Lo sfogo di Alessia Pifferi al processo per la morte della figlia Diana: "Sono stata picchiata dalle detenute"
Alessia Pifferi racconta di aver subito aggressioni da parte di altre detenute al San Vittore. Le stesse le direbbero "assassina" ogni giorno
Nella lunga dichiarazione spontanea resa al processo, Alessia Pifferi respinge l’etichetta di “mostro” e “assassina”, parole ricorrenti tra l’opinione pubblica ma soprattutto che le verrebbero rivolte dalle altre detenute. Nella stessa occasione la 38enne ha accusato la sua famiglia, individuando nei rapporti con i congiunti i suoi problemi mai riscontrati né approfonditi durante l’infanzia e l’adolescenza, oltre alla presunta violenza sessuale subita all’età di 10 anni con un amico del padre come aguzzino.
C’è, tuttavia, un altro aspetto. Sia nel colloquio psicologico che in aula, Alessia Pifferi ha riferito di subire vessazioni da parte delle altre detenute. “Sono state anche picchiata da altre detenute al San Vittore e messa in isolamento protettivo“.
Ancora: “Il buongiorno ce l’ho quasi tutti i giorni, mi gridano ‘assassina’“. Di fronte al giudice, quindi, Alessia Pifferi si difende dalle accuse del pubblico ministero e soprattutto cerca di parlare “davanti a tutta Italia” affinché la morte della piccola Diana non passi per un omicidio premeditato, in quanto “non ho mai pensato che potesse accadere una cosa del genere”.
“Non sono un’assassina né un mostro“, puntualizza Alessia Pifferi, che aggiunge: “Sono solo una mamma che ha perso sua figlia”, e sottolinea ancora una volta che la tragedia non è stata il frutto di un progetto, tanto meno di una volontà.