Perché l'Italia ha tanti casi di coronavirus: la spiegazione
La spiegazione dell'infettivologo Massimo Galli sul boom di contagi da coronavirus in Italia
L’Italia, con oltre 150 contagi da coronavirus, è la terza nazione al mondo per numero di positività al virus cinese. Ma come mai il nostro Paese sta registrando così tanti contagi? A rispondere a questa domanda, sulle pagine del ‘Corriere della Sera’, è stato Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano e primario del reparto di Malattie infettive III dell’Ospedale Sacco di Milano.
Galli ha spiegato: “Da noi si è verificata la situazione più sfortunata possibile, cioè l’innescarsi di un’epidemia nel contesto di un ospedale, come accadde per la Mers a Seul nel 2015″.
L’infettivologo ha aggiunto: “Un ospedale si può trasformare in uno spaventoso amplificatore del contagio se la malattia viene portata da un paziente per cui non appare un rischio correlato: il contatto con altri pazienti con la medesima patologia oppure la provenienza da un Paese significativamente interessato dall’infezione”.
Ancora Galli: “Chi è andato all’ospedale di Codogno non era stato in Cina e, fra l’altro, la persona proveniente da Shanghai che a posteriori si era ipotizzato potesse averla contagiata è stato appurato non aver contratto l’infezione. Non sappiamo quindi ancora chi ha portato nell’area di Codogno il coronavirus, ma il primo caso clinicamente impegnativo di Covid-19 è stato trattato senza le precauzioni del caso perché interpretato come altra patologia”.
Galli, sempre al ‘Corriere della Sera’, ha dichiarato: “L’epidemia ospedaliera implica una serie di casi secondari e terziari, e forse anche quaternari. Dobbiamo capire bene come si è diffusa l’infezione e come si diffonderà”.
E poi: “Quello che si può dire di sicuro è che queste infezioni sono veicolate più facilmente nei locali chiusi e per contatti relativamente ravvicinati, sotto i due metri di distanza”.
Questa l’ipotesi di Galli sulla penetrazione del coronavirus in Italia: “È verosimile che qualcuno, arrivato in una fase ancora di incubazione, abbia sviluppato l’infezione quando era già nel nostro Paese con un quadro clinico senza sintomi o con sintomi molto lievi, che gli hanno permesso di condurre la sua vita più o meno normalmente e ha così potuto infettare del tutto inconsapevolmente una serie di persone. Se l’avessimo fermato alla frontiera avremmo anche potuto non renderci conto della sua situazione”.