La guerra Israele-Hamas in Medio Oriente si accende a Rafah e la tregua si allontana: cosa può succedere ora
Sembrava che la tregua Israele-Hamas fosse vicina, ma l’offensiva su Rafah allontana lo scenario: l'analisi di Aldo Liga (Ispi)
L’esercito di Israele ha preso il controllo del lato palestinese del valico di Rafah, il confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto nonché, da quando è cominciata la guerra e a fasi alterne, uno dei principali punti di passaggio degli aiuti umanitari verso l’enclave palestinese. L’analisi di Aldo Liga, ricercatore dell’osservatorio Medio Oriente e Nord Africa dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), concessa a Virgilio Notizie.
- L'accesso al valico di Rafah negato all'Onu
- La storia della tregua tra Israele e Hamas e i volantini su Rafah
- L'intervista ad Aldo Liga
L’accesso al valico di Rafah negato all’Onu
Israele ha negato all’Onu l’accesso al valico di Rafah.
Lo ha confermato il portavoce dell’Ufficio per gli affari umanitari dell’Onu, Jens Laerke, durante una conferenza stampa a Ginevra del 3 maggio:
“Al momento non abbiamo alcuna presenza fisica al valico di Rafah perché Israele ha rifiutato la richiesta di accesso all’area“.
La storia della tregua tra Israele e Hamas e i volantini su Rafah
Pochi giorni dopo, nella serata di lunedì 6 maggio, si è diffusa la notizia in merito a una sensibile possibilità di una tregua tra Hamas e Israele.
Sembrava che l’organizzazione palestinese avesse aveva accettato una proposta avanzata da Egitto e Qatar per un cessate il fuoco nella Striscia.
Accordo però respinto da Israele, che l’avrebbe considerato inadeguato.
L’attacco israeliano a Rafah
Proposta rispedita al mittente, quindi, a cui è seguito un lancio di volantini su Rafah proprio da parte del governo di Netanyahu agli abitanti di Rafah: “L’esercito sta per operare contro le organizzazioni terroristiche nell’area in cui risiedete attualmente, così come ha operato finora. Chiunque si trovi nell’area mette in pericolo se stesso e i propri familiari”.
L’intervista ad Aldo Liga
C’è la possibilità di un accordo concreto per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza? Potrebbe essere la volta buona?
“Come sempre in questi casi, trattandosi di trattative diplomatiche tra attori che si trovano in conflitto tra loro le informazioni che abbiamo sono assolutamente frammentarie. Quelle che poi escono sulla stampa sono influenzate dagli interessi delle parti in causa. Sappiamo che l’unica tregua che si è concretizzata fino a ora ha avuto luogo a novembre. Poi ci sono stati vari momenti in cui si dava per imminente un nuovo cessate il fuoco – sempre temporaneo, Israele ha sempre detto che avrebbe terminato la guerra solo con la distruzione di Hamas – in cambio della liberazione degli ostabggi nelle mani di Hamas. 130 persone, non sappiamo quante ancora vive. I negoziati sono andati avanti mediati da Egitto e Qatar, e in varie occasioni un accordo sembrava imminente. È quello che abbiamo visto anche negli ultimi giorni: prima sembrava che per Israele la questione fosse chiusa, che si fosse raggiunto un accordo, e si aspettava la risposta di Hamas. Il 6 maggio l’ufficio politico di Hamas basato in Qatar si è dichiarato favorevole a questa bozza di accordo. Nelle stesse ore inizia l’offensiva israeliana al valico di Rafah”.
Cosa rappresenta questa offensiva ora e come potrebbe andare avanti?
“Non comincia in verità come era stata presentata nel corso degli ultimi mesi, quindi in modo massiccio. Ma in maniera limitata, pare – secondo alcune ricostruzioni – per mantenere in vita i negoziati”
Quali sarebbero gli elementi di un accordo per il cessate il fuoco?
“La bozza di accordo che abbiamo è quella diffusa da Al Jazeera. Una bozza che Israele non riconosce perché il testo non sarebbe quello concordato con i mediatori. Garanti dell’accordo sono Egitto, Qatar, Stati Uniti e ONU. Si prevedono tre fasi, della durata di 42 giorni ciascuna: in contemporanea alla cessazione delle azioni militari dovrebbe essere attuato un parallelo scambio di ostaggi, sia vivi sia morti – ma anche su questo ci sarebbero frizioni, sul numero concordato, perché Israele pare che stesse negoziando sugli ostaggi vivi e non sul recupero dei corpi – e una riconfigurazione della presenza israeliana, con un parziale ritiro da Gaza. Alla graduale liberazione degli ostaggi dovrebbero insomma corrispondere in parallelo dei passi indietro sul campo da parte di Israele. L’elemento interessante di questa bozza è che nella terza fase si prevede l’inizio dell’attuazione di un piano di ricostruzione della Striscia e si parla addirittura di un risarcimento per le persone colpite dalla guerra e la conclusione dell’assedio di Gaza. È la prima volta che in un accordo si parla dell’assetto futuro della Striscia. Chiaramente, ripeto, questa versione dell’accordo è quella diffusa da Al Jazeera: non è detto sia quella negoziata”.
In che posizione si trova a questo punto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu?
“Si trova in una situazione molto delicata. Il suo governo si appoggia su una coalizione molto risicata, e gli alleati più radicali spingono per una distruzione completa di Hamas e un assedio di lungo termine di Gaza. E come sappiamo, dalla permanenza al potere dipende la sopravvivenza politica del premier, a causa dei processi da cui rifugge grazie all’immunità che il suo ruolo gli garantisce. La pressione da parte dei parenti degli ostaggi ha in ogni caso un impatto molto forte su come il governo intenda muoversi. Anche perché più passano i mesi più le possibilità di riportare gli ostaggi a casa in vita si affievoliscono. Sono passati 7 mesi dal 7 ottobre, e senza un cessate il fuoco temporaneo quello è un risultato impossibile da ottenere. L’attacco del 6 maggio al valico con l’Egitto però potrebbe cambiare le carte in tavola. Israele dichiara la volontà di voler continuare a negoziare, ma non è detto che Hamas risponderà positivamente. L’attacco su Rafah, anche se si è manifestato in maniera graduale e non altrimenti come era stato annunciato, rappresenta un po’ una linea rossa. È la manifestazione di una volontà israeliana totalizzante sull’intero territorio e su vasta scala sulla striscia di Gaza. Non dimentichiamo che a sud della Striscia, nella zona di Rafah, sono assediate circa un milione di persone sfollate da nord e centro. E a Gaza sono già morte più di 35 mila persone: un massacro devastante di civili. La crisi umanitaria è reale, anche come carestia, malnutrizione e distruzione totale di infrastrutture. L’estensione dell’offensiva a sud aggrava in modo potenzialmente catastrofico la situazione. Proprio perché il grosso degli aiuti umanitari entra da quel valico. La sensazione era che il 6 maggio fosse stato raggiunto un punto di incontro. Ma ora l’offensiva su Rafah fragilizza la possibilità di una tregua“.