l’opinione pubblica si divide tra chi crede che Annamaria Franzoni sia innocente e chi non ha dubbi circa il suo ruolo all’interno del crimine.

Tutto inizia alle 8.28 del 30 gennaio 2002, quando il 118 riceve la chiamata di una donna che chiede l’intervento dei sanitari a causa del malessere del figlio. Samuele è sul suo letto e “vomita sangue”.

Prima dell’ambulanza, viene avvertito il medico di base che pensa si possa trattare di un aneurisma cerebrale. La dottoressa scopre solo in un secondo momento “l’apertura della testa”, provocata da una ferita profonda. Nel tentativo di rianimarlo, sposta il corpo all’esterno, in una barella improvvisata. Tutti questi interventi comprometteranno la scena del crimine e le condizioni della vittima.

Le ipotesi iniziali – compresi i traumi della caduta, la rianimazione troppo violenta e le convulsioni – vengono smentite sia dagli operatori del 118 che dalla successiva autopsia. I carabinieri vengono avvertiti proprio dai sanitari. L’ora del decesso viene dichiarata alle 9.55.

La causa della morte, che verrà accertata successivamente, è da attribuire ad almeno 17 colpi inferti con un corpo contundente. Probabilmente un mestolo ornamentale o altri oggetti dello stesso materiale, a giudicare dalle tracce rinvenute sul piccolo corpicino.

Un mese e dieci giorni dopo la mamma di Samuele viene iscritta nel registro delle notizie di reato, con l’accusa di avere ucciso il figlioletto, e il 14 marzo dello stesso anno viene arrestata per omicidio volontario, con l’aggravante del vincolo di parentela. Il 30 marzo però viene scarcerata per insufficienza di indizi. Fra questi, l’arma del delitto mai ritrovata.

Le teorie dell’accusa e della difesa

L’accusa si basa principalmente sull’esame fatto sui resti ematici del pigiama, attraverso l’ausilio del luminol. L’ipotesi sostenuta è che Annamaria Franzoni lo indossi al momento del delitto. Altre tracce rilevanti vengono trovate sulle suole e dentro le pantofole della donna.

Inoltre, secondo la ricostruzione degli inquirenti, lei è l’unica a poter commettere il delitto nei tempi successivamente stabiliti e non ci sono prove della presenza di una terza persona o testimoni a supporto di quest’ultima tesi.

La difesa, invece, sostiene che gli indumenti ricoperti di sangue non siano indossati dall’assassino, ma si trovino sul piumone del letto. Il vero responsabile dell’omicidioapprofitterebbe dell’assenza della donna, impegnata ad accompagnare il figlio maggiore alla fermata dello scuolabus, inizialmente “per fare un dispetto” (si parlerà poi anche di un presunto tentativo di stupro e di un movente sessuale). Trovandosi davanti al bambino e non alla Franzoni, si farebbe prendere dal panico e lo ucciderebbe per poi fuggire. Questo sarebbe avvenuto in otto minuti, senza lasciare traccia e senza farsi notare da nessuno.

Non viene sottratto nessun oggetto di valore e non si evince nessuna effrazione. La Franzoni inizialmente sostiene di aver chiuso la porta a chiave, ma ritratta quando il marito le fa notare che questo dettaglio non depone a suo favore. Nel 2004, dopo la condanna in primo grado, viene rifatto un sopralluogo da Carlo Taormina, avvocato della difesa, e da alcuni consulenti. Viene rinvenuta un’impronta digitale insanguinata sulla porta della camera da letto del “vero assassino” e tracce ematiche di Samuele in garage, ma queste vengono smontate successivamente.

Il comportamento sospetto di Annamaria Franzoni

Non giocano a favore dell’imputata alcuni suoi comportamenti successivi al delitto. Le intercettazioni ambientali e telefoniche sembrano tradire una semi-confessione: “Non so cosa mi sia succ…”, dice inizialmente Annamaria Franzoni a un’amica, per poi correggere la frase in “non so cosa gli sia successo”.

Inoltre il marito e altri parenti parlerebbero di far ricadere la colpa su alcuni vicini di casa, facendo ritrovare un martello in un terreno a loro riconducibile. A destare dei sospetti è la richiesta insistente della Franzoni al marito mentre il piccolo Samuele viene trasportato in ospedale in elisoccorso. Infatti, la donna gli domanda insistentemente di aiutarla a “fare un altro figlio”, tuttavia l’uomo non risponde e appare infastidito. Ma non finiscono qui le frasi che fanno sospettare che possa essere lei l’assassina del bimbo di appena tre anni.

I coniugi accuseranno un vicino, Ulisse Guichardaz, che però fornisce un alibi attendibile. Questo atto costerà loro un processo per calunnia. Viene accusata anche un’altra vicina, Daniela Ferrod, che in realtà è la prima a essere chiamata in soccorso dalla Franzoni subito dopo il delitto. Entrambi vengono scagionati.

Annamaria Franzoni, le condanne

Annamaria Franzoni viene condannata in primo grado a 30 anni di carcere (evita l’ergastolo ricorrendo al rito abbreviato) nel 2004. Tre anni più tardi, in appello, la pena viene ridotta a 16 anni con la concessione delle attenuanti generiche. Aspettando la sentenza della Cassazione, la donna rimane libera. Nel 2008 viene confermata la condanna stabilita nel secondo grado di giudizio.

Alla donna non viene concesso di incontrare i propri figli fuori dalla prigione (durante gli anni del processo diventa madre una terza volta) per il rischio di reiterazione del reato. Ipotesi che viene esclusa con una seconda perizia psichiatrica nel 2014, l’anno dopo le vengono concessi i domiciliari. Dal 2018 la Franzoni è definitivamente libera, dopo che la pena viene ridotta a 11 anni grazie all’indulto e alla liberazione anticipata.

La vita di Annamaria Franzoni prima e dopo il delitto di Cogne

Classe 1971, Annamaria Franzoni si sposa con Stefano Lorenzi. Dalla loro unione nascono tre figli: Davide nel 1995, Samuele (la vittima) nel 1998 e Gioele nel 2003. Nonostante si professi sempre innocente, a suo discapito – oltre alle prove già analizzate – c’è una diagnosi di nevrosi isterica, che sfocia in teatralità e simulazione e nell’incapacità di elaborare le problematiche quotidiane in maniera matura.

Nonostante non venga accertata ufficialmente la depressione post-partum, pare che dopo la nascita di Samuele non riesca a gestire la casa e i figli piccoli. Per questo viene però seguita dalla dottoressa Satragni, che le prescrive un antidepressivo (pare mai assunto). Marito e moglie si separano per un periodo, durante il quale la donna torna a casa dei genitori.

La mattina del delitto, la Franzoni lamenta un “malessere”, che fa scattare la chiamata in guardia medica da parte del coniuge. I sintomi, poi minimizzati dalla donna, sarebbero compatibili con quelli di un attacco di panico, ma la stessa imputata non accetta mai la teoria dell’infermità mentale totale o parziale.

A sostegno delle ipotesi degli inquirenti, però, ci sarebbe l’amnesia rispetto al delitto e l’incapacità di riconoscersene responsabile. In appello la madre del piccolo Samuele viene ritenuta sana di mente ai fini processuali.

Il delitto di Cogne diventa fra i più seguiti in Italia, sull’accaduto vengono scritti dei libri e Annamaria Franzoni è citata in diverse canzoni contemporanee. In una prima fase, la donna rilascia diverse interviste, professando la sua innocenza. Oggi conduce una vita riservata, lontana dai riflettori.

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