Vaccino Covid, quanto durano gli anticorpi: lo studio
La comunità scientifica discute su quanto durerebbe la protezione degli anticorpi contro il Covid, dal quale dipende anche la campagna di vaccinazione
La durata degli anticorpi contro il coronavirus è un quesito ancora irrisolto all’interno della comunità scientifica, ma dalla sua soluzione deriva l’efficacia del vaccino anti Covid. Uno studio pubblicato sulla rivista Science, come riporta il Corriere della Sera, stima la protezione degli anticorpi dai 3 ai 5 mesi.
Vaccino Covid, quanto durano gli anticorpi: l’opinione di Ippolito
L’argomento è stato recentemente affrontato dal direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma, Giuseppe Ippolito: “Chi ha avuto il Covid non deve vaccinarsi contro la malattia perché ha sviluppato anticorpi naturali, semmai dovrà controllare il livello di questi anticorpi. E quando questi dovessero scendere, si può riconsiderare una vaccinazione” ha detto a ‘Radio anch’io’ in diretta su Rai Radio 1.
Una constatazione condivisa solo in parte dall’immunologo dell’università di Milano Sergio Abrignani “perché in questa prima fase non ci sarà grande disponibilità di dosi e quindi è giusto dare la priorità ai fragili e che vengano privilegiati i più esposti all’aggressione del virus. Dal punto di vista immunologico, la vaccinazione dopo il Covid, come dopo ogni altra malattia, non espone ad alcun rischio.”
“Succederà a molti italiani di fare la profilassi dopo aver sviluppato forme asintomatiche – ha specificato l’esperto. Dallo studio epidemiologico condotto a maggio su un campione di popolazione dal ministero della Salute sappiamo che il 3% degli italiani hanno avuto Covid nella prima ondata ma la stima è che siano almeno il doppio“.
Vaccino Covid, quanto durano gli anticorpi: “Meglio fare il vaccino”
Ma Abrignani ritiene comunque che la risposta immunitaria stimolata dal vaccino sia comunque più potente di quella spontanea: “Un’infezione genera una risposta immunitaria meno potente di un qualsiasi vaccino ed è così in tutte le malattie infettive quindi se io avessi avuto il Covid-19 e ci fosse la disponibilità di dosi per tutti preferirei fare la profilassi. La risposta di un vaccino al virus è più mirata, più concentrata sul bersaglio, in questo caso la proteina Spike e la vaccinazione avrebbe la valenza di un richiamo”.
Dello stesso avviso è anche Carlo Signorelli, ordinario di Igiene all’ Università di Parma e all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, secondo cui “non vaccinare i guariti rischierebbe di complicare le cose invece che semplificarle perché per escluderli dalla vaccinazione bisogna identificarli e anche questo è un lavoro in più. Un lavoro, tra l’altro, per il quale abbiamo uno strumento, il test sierologico, che con il passare del tempo tende a non dare una risposta corretta.”
“Abbiamo, infatti, test negativi a fronte di persone che sappiamo essere state positive – sottolinea Signorelli. Capire se vaccinare o meno i guariti è comunque cruciale per la campagna vaccinale, perché in alcune zone la quota di chi ha avuto il Covid arriva fino al 40%. Se l’immunità acquisita dalla malattia non regge, rischiamo di lasciarli scoperti”.