Torna l’olio di palma nei biscotti italiani per colpa della guerra in Ucraina: fa male? Facciamo chiarezza
Torna l'olio di palma nei più famosi biscotti italiani a causa della penuria di olio di girasole. Ma con quali effetti sulla salute e sull'ambiente?
Condannato senza possibilità di appello da una parte, difeso a spada tratta dall’altra. L’olio di palma è forse l’alimento che ha fatto e continua a far discutere di più gli italiani, e non solo. Nei biscotti delle grandi marche è tornato questo ingrediente, senza grandi annunci da parte di produttori, ma con la sorpresa di molti consumatori. Che hanno visto tornare su alcune etichette il tanto demonizzato grasso vegetale. A lanciare l’allarme, raccogliendo le testimonianze degli utenti, è stato Il Fatto Alimentare, che da anni si occupa anche di questo tema. E che sottolinea come i siti delle grandi aziende non siano ancora aggiornati. Ma com’è possibile che questa notizia stia passando così in sordina? E quali sono i rischi legati all’olio di palma? È così dannoso come si legge spesso su internet? E qual è il suo impatto sull’ambiente?
- Ancora olio di palma nei biscotti Oro Saiwa e Plasmon per via della guerra
- Che cos'è l'olio di palma, come si produce e che caratteristiche possiede
- Perché si dice che l'olio di palma fa male alla salute: cosa può provocare
- L'olio di palma è cancerogeno? Cosa dicono le autorità sanitarie europee
- L'olio di palma è molto contestato: perché si dice che fa male all'ambiente
- Perché sostituire l'olio di palma non è una soluzione sostenibile e green
- L'olio di palma sintetico sarà la soluzione a tutte le criticità di quello vero?
Ancora olio di palma nei biscotti Oro Saiwa e Plasmon per via della guerra
Il Fatto Alimentare segnala che sono state cambiate le ricette di alcuni dei biscotti più noti che si trovano nei supermercati italiani. Tra questi anche gli Oro Saiwa e i Plasmon, da cui è sparito l’olio di girasole, per essere sostituito da quello di colza, di soia e, nella maggior parte dei casi, dal tanto odiato olio di palma. A dimostrarlo è la quantità di grassi saturi presenti nei prodotti finali. Ad esempio per gli Oro Saiwa classici l’apporto sarebbe salito da 0,9 grammi di grassi saturi per 100 grammi a ben 4,1. Per i biscotti Plasmon si è passati invece da 1,5 a 3,8 grammi.
Mondelez International, che produce gli Oro Saiwa, ha dichiarato che il cambio di rotta deriva dalla discontinuità delle forniture di olio di girasole a causa della guerra tra Ucraina e Russia, dove si coltiva la materia prima. L’impatto del conflitto ha costretto l’azienda a tornare all’olio di palma. Anche se, come testimoniato dallo Snacking Made Right report del 2021, viene utilizzato quello proveniente da fonti sostenibili e certificate, seguendo le linee guida della Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO). L’obiettivo è però quello di tornare quanto prima all’olio di girasole.
Anche Plasmon ha dato una risposta simile alla testata che si occupa di monitorare il mercato del cibo e tutelare i consumatori, facendo riferimento agli “ultimi eventi globali” che hanno avuto un evidente impatto negativo sulla filiera dell’olio di girasole. La nuova ricetta del Biscotto prevede l’utilizzo di olio di palma che deve soddisfare i requisiti di sicurezza necessarie per un prodotto destinato alla prima infanzia, oltre ad avere la certificazione di sostenibilità, nel rispetto degli ecosistemi ad alto valore di conservazione. L’azienda ha fatto sapere di tracciare ogni passaggio lungo la catena di fornitura, dalla piantagione al prodotto finale.
Che cos’è l’olio di palma, come si produce e che caratteristiche possiede
L’olio di palma, che è utilizzato anche nei cosmetici, è estratto dai frutti dell’albero della palma. A basse temperature è solido, come il burro e i grassi animali. Se non viene raffinato è di colore arancione, perché è ricco di betacarotene, un precursore della vitamina A. L’olio di palma è composto per il 50% da acidi grassi saturi, principalmente acido palmitico, per il 40% da acidi grassi monoinsaturi, cioè dall’acido oleico, e per il restante 10% da acidi grassi, ovvero dall’acido linoleico.
Gli acidi grassi sono divisi come segue.
- Saturi, se non presentano doppi legami nelle catene carboniose che li compongono.
- Monoinsaturi, se presentano un solo doppio legame.
- Polinsaturi, se presentano due o più doppi legami.
Più numerosi sono i doppi legami, più fluido è il grasso.
Perché si dice che l’olio di palma fa male alla salute: cosa può provocare
Nel 2016 il Ministero della Salute ha chiesto all’Istituto Superiore di Sanità un parere sulle conseguenze per la salute dell’olio di palma nel cibo. Che ha evidenziato com nella letteratura scientifica non ci siano studi che collegano effetti negativi alle singole componenti specifiche dell’olio di palma. Tuttavia l’elevato contenuto di acidi grassi saturi rispetto alle alternative presenti sul mercato può aumentare il rischio di patologie cardio-vascolari. Le organizzazioni sanitarie nazionali e internazionali raccomandano un livello di assunzione di acidi grassi saturi non superiore al 10% delle calorie totali. Qua il parere completo dell’Iss.
Gli acidi saturi aumentano infatti il colesterolo LDL, meglio noto come il “colesterolo cattivo“. In generale gli alimenti di origine animale, come il burro, sono più ricchi di acidi grassi saturi rispetto a quelli di origine vegetale. Fanno eccezione proprio l’olio di palma e l’olio di cocco.
Gli acidi grassi polinsaturi del gruppo Omega 6 invece riducono i livelli di LDL, mentre gli Omega 3 riducono i trigliceridi, che favoriscono invece l’ateroscelerosi. Anche alcuni acidi grassi insaturi sono dannosi per la salute, perché presentano doppi legami in una configurazione che viene chiamata trans, che si forma in seguito a trattamenti come l’idrogenazione dei grassi vegetali. È il caso della margarina. Gli acidi grassi saturi trans hanno effetti simili ai grassi saturi.
L’olio di palma è cancerogeno? Cosa dicono le autorità sanitarie europee
Uno studio sempre risalente al 2016 dell’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha mostrato che ad alte temperature, superiori ai 200° C, l’olio di palma e l’olio di palmisto (ottenuto invece dai semi della pianta e non dai frutti) producano sostanze che ad alte concentrazioni sono genotossiche, ovvero hanno la capacità di far mutare il patrimonio genetico delle cellule. E quindi causare potenzialmente dei tumori.
Lo stesso ente ha però sottolineato come sia difficile raggiungere concentrazioni pericolose con una normale alimentazione. Peraltro negli ultimi anni la presenza di queste sostanze nei prodotti industriali è drasticamente diminuita, visto che sono cambiati i processi produttivi delle aziende. Come chi si occupa di salute e alimentazione sa bene, un cibo non è mai cancerogeno di per sé. Il possibile sviluppo di tumori è collegato infatti alla quantità di determinate sostanze che ingeriamo. In particolare per il 3-monocloropropandiolo prodotto dall’olio di palma oltre i 200° C, nel 2018 l’EFSA ha stabilito che è sicuro assumerne fino a 2 microgrammi per chilo al giorno.
L’olio di palma è molto contestato: perché si dice che fa male all’ambiente
Insomma l’olio di palma non deve essere demonizzato in cucina, a patto di farne un uso consapevole. Ma questa è una regola aurea che vale per qualsiasi ingrediente. C’è però un’altra considerazione che bisogna fare, che riguarda indirettamente la nostra salute e direttamente l’impatto ambientale dell’olio di palma. Dagli anni ’80 a oggi si è passati da una produzione annua di 4,5 milioni di tonnellate a una di oltre 72 milioni. I principali produttori al mondo sono l’Indonesia e la Malesia, responsabili dell’85% delle forniture globali, ma le coltivazioni sono diffuse in tutti i Paesi tropicali con clima umido in Africa, in America Latina e in Asia.
Ambientalisti di Greenpeace che protestano davanti a uno stabilimento di Mondelez/Saiwa.
Si stima che le coltivazioni siano responsabili del 5% della deforestazione totale. In alcuni territori, come quello del Borneo, avrebbero però contribuito per il 50% alla perdita di foreste tropicali, sostituendo inoltre in molti Paesi quelle di caucciù e di caffè. La proliferazione di palmeti è dunque innegabilmente legata alla sparizione delle foreste pluviali, alla perdita di biodiversità e all’aumento di emissioni di gas serra. Oltre che a conflitti sociali con le comunità locali. Oltre all’impatto ambientale vero e proprio, bisogna infatti considerare anche quello sociale, con fenomeni come lo sfruttamento umano e il capolarato nei Paesi del Terzo Mondo e in via di sviluppo.
Perché sostituire l’olio di palma non è una soluzione sostenibile e green
Dati allarmanti, ma che devono essere analizzati a fondo per poter essere visti con la giusta prospettiva. Le terre utilizzate per la produzione dell’olio di palma sono il 10% di quelle destinