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Vladimir Putin e le elezioni presidenziali in Russia "scontate": dopo la morte di Navalny c'è solo un rischio

L'intervista sulle elezioni presidenziali in Russia, che vincerà Vladimir Putin, a Marco Di Liddo (Ce.S.I.): “C'è un solo rischio, per lui, dopo la morte di Navalny"

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Una formalità. Le elezioni presidenziali in Russia, che arrivano un mese dopo la morte di Alexei Navalny, principale oppositore di Vladimir Putin, dovrebbero vedere il capo del Cremlino in grado di ottenere almeno l’80% dei consensi, secondi gli analisti. Ma proprio dalla vedova dell’attivista, Yulia Navalnaya, è arrivato un appello agli elettori: “Occorre andare al seggio elettorale tutti insieme, il 17 marzo alle 12”. L’unico rischio per Putin è rappresentato proprio dalle manifestazioni di protesta. L’intervista a Marco Di Liddo, direttore del Centro di Studi internazionali (Ce.S.I.), concessa a Virgilio Notizie.

L’appello di Yulia Navalnaya

In un video su YouTube, la moglie del dissidente, deceduto in una colonia penale in Siberia il 16 febbraio scorso, ha proseguito: “Cosa fare dopo? Si può scegliere: votare un qualsiasi candidato che non sia Putin, annullare la scheda elettorale, scrivere ‘Navalny’ a grandi lettere”.

Secondo Yulia Navalnaya è importante “sfruttare il giorno delle elezioni per dimostrare che esistiamo e che siamo in molti. Siamo persone vere, vive e siamo contro Putin”.

elezioni russia vladimir putinFonte foto: ANSA
Il presidente della Russia, Vladimir Putin

Gli altri candidati contro Vladimir Putin

Ma chi sono oggi gli altri candidati nella corsa alla presidenza russa? In tutto sono tre:

  • Leonid Slutsky, 56 anni, leader del Partito liberaldemocratico (Ldpr);
  • Nikolai Kharitonov, 75 anni, deputato del Partito comunista;
  • Vladislav Davankov, 40 anni, leader del Partito Nuovo popolo e vicepresidente della Duma.

L’intervista a Marco Di Liddo

Quali sono i profili degli sfidanti di Vladimir Putin alle elezioni in Russia?

“A sfidare Valdimir Putin sono in tre. Uno è Leonid Slutsky, 56 anni, leader del Partito liberaldemocratico (Ldpr). Eletto presidente del partito nazionalista e di estrema destra alla fine di maggio 2022, dopo la morte del fondatore del partito Vladimir Zhirinovsky, è deputato dal 2003, legato alla leadership del Patriarcato di Mosca, ed è conosciuto come l’ “Harvey Weinstein” russo, a causa delle accuse di molestie sessuali rivoltegli nel 2018 da tre giornaliste  – Farida Rustamova, Daria Zhuk ed Ekaterina Kotrikadze -. Accuse che poi sono state dichiarate infondate dalla Commissione etica della Duma, la Camera bassa del Parlamento).

Slutsky è anche stato componente del gruppo negoziale della Russia con l’Ucraina. È da considerarsi, quindi, un candidato fantoccio e sostenitore dello stesso Putin?

“È un uomo di estrema destra, con posizioni durissime specie sui matrimoni tra persone dello stesso sesso e sui diritti della comunità LGBTQIA+; è un nazionalista che strizza occhio all’estrema destra extra parlamentare, ma è anche stato a capo di una commissione della Duma – agli Affari internazionali -, quindi diciamo che non si discosta dalle posizioni russe in politica estera, nello specifico sull’Ucraina e l’annessione degli Oblast. Fa quindi parte del sistema”.

Un altro nome in lizza è quello di Nikolai Kharitonov, 75 anni. È il candidato più anziano al Cremlino, deputato del Partito Comunista e al suo secondo “tentativo”: nel 2004 aveva partecipato alle elezioni presidenziali ottenendo però solo 13,69% dei voti. È anche lui parte del sistema?

“Anche nel suo caso, non ha speranza alcuna di intaccare la leadership di Putin. Come Slutsky rappresenta un’opposizione sistemica, è un candidato a cui è permesso presentarsi alle elezioni per dare un alone di democrazia formale, ma non sostanziale perché è legato a doppia mandata al potere. Kharitonov appartiene al Partito Comunista, è considerato un ‘pezzo da museo’, attira il voto dei nostalgici o di chi non ha conosciuto direttamente il periodo sovietico, se non tramite i racconti di un nonno, di un parente, o tramite lo studio della storia sui libri di scuola, ritenendolo un periodo di gloria per il Paese”.

