Omicidio Cerciello, malore in aula. La testimonianza di Varriale
Nel corso dell'udienza del processo per l'omicidio di Mario Cerciello Rega, il suocero del vicebrigadiere si è sentito male
Nel corso dell’udienza del processo per l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega, uno dei parenti del vicebrigadiere, il suocero, ha avuto un malore mentre in aula era stato riprodotto l’audio della telefonata al 118 fatta da Andrea Varriale, il collega di Cerciello, la notte del delitto. L’udienza è stata quindi sospesa per permettere il soccorso dell’uomo da parte del medico del tribunale.
Varriale: “Dicemmo che eravamo carabinieri”
Andrea Varriale, che era di pattuglia in borghese insieme al vicebrigadiere rimasto ucciso, ha deposto la sua testimonianza. Come riporta l’Ansa, il testimone ha dichiarato: “Ci avviciniamo frontalmente ai due e tiriamo fuori il tesserino dicendo che eravamo carabinieri”.
I due a cui fa riferimento Varriale sono gli americani imputati nel processo, ovvero Finnegan Lee Elder, autore materiale dell’accoltellamento, e Gabriel Natale Hjorth, coinvolto anche lui nella vicenda.
Il militare ha proseguito il racconto: “Dopo esserci qualificati ho riposto in tasca il tesserino. Mario ha fatto la stessa cosa. Abbiamo fatto quello che facciamo sempre. Loro non avevano nulla in mano. Noi andavamo ad identificare due persone. I due ci hanno immediatamente aggrediti. Io fui preso al petto da Natale e rotolammo in terra. Allo stesso tempo sentivo Cerciello che urlava ‘fermati, carabinieri‘, aveva una tono di voce provato”.
Il racconto di Varriale
“Tutto è durato pochi secondi – ha precisato Varriale – io lascio andare il mio aggressore perché ero preoccupato per le urla di Mario. Alzo la testa e vedo lui in piedi che mi dice ‘mi hanno accoltellato’ per poi crollare per terra”.
“Mi sono quindi tolto la maglietta e ho provato a tamponare la ferita, ma il sangue usciva a fiotti. Ho chiamato subito la centrale per chiedere una ambulanza”, ha concluso il testimone.
Al termine dell’udienza della scorsa settimana, il fratello di Cerciello si è sfogato con i giornalisti, descrivendo il vicebrigadiere come “un uomo esemplare”.
Perché Varriale e Cerciello non avevano la pistola
Quanto al fatto che nessuno dei due carabinieri aveva con sé la pistola d’ordinanza, Varriale ha spiegato: “Dovevamo avere la pistola ma per praticità e perché dobbiamo mimetizzarci l’arma è più un problema, non mi è mai capitato di doverla usare nel servizio nella zona della movida”.
Varriale ha quindi precisato: “La Beretta pesa oltre un chilo ed è lunga 25 centimetri. Io ero vestito con una polo, dei jeans e le scarpe da ginnastica. Il nostro obiettivo, quando facciamo quel tipo di servizio, è confonderci tra la gente e mimetizzarsi. La zona di competenza era quella che va da Ponte Sisto, Campo de Fiori e piazza Trilussa, il turno era dalla mezzanotte alle sei di mattina. Giravamo a piedi perché i controlli sull’attività di spaccio non si può fare in auto”.
La perizia psichiatrica su Finnegan Lee Elder
La perizia psichiatrica disposta dal tribunale di Roma nei confronti dell’americano accusato ha evidenziato che “Finnegan Lee Elder fosse capace di intendere o di volere al momento del fatto” ed è per questo “imputabile”.
Secondo Stefano Ferracuti e Vittorio Fineschi, i professori che si sono occupati dell’analisi, Elder “presenta un disturbo di personalità borderline-antisociale di gravità medio elevata, una storia di abuso di sostanze (in particolare Thc) e un possibile disturbo post-traumatico da stress”.
Ma la conclusione a cui giungono i periti è che “non è possibile dimostrare che la condizione mentale accertata nell’Elder abbia compromesso la libera capacità decisionale del soggetto al momento del compimento dell’azione delittuosa: riteniamo perciò che il signore sia da valutarsi come imputabile all’epoca dei fatti”.