Ilaria Alpi e Miran Hrovatin assassinati in Somalia il 20 marzo 1994 a Mogadiscio: ancora nessun colpevole
La giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e l'operatore Miran Hrovatin sono stati uccisi a Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo 1994: nessuno sa ancora da chi e perché
Il 20 marzo 2024, alla Camera, la premier Giorgia Meloni ha voluto ricordare la giornalista Ilaria Alpi, assassinata esattamente 30 anni prima a Mogadiscio, in Somalia, insieme a Miran Hrovatin. Per l’omicidio dell’inviata Rai per il Tg3 e del suo operatore non è ancora stato trovato il colpevole.
- La situazione in Somalia nel 1994
- L'arrivo di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia
- La ricostruzione dell'omicidio
- Le indagini sul duplice omicidio: traffico di armi e rifiuti tossici
- Il racconto dell'autista e le prime condanne
- L'inchiesta giornalistica di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
- Il taccuino e la pista delle scorie nucleari
- Hassan assolto dopo 17 anni di carcere
La situazione in Somalia nel 1994
Il 9 dicembre 1992, in seguito al conflitto tra i clan in Somalia, gli americani sbarcano a Mogadiscio.
Il 15 gennaio 1993 i movimenti somali firmano la tregua, ma la conferenza di pace fallisce.
Bersaglieri in partenza per la Somalia nella missione Onu
Il 3 maggio 1993 il commando delle operazioni passa alle Nazioni Unite (Onu) e il 20 luglio 1993, per dei dissensi tra Roma e Washington, viene ritirato il contingente italiano a Mogadiscio.
Il 28 settembre 1993 i somali alzano il tiro contro gli americani: il 16 novembre 1993 l’Onu cancella la risoluzione e nella primavera 1994 l’Occidente lascia la Somalia.
L’arrivo di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia
Il 12 marzo 1994 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin arrivano a Mogadiscio per raccontare quello che resta della presenza dell’Occidente.
Otto giorni dopo, il 20 marzo 1994, la giornalista del Tg3 e il suo operatore vengono uccisi: è un giallo internazionale.
La ricostruzione dell’omicidio
L’inchiesta ha portato a due verità parallele.
A dare la notizia dell’omicidio è un autotrasportatore, Giancarlo Marocchino, che vive a Mogadiscio da 10 anni.
Per l’ambasciatore Mario Scajola non ci sono dubbi: gli attentatori sparano per uccidere, con una tecnica da mafiosi. Si parla di un attacco di matrice politica.
Marocchino dice che sia stato usato un Kalasnikov, arma che spara da 3 chilometri: Alpi e Hrovatin sono stati uccisi da 20 metri.
I due erano rientrati a Mogadiscio il 20 marzo, con due giorni di ritardo rispetto al previsto: la giornalista, dal suo alloggio, aveva chiamato la madre avvisandola che se la Rai le avesse dato l’ok sarebbe rimasta alcuni giorni dopo la partenza del contingente italiano, il cui rientro era previsto tra il 20 e il 21 marzo.
Ilaria Alpi voleva rimanere per vedere cosa sarebbe successo nel Paese dopo la partenza dei militari.
Prima di uscire dal suo alloggio chiama la redazione e preannuncia, per la sera stessa, l’invio di un servizio.
Poi, con Hrovatin e la scorta, si avvia verso il confine che divide Mogadiscio Nord da Mogadiscio Sud, due chilometri di deserto che separa le due parti in conflitto.
Arrivati davanti all’hotel Hamana, Alpi e il suo operatore si avviano a piedi nel giardino dell’albergo: l’autista parcheggia dall’altra parte della strada davanti a una Land Rover blu targata Dubai, con 7 uomini a bordo. Uno ha la divisa da poliziotto. Tornano in macchina, la Land Rover li sorpassa a un incrocio e sbarra loro la strada. L’autista fa retromarcia per circa 80 metri, ma poi si ferma contro un muro e partono i colpi.
Davanti all’hotel è il caos. Ilaria Alpi è gravemente ferita, ma viva.
La Toyota pick-up nella quale il 20 marzo del 1994 furono uccisi a Mogadisco Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
Un imprenditore italiano che vive in Somalia, Giancarlo Marocchino, si attiva subito per soccorrerla.
