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Alfredino Rampi, la storia: 40 anni fa la tragedia di Vermicino

Nel 1981 la diretta: la voce del piccolo, il volto della mamma Franca. Vermicino, cosa resta di Alfredino Rampi a 40 anni dalla tragedia

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

Era il giugno del 1981, quando 21 milioni di spettatori trattennero il respiro insieme ai genitori del piccolo Alfredo Rampi. La vicenda di cronaca, dall’esito tragico, si intrecciò con alcuni nuovi aspetti della società dei mass media. Nonostante la televisione non fosse affatto una novità nel salotto degli italiani, essendo infatti un simbolo del boom economico, databile tra gli anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo, le potenzialità di questo strumento dovevano ancora essere esplorate a 360 gradi.

Gli sforzi disperati dei soccorritori furono l’occasione per la televisione pubblica di trasmettere a reti unificate e con una diretta di 18 ore totali un incidente sul cui esito non esisteva alcuna certezza. Anche al presidente della Repubblica toccò una parte in questo dramma (o, se vogliamo, in questo reality show – letteralmente inteso – dell’orrore), mentre i volti e le parole dei genitori di Alfredino, e in particolare il personaggio della madre Franca, sono entrati in un repertorio di immagini che gli italiani conservano limpide nella memoria. E che di diritto andrebbero annoverate in quel patrimonio di esperienze e conoscenze condivise che si definisce cultura, appunto, nazionale.

Insomma la morte di Alfredino non è soltanto una tragedia ma un segno dei tempi. Un evento che ha avuto ricadute mediatiche, con tanto di critiche alla copertura Rai; politiche, la legge sulla Protezione Civile; personali, per i genitori e per tutti gli italiani che insonni pregarono per le sorti del bimbo di sei anni.

Cominciamo, quindi, dall’inizio.

Tutta la storia dell’incidente di Alfredino Rampi a Vermicino, dall’inizio

La data è il 10 giugno 1981. L’ora le 19 circa. Alfredino Rampi sta tornando a casa in compagnia del padre Ferdinando, un dipendente dell’Acea, un’azienda romana. I due sono in vacanza con la madre di Alfredino, moglie di Ferdinando, Franca, e altri due amici di famiglia. Il piccolo chiede al padre di poter percorrere da solo la strada che lo separa dall’abitazione. Non essendo quest’ultima molto distante, Ferdinando acconsente, ma Alfredino non rientrerà mai. Alle 21.30 vengono allertate le forze dell’ordine. La ricerca dura qualche ora, con l’aiuto delle unità cinofile della polizia. Poi, a mezzanotte, un agente sente dei lamenti provenire da un pozzo artesiano, cioè un pozzo naturalmente effluente, tramite il quale le acque sotterranee arrivano in superficie senza ausili meccanici.

Alfredino è lì, in un tunnel direzionato verso il basso profondo 80 metri e largo appena 30 cm. Se non fosse stato così esile, se non fosse stato un bambino, Alfredino in quel buco non ci sarebbe caduto mai. E lo stesso sarebbe successo se fosse passato di lì qualche ora dopo. Infatti, a incidente già avvenuto, il proprietario del terreno aveva coperto lo sprofondo con una lamiera, senza immaginare che in quell’inferno di fango e buio ci era già finito qualcuno.

Il piccolo si è incastrato a 36 metri dalla luce del sole. Chiamati sul posto per intervenire, i vigili del fuoco pensano di calare una tavola alla quale Alfredino può aggrapparsi. Ma la tavola e il bambino restano incastrati entrambi a 25 metri dalla superficie, a causa di una rientranza delle pareti del buco. Una variazione impercettibile, circa 5 centimetri, ma abbastanza ampia da segnare per sempre la sorte del piccolo. L’intervento ha solo complicato le cose: qual è il modo giusto di procedere?

Sul posto arrivano anche alcuni speleologi degli Alpini. Si tratta Tullio Bernabei e di Maurizio Monteleone, entrambi giovani e di corporatura esile, ma non abbastanza magri da raggiungere la tavoletta e sbloccare il pozzo tappato. Nel frattempo i vigili del fuoco pompano aria per non far morire Alfredino di asfissia.

Prende piede l’ipotesi di uno scavo: un tunnel in verticale e poi in orizzontale, che sbucasse esattamente all’altezza della trappola che teneva avvinghiato il figlio di Franca e Ferdinando. Una volta ultimato il tragitto sotterraneo fatto ad angolo retto, per un tratto parallelo e per un altro perpendicolare al pozzo artesiano, però, ci si accorse che Alfredino era scivolato ancora più giù, a una profondità di 60 metri dalla superficie. La palla passava nuovamente agli speleologi e ai volontari.

Tra questi ultimi compariva ad esempio “l’Uomo Ragno”, un curioso personaggio contorsionista. Ci provò una persona con nanismo e altri volontari accorsi da tutta Italia, ma nessuno di questi riuscì a riportare il piccolo in superficie.  L’”Uomo Ragno” ha raccontato di aver avuto l’occasione di avvicinarsi e afferrare il giovane Rampi, ha detto anche di aver pulito il fango dagli occhi del piccolo e avergli raccontato delle favole.

Tirarlo fuori dalla trappola tuttavia si rivelò in fin dei conti impossibile. Alle 9 del del terzo giorno dopo l’incidente, fu calato uno stetoscopio che non restituì alcun battito. Il referto fu poi confermato dalle registrazioni di una piccola telecamera della Rai fatta scendere anch’essa nel pozzo. Il 13 giugno Alfredino era morto. L’Italia tutta si univa ai genitori nel cordoglio.

Cosa ci racconta l’incidente di Vermicino della società dei mass media

All’epoca la Rai non era attrezzata per dirette così lunghe, ma insieme a un limite tecnico sussisteva un orientamento di tipo etico che rendeva i giornalisti riluttanti a trasmettere il dolore in tv, per rispetto sia dei familiari, sia degli spettatori. La diretta non era programmata, ma fu resa possibile sia dalle dimensioni ridotte della troupe che si recò a Vermicino (della quale usufruirono tutti e tre i telegiornali nazionali), sia dalla location bene o male raggiungibile dai giornalisti, che avevano la base a Roma.

Ci si mise anche il caso, perché la diretta, che non si prevedeva dovesse durare così a lungo, fu innescata dalle parole del capo dei vigili del fuoco, che dichiarò che il salvataggio si sarebbe realizzato a stretto giro. Quando i primi tentativi si dimostrarono fallimentari, l’interesse del pubblico era troppo alto per poter interrompere la diretta e mandare in onda il materiale tramite una sintesi differita come era uso fare ai tempi. Addirittura furono esercitate pressioni in senso favorevole a quello che venne ribattezzato un “reality show” dall’allora Segretario generale alla Presidenza della Repubblica Antonio Maccanico.

Le ricadute politiche della morte di Alfredino Rampi

Sul posto arrivò anche l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, che parlò al piccolo tramite un megafono. Successivamente, lo stesso Pertini si adoperò perché un incidente come quello che provocò la morte in diretta di Alfredino non si ripetesse mai più in Italia. Insieme alla mamma del bambino, tuttora attiva per sollecitare una più attenta cultura della prevenzione in Italia, Pertini creò un ministero della Protezione Civile e si spese per una legge sul sistema nazionale della Protezione Civile, che fu approvata nel ‘92.

Da allora, la Protezione Civile, che interviene nelle emergenze coordinando gli sforzi con il metodo e l’efficacia dei professionisti è una realtà che diamo per scontata. Ma se l’Italia ha messo in campo le sue forze migliori, anche durante l’emergenza Covid, è anche grazie alla mamma di Alfredino e all’impressione suscitata tra i connazionali dall’incidente di Vermicino.

Strana coincidenza che il quarantennale di quegli eventi coincida con un periodo, quello che porta il nome del Covid, di massima attività e sforzi senza precedenti della Protezione Civile.

Vicenza, bimba cade in un pozzo: le immagini del salvataggio Fonte foto: ANSA
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