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Unabomber, chiesta la riapertura delle indagini sul bombarolo: recuperato un capello e tracce di saliva

Un giornalista e due vittime dell'attentatore, che terrorizzò il Nordest dal 1994 al 2006, hanno ottenuto l'autorizzazione ad analizzare i reperti

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A distanza di 28 anni dal primo misterioso attentato, il caso irrisolto di Unabomber potrebbe essere riaperto. Su richiesta del giornalista Marco Maisano, il Procuratore capo di Trieste, Antonio De Nicolo, ha autorizzato a visionare la grande quantità di reperti raccolti sulla vicenda del bombarolo seriale che dal 1994 e il 2006 provocò il terrore tra la popolazione mettendo a segno 34 attentati tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia. Lo riporta Repubblica.

La richiesta di riapertura delle indagini

Maisano, autore e conduttore televisivo, ha trovato alcuni documenti che fanno riferimento al capello trovato su un finto uovo inesploso il 3 novembre 2000 al supermercato “Il Continente” di Portogruaro e anche i verbali in cui parla delle tracce di saliva.

L’ordigno fu trovato e consegnato ai carabinieri da un uomo di Azzano Decimo, in provincia di Pordenone, dopo aver acquistato una confezione di uova nella quale notò uno strano filo.

Insieme a due vittime di Unabomber il giornalista ha chiesto una nuova analisi di questi reperti con l’aiuto dei nuovi strumenti tecnologici a disposizione della polizia scientifica. La stessa Procura che ha concesso l’autorizzazione potrebbe fare domanda al Gip per la riapertura delle indagini.

Su quello che stava per essere archiviato come un “cold case” negli anni si sono succeduti decine di investigatori e cinque procure, Pordenone, Udine, Treviso, Venezia e Trieste, senza mai riuscire a scoprire l’identità del bombarolo seriale.

Il caso Unabomber

Il caso Unabomber ha diffuso il terrore nel Nordest per oltre dieci anni con l’esplosione di circa 30 ordigni che hanno provocato gravi ferite e mutilazioni sulle vittime degli attentati.

La vicenda ha avuto inizio nel 1994 probabilmente per emulazione del primo Unabomber, il matematico americano Theodore Kaczynski che tra la fine degli anni ’70 e il 1995 inviò decine di pacchi bomba provocando la morte di 3 persone e 23 feriti.

“Unabomber” è un acronimo che sta per University and Airline Bomber, nome in codice dato dall’Fbi perché Kaczynski colpiva nelle Università e aveva cercato di compiere una strage su un aereo in volo

Per l’ex professore dell’Università di Berkley, affetto da schizofrenia, questa serie di attentati con ordigni rudimentali era il modo di combattere la sua personale battaglia contro la tecnologia negli Stati Uniti.

Nulla si sa invece né sull’identità né sul movente dell’Unabomber italiano che non ha mai rivendicato gli attentati subiti spesso da anziani, donne e anche bambini.

Il primo avvenne il 21 agosto 1994 alla Sagra degli Osei, a Sacile (Pordenone) attraverso l’esplosione di un tubo-bomba, riempito con polvere da sparo e biglie di acciaio, che provocò tre feriti.

Seguirono altri episodi di deflagrazioni di tubi-bomba che caratterizzarono la prima ondata di attentati dal 1994 al 1996. Ad accrescere il mistero sulla vicenda furono i quattro anni di silenzio di Unabomer prima del ritorno con bombe più piccole e sofisticate fino all’ultimo attentato del 2006.

Nel corso degli anni furono molti i sospettati, ma uno dei principali accusati fu l’ingegnere Elvo Zornitta, a causa delle sue competenze tecniche, l’area dei suoi spostamenti lavorativi nel raggio degli spostamenti di Unabomber e il rinvenimento di piccoli oggetti compatibili con quelli usati dall’attentatore.

Zornitta fu prosciolto nel 2009, mentre nel novembre 2014 la Cassazione ha condannato Ezio Zernar, l’ispettore esperto in balistica accusato di aver manipolato una prova per incastrare l’ingegnere.

Il poliziotto fu ritenuto responsabile della manomissione di un lamierino trovato in un ordigno esplosivo e condannato a due anni di reclusione.

La testimonianza di una delle vittime

Oltre al giornalista Marco Maisano, a firmare l’istanza è stata anche Francesca Girardi, che all’età di 9 anni, fu vittima di uno degli ordigni di Unabomber.

Con un’intervista al Corriere Veneto, la donna è tornata a quel giorno del 25 aprile del 2003 raccontando di aver visto il dinamitardo rimasto senza nome.

“Ce l’ho impresso nella memoria da vent’anni – dice Girardi oggi 28enne – Era brizzolato, con i capelli corti, gli occhiali e una camicia colorata, floreale, tipo quelle hawaiane. Mia madre si era accorta che un estraneo girava da quelle parti. Lui era lì, ci guardava giocare eUn gi ha scelto proprio noi”.

Una testimonianza che fu già affidata all’epoca alle indagini dei Carabinieri. “Sì, ho riferito subito di averlo visto sul luogo dell’esplosione, ma ero una bambina di 9 anni e mi era appena successa una cosa terribile, non mi sentivo molto sicura – ha racconto – Da grande però ho rielaborato l’accaduto e a ferirmi profondamente è stata proprio la consapevolezza che non si è trattato di un incidente o di una disgrazia, ma di un atto voluto”

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