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Corte Costituzionale contro l'autonomia differenziata, accolta parte del ricorso: la decisione, cosa succede

La Corte Costituzionale è intervenuta facendo decadere alcuni articoli dell'autonomia differenziata spinta dalla Lega. I giudici invitano il Parlamento a colmare il vuoto normativo

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La Corte Costituzionale ha parzialmente accolto il ricorso contro l’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario presentato da Puglia, Toscana, Sardegna e Campania. L’assetto generale del testo rimane in vigore, ma ne sono decadute parti importanti come l’attribuzione delle competenze alle Regioni e la definizione dei Lep, cioè i Livelli essenziali di prestazione.

Autonomia differenziata da riscrivere

Intervenendo sulla legge n.86 del 26 giugno 2024, ovvero il ddl Calderoli pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.150 del 28 giugno 2024, la Consulta ha dichiarato incostituzionali, e ha dunque cancellato, una serie di punti dell’autonomia differenziata.

Le toghe hanno invitato il Parlamento a intervenire per colmare il vuoto normativo creatosi nella legge sulla devolution di competenze da Stato a Regioni.

Meloni e SalviniFonte foto: IPA

La premier Giorgia Meloni e il vicepremier Matteo Salvini.

I punti dichiarati incostituzionali

Prima di tutto, non è possibile che l’accordo tra Stato e Regioni, insieme alla legge di differenziazione, trasferisca intere materie o aree di competenza. La Corte ritiene che si debbano trasferire solo specifiche funzioni legislative e amministrative, giustificate caso per caso per ciascuna Regione, secondo il principio di sussidiarietà.

I giudici hanno poi ritenuto limitativo del ruolo del Parlamento il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep). La delega, di fatto, viene attribuita ai poteri del Governo.

La Consulta ritiene incostituzionale il fatto che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei Lep.

Stralciata la parte che prevede la possibilità di modificare con decreto interministeriale le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; la previsione potrebbe portare, di fatto, a premi per le Regioni inefficienti.

Ritenuto incostituzionale il passaggio che prevede la facoltà (e non il dovere) per le Regioni nel concorrere agli obiettivi di finanza pubblica. Per le toghe si tratta di una violazione dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica.

I giudici hanno contestato l’estensione della normativa alle Regioni a statuto speciale, che invece per ottenere maggiori forme di autonomia possono sempre ricorrere alle procedure previste dai loro statuti.

Le reazioni politiche

Per Luca Zaia, presidente del Veneto, nonostante gli stralci “la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità della legge sull’autonomia differenziata, sancendo ancora una volta che il nostro percorso è in linea con la Costituzione. Un passaggio storico per il Veneto e per tutto il Paese”.

Questo il commento del presidente della Puglia Michele Emiliano (fra i firmatari del ricorso): “Abbiamo difeso l’unità della Repubblica e l’uguaglianza delle Regioni e dei cittadini italiani. La legge Calderoli, così come concepita dal Governo, è stata completamente destrutturata e tecnicamente non esiste più”.

Il capo politico del M5S, Giuseppe Conte, commenta dicendo che “la Corte frena il progetto di Meloni, Salvini e Tajani di fare a pezzi l’Italia”.

Caustica la leader del Pd Elly Schlein: “Salvini regali una Costituzione a Meloni e la leggano assieme”.

corte costituzionale autonomia differenziata Fonte foto: IPA
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