Avvisa i militari, che gli dicono di caricarla sulla macchina e di portarla in aeroporto. Lui si rifiuta perché era lontano, così porta la giornalista e Hrovatin al porto vecchio, a circa 800 metri dalla sparatoria, chiedendo un elicottero.
L’elicottero arriva, alzato dalla nave Garibaldi: scende un dottore, ma non c’è niente da fare. Le salme sono riportate all’aeroporto di Mogadiscio. Alcuni colleghi portano sulla Garibaldi anche gli effetti personali delle vittime, compresi i documenti e dei bloc-notes di Alpi, esaminati insieme al girato di Hrovatin. Ma ai genitori dell’inviata arrivano solo due bloc-notes, in un bagaglio senza traccia di sigillo.
Nel frattempo, la guardia del corpo di Alpi e Hrovatin afferma di aver sparato dopo il blocco dell’auto. Poi cambia versione e dice di aver risposto al fuoco e di essere fuggito perché il fucile, dopo una decina di colpi, si era inceppato. Anche l’autista è illeso.
Autista che non era quello personale delle vittime: quel giorno c’era Ali Abdi, che li aveva accompagnati all’hotel Sahafi, vicino all’aeroporto, e poi all’hotel Hamana.
Le indagini sul duplice omicidio: traffico di armi e rifiuti tossici
Il capo dei servizi segreti della Somalia non è l’unico a occuparsi del duplice omicidio, su cui indagano anche diverse procure italiane, da Roma a Latina, fino ad Asti: in queste inchieste si parla di traffico di armi e di rifiuti tossici.
Insomma, la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sembra essere più complessa di un omicidio casuale in una zona di guerra.
Di questo delitto, alla fine degli anni Novanta, si occupa anche la Commissione d’inchiesta sulla cooperazione per lo sviluppo: non si esclude l’ipotesi che siano stati uccisi perché venuti a conoscenza di qualcosa che non andava divulgato.
Il racconto dell’autista e le prime condanne
Il racconto dell’autista è farcito di clamorosi errori: sbaglia la posizione all’interno dell’auto dei passeggeri e ignora chi sia Miran Hrovatin.
Il 9 aprile 1995 il sultano di Bosaso risulta tra gli indagati, ma la sua posizione è archiviata.
Il 12 gennaio 1998 Hashi Omar Hassan (cittadino somalo accusato dall’autista e dal testimone oculare Ali Ahmed Ragi, secondo cui Hassan era uno dei 7 uomini del commando) è a Roma per testimoniare sulle presunte violenze dei soldati italiani in Somalia. Identificato dall’autista della Alpi, viene arrestato per concorso in duplice omicidio e il 18 gennaio 1999 inizia il processo contro di lui, ma il 9 luglio 1999 è assolto.
Il 24 novembre 2000 la Corte d’Assise d’Appello di Roma rovescia la sentenza di primo grado e condanna Hassan all’ergastolo, confermato il 10 ottobre 2001 dalla Corte Suprema di Cassazione.
Ma nel gennaio 2004 la Commissione d’inchiesta, presieduta da Carlo Taormina, arriva a conclusioni diverse da quelle della magistratura: un testimone dà indicazione degli appartenenti al commando e dice che non si trattò di un’esecuzione, ma di un agguato diretto a sequestrare i giornalisti, conclusosi malamente perché un uomo della scorta di Ilaria avrebbe sparato per primo, costringendo i banditi a rispondere al fuoco.
In sostanza, Hassan sarebbe innocente e l’omicidio non sarebbe legato a scoperte e a indagini dei giornalisti. Ma i dubbi restano: perché a essere uccisi sono stati solo i due giornalisti, visto che a bordo c’erano anche due somali? Le spaccature ci sono anche nell’interno della Commissione, dove si contestano le conclusioni di Taormina.
L’altro dubbio è legato al perché nessun italiano diplomatico, militare o esponente del Governo andò sul luogo dell’omicidio: gli unici sono stati Marocchino e i due giornalisti Giovanni Porzio e Gabriella Simoni, quest’ultima inviata speciale di Mediaset dal 1987, per cui ha raccontato le principali guerre degli ultimi 30 anni. Golfo, Somalia, Ruanda, Afghanistan, Iraq, Egitto.
A recuperare i corpi, secondo quanto riferito da Carmine Fiore, comandante del contingente italiano, sarebbero stati i carabinieri che, una volta arrivati , avrebbero trovato Marocchino diretto al porto, aiutandolo a caricare i corpi sull’elicottero.
L’inchiesta giornalistica di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
Che inchieste stava conducendo Ilaria Alpi? A Bosaso aveva intervista Abdullahi Bogor (ex magistrato iscritto nel registro degli indagati nell’inchiesta sulla morte di Ilaria, poi prosciolto da ogni accusa), sultano di Bosaso, che aveva riferito di stretti rapporti intrattenuti da alcuni funzionari italiani con il Governo di Siad Barre, verso la fine degli anni Ottanta.
Con il sultano, Ilaria avrebbe parlato soprattutto di una flotta di pescherecci ormeggiati, sospettati di essere al centro di traffici illeciti di rifiuti e di armi: si trattava di navi che inizialmente facevano capo a una società di diritto pubblico somalo e che, dopo la caduta di Barre, erano illegittimamente divenute di proprietà personale di un imprenditore italo-somalo.
Quell’intervista è durata circa 2 ore e mezza-3: ma alcune cassette sarebbero state sottratte.
Lo stesso sultano, intervistato nel 1994 sulla morte di Ilaria Alpi dal giornalista Maurizio Torrealta, avrebbe avuto timore a rispondere a delle domande sulle società coinvolte.
Il taccuino e la pista delle scorie nucleari
Resta poi un altro dubbio: perché Ilaria Alpi non volesse rientrare dopo il ritiro del contingente italiano e volesse fermarsi ancora qualche giorno in Somalia.
Nell’unico taccuino trovato, in fondo al cassetto della sua scrivania a Saxa Rubra, c’era un accenno alla strada che arriva a Bosaso, costata parecchi miliardi all’Italia e sospettata di essere usata per nascondere rifiuti tossici, forse anche nucleari, nei cantieri durante la costruzione.
Intanto, nel 1998 in Somalia i medici iniziano a registrare malattie incompatibili con l’Africa, come cancri e malformazioni legate all’inquinamento da sostanze chimiche e nucleari. Lo dicono dei rapporti delle Nazioni Unite.
Inoltre, la flotta Shifco – quella dei pescherecci – era stata ufficialmente donata dalla cooperazione italiana allo sviluppo al Governo somalo allora guidato da Siad Barre con lo scopo di favorire la pesca d’altura nel Paese. L’idea che la cooperazione italiana avesse barattato la concessione di armi a Siad Barre in corrispondenza dell’accettazione da parte di questi del seppellimento di rifiuti tossici italiani in suolo somalo resta ancora oggi il movente più probabile della sentenza di morte emessa verso la giornalista del Tg3.
Hassan assolto dopo 17 anni di carcere
Il 19 ottobre 2016, la svolta. Secondo il sostituto procuratore generale, analizzando le prove emerse nei confronti di Hassan ne deriva un quadro bianco senza immagini, senza niente.
Quindi la conclusione è che non possa che esserci una richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto: viene così assolto dopo aver scontato 17 dei 26 anni che avrebbe dovuto scontare. Nel luglio 2022 è morto a Mogadiscio, ucciso da una bomba.
La madre di Ilaria Alpi, Luciana, in uno scatto dell’aprile 2018
Nel 2017, a 23 anni dalla morte della giornalista, la madre Luciana aveva confermato di non voler più lottare per ottenere la verità sulla morte della figlia: “A questo punto basta, non ne voglio più parlare, tanto lei non torna più”. L’anno prima si era detta speranzosa quando, nel febbraio 2016, la Procura di Roma aveva aperto un’indagine per depistaggio sui fatti di Mogadiscio.
Dopo la richiesta di archviazione della stessa Procura, la famiglia Alpi si era opposta nel giugno 2018 il giudice per le indagini preliminari aveva disposto ulteriori accertamenti.
Nel frattempo la madre di Ilaria Alpi che per 24 anni aveva chiesto la verita sulla figlia, è morta.
Nel febbraio 2019 la Procura di Roma aveva chiesto l’ennesima archiviazione delle indagini, nuovamente rifiutata: oggi l’inchiesta giudiziaria è formalmente ancora aperta.
Ilaria Alpi è sepolta al Cimitero Flaminio di Roma: ma a distanza di 30 anni ancora non si sa chi abbia ucciso lei e Miran Hrovatin. E, soprattutto, perché.