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Crisi di governo, Conte al Senato: gli scenari in vista del voto

Il premier potrebbe ottenere il voto favorevole dell'Aula. Il destino dell'esecutivo è legato alle scelte dei responsabili e alla maggioranza relativa

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

Anche se fosse “una crisi infondata”, come ha detto Giuseppe Conte ai deputati, si tratterebbe pur sempre di una crisi reale. Il momento politicamente difficile si aggiunge a una fase già tragica dal punto di vista sanitario, economico e sociale. La crisi è esplosa nonostante il Covid e, negli ultimi giorni, si sono susseguiti colpi di scena, dietrofront, retroscena e indiscrezioni, al punto che anche i lettori più attenti e informati potrebbero essersi persi inseguendo i frequenti aggiornamenti.

Dopo aver ottenuto la fiducia alla Camera, Giuseppe Conte si sottoporrà oggi martedì 19 gennaio al voto del Senato. Nell’altro ramo del Parlamento la maggioranza non gode di numeri certi a causa della rottura di Matteo Renzi e Italia Viva. Ed è per questo che il futuro dell’esecutivo, del premier e forse della legislatura sono appesi al voto dei cosiddetti responsabili.

Chi risponderà alla chiamata del presidente del Consiglio? Quanti senatori proveranno a salvare il Conte bis? Superare il voto di fiducia consentirà alla legislatura di proseguire?

Il dibattito al Senato e l’obiettivo della maggioranza assoluta

Dopo che Renzi ha abbandonato il perimetro di governo, Conte ha deciso di “parlamentarizzare la crisi”, che tradotto dal politichese significa presentarsi al Parlamento. L’obiettivo è sia contare i voti a sostegno dell’esecutivo, compresi quelli di eventuali soccorritori, sia discutere pubblicamente la crisi e fare in modo che deputati e senatori (soprattutto questi ultimi, perché alla Camera i numeri di Conte sono più solidi, ma al Senato restano in bilico) si assumano la responsabilità delle proprie scelte davanti ai cittadini. Come prevede la Costituzione, infatti, la mozione di sfiducia è non solo “motivata”, ma anche “votata per appello nominale”. Nome, cognome e voto palese, insomma.

La matematica non è un’opinione e quella di Palazzo Madama non fa eccezione. I voti necessari a Giuseppe Conte per raggiungere la maggioranza assoluta sono 161. La soglia individua la metà dei seggi dell’Aula più uno. Dopo la rottura di Italia Viva, l’attuale governo potrebbe non avere più la maggioranza assoluta in entrambe le Camere, una condizione importante per andare avanti. Per quanto importante, la maggioranza assoluta non è necessaria: l’Italia ha avuto diversi governi di minoranza (ad esempio Andreotti, nel 1976, rimase in carica grazie alla non-sfiducia del Pci).

I senatori renziani sono 18. I Cinque Stelle 92, 35 invece i rappresentanti del Partito Democratico. Ci sono poi 2 senatori a vita non appartenenti a gruppi e 29 parlamentari iscritti al gruppo misto. I responsabili si cercano tra ex M5S, ex Iv e liberali.

L’ipotesi più accreditata: la maggioranza relativa in Senato

Dalle 9.30 di martedì 19 gennaio, Giuseppe Conte verificherà attraverso una mozione di sfiducia se il governo dispone del sostegno del Senato anche senza i voti di Italia Viva. Al momento lo scenario più accreditato è il raggiungimento della maggioranza relativa, calcolata non sul numero dei seggi, ma dei votanti.

Come previsto dalla Costituzione, infatti, per dare il via libera ai provvedimenti (non a tutti, fa eccezione ad esempio lo scostamento di bilancio) al Senato basta che la metà più uno dei presenti si esprima favorevolmente o, in altre parole, che il governo abbia almeno un voto in più dell’opposizione. Gli astenuti e gli assenti abbassano quindi la soglia di 161 (o maggioranza semplice) e paradossalmente tra gli astenuti potrebbero esserci proprio i senatori di Italia Viva, come accennato da Matteo Renzi in un’intervista pubblicata sul “Corriere della sera” di domenica 17 gennaio: “Astenerci? Decideremo. Ma è la scelta più saggia”, ha detto l’ex segretario del Pd. L’astensione è poi stata confermata dal gruppo dei deputati durante i lavori in Aula.

Se una strada è praticabile secondo i dettami costituzionali, però, non è necessariamente politicamente percorribile. Disporre della maggioranza relativa significherebbe per Conte posare le basi della sopravvivenza del suo governo su un pugno di senatori non organizzati in un gruppo: “battitori liberi”, che lascerebbero il governo esposto alle richieste dei singoli.

Parallelamente aumenterebbe il peso specifico di Italia Viva, che potrebbe, in qualsiasi occasione, trasformare la sua astensione in un voto contrario. Per queste ragioni, incassata la fiducia, Conte potrebbe comunque scegliere di salire al Quirinale per lasciare il timone della crisi nella mani del Presidente della Repubblica.

Gli ultimi retroscena parlano di 152-156 senatori pronti a soccorrere il premier, tra i quali è praticamente sicura la senatrice a vita Liliana Segre, mentre gli osservatori considererebbero una sorpresa la formazione di un gruppo centrista ancorato al Partito popolare europeo (Ppe), un’eventualità ben vista da Conte ma, stando ai giornali, davvero poco plausibile.

Se si verificasse l’ipotesi più accreditata, e poi il presidente del Consiglio vedesse Mattarella, si potrebbe andare incontro a un Conte-ter, cioè un terzo governo con a capo il professore universitario. Un’altra ipotesi è che i partiti convergano su una figura diversa dall’attuale premier, magari in un governo cosiddetto tecnico appoggiato dalla maggioranza dei parlamentari (come quello di Monti), di solidarietà nazionale (in cui collaborano maggioranza e opposizione), di scopo o istituzionale. Ci si limiterebbe a portare avanti la campagna di vaccinazione e dirigere il cantiere del Recovery Plan, per accompagnare l’Italia a elezioni in primavera.

Qualunque sia l’esito di queste convulse giornate parlamentari, il prossimo step è quello di martedì ed è innanzitutto sulla mozione di sfiducia al Senato che bisogna esercitare le proprie doti di deduzione o, data la totale incertezza, di immaginazione: a poche ore dall’inizio del lavori, la partita è ancora aperta.

Perché Matteo Renzi ha aperto la crisi di governo

Un sondaggio di Nando Pagnoncelli per il Corriere della Sera mette in luce l’incertezza rispetto alle ragioni della crisi politica. Secondo lo studio, pubblicato il 16 gennaio, il 42% degli italiani ancora si interroga sul perché della rottura di Italia Viva. Fermo restante un 45% di cittadini che afferma di aver capito, le cifre parlano anche di una grossa fetta di Paese (il 44%) convinta che l’ex premier stia “inseguendo ragioni personali”. Sono questi i cittadini convinti che la politica sia un linguaggio obliquo, cioè che le ragioni reali vengano nascoste da esternazioni di circostanza.

Nella conferenza del 13 gennaio, e non solo, Renzi ha criticato il metodo dell’ex alleato di governo: “Non consentiremo a nessuno di avere pieni poteri, abbiamo fatto un governo per non darli a Salvini” e ha continuato affermando che “se c’è un progetto per un programma di fine legislatura, noi ci siamo”. Per il leader di Iv il dibattito politico deve riportare al centro “i cantieri e le politiche industriali”. Infine una richiesta riguarda i soldi del Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, gli aiuti europei destinati alla sanità che però vedono contraria una parte dei Cinque Stelle, che il governo dovrebbe accettare. Un argomento scottante per Conte, che potrebbe perdere un pezzo dei pentastellati proprio mentre tenta di recuperare terreno con il senatore di Scandicci.

Conte alla Camera: le reazioni politiche da Salvini a Zingaretti Fonte foto: ANSA
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