Il terzo a presentarsi formalmente per le elezioni è invece Vladislav Davankov: a 40 anni, che compie il 17 marzo, è il più giovane candidato, milita nel Partito Nuovo Popolo ed è vicepresidente della Duma. Ex imprenditore, nel 2023 era in corsa come Sindaco di Mosca, ma è risultato quarto con 5,34% dei voti. È anche lui un candidato debole?

“È la figura meno sistemica, ha fondato il Partito nel 2020 ed è un po’ meno appiattito rispetto alle posizioni di Putin. Per esempio, sostiene la necessità di una pulizia all’interno delle istituzioni. In politica estera, pur non essendo critico nei confronti della guerra in Ucraina, ha comunque un tono più conciliante, chiede pace e negoziati, ma è non un anti-bellicista nel senso occidentale del termine. Dei tre, anche per questioni anagrafiche, può essere considerato l’unico candidato autentico di opposizione, ma conta su un bacino potenziale di voti limitato e anche su di lui pesa il rischio di brogli”.

Intanto il pericolo immediato è rappresentato anche dall’allarme attentati…

“La Russia è un Paese che ha al proprio interno componenti che hanno commesso anche atti politici violenti come attentati terroristici di matrice jihadista, che nel 99% provengono dalla regione caucasica o sono legati a movimenti di estrema destra che ci sono presenti e sono tornati a fare attività nel contesto della protesta per il conflitto in Ucraina. Un altro elemento da temere sono i sabotatori di Kiev dietro le linee nemiche. Ma richiamare l’attenzione sul rischio di attentati è anch’essa una manipolazione politica, può trasformarsi in un pretesto per inasprire i controlli ed evitare che una folla, anche spontanea e organizzata a livello di quartiere, scenda in piazza con altri gruppi, o canti e inneggi a Navalny”.

In generale in che clima ci si avvicina alle elezioni?

“Parliamo di un appuntamento elettorale che è più un cerimoniale: sarà l’ennesima incoronazione, un plebiscito e un rito collettivo-propagandistico del regime di Putin. Per questo l’avversario principale può essere la coscienza civile russa, soprattutto nelle grandi città, dove c’è un’onda emotiva legata alla morte di Alexei Navalny. Il rischio più grande per Putin è che, in contemporanea con le elezioni, si possano verificare manifestazioni anche estemporanee che dimostrino la voglia di un cambiamento all’interno del Paese”.

Putin, a 71 anni, guida la Russia dall’ultimo giorno del 1999: sembra attendersi una vittoria con l’80% dei consensi. Quanto può pesare l’appello della vedova di Navalny?

“Qualcosa potrebbe fare, ma è difficile immaginare un terremoto. L’appello della vedova di Navalny e degli oppositori non produrrà effetti nel brevissimo periodo. La situazione, infatti, oggi è migliore rispetto a un anno fa, quando Prigozhin ha tentato il colpo di stato, anche perché la guerra in Ucraina va meglio e Putin ha investito la sua propaganda sull’andamento del conflitto. La storia russa dimostra che tutte le volte che un sistema di potere è caduto, lo ha fatto in concomitanza con alcuni fattori, tra i quali c’è sempre stata anche una sconfitta militare. È successo con la Prima guerra mondiale, dopo la sconfitta con il Giappone e nel pieno di una crisi economica, ma anche con la fine dell’Urss, dove la spinta finale è stata rappresentata dal disastro di Chernobyl insieme al ritiro dall’Afghanistan”.

È plausibile che Putin rimanga al potere fino al 2036 con l’approvazione delle recenti leggi?

“Il problema principale non è la legge, che può essere cambiata a seconda delle convenienze, ma casomai dallo stato di salute del leader e dalla sua capacità di controllare il sistema di potere. Dopo l’ultima modifica istituzionale, sembrerebbe che il modello a cui si è ispirato Putin non sia tanto la Cina, come qualcuno sostiene, ma il Kazakhistan di Kassym-Jomart Tokayev. Certo, le due realtà sono diverse, ma ritengo che Putin rimarrà finché lo stato di salute glielo permetterà, aspirando a rimanere ‘padre della patria’”.

elezioni-russia-vladimir-putin Fonte foto: ANSA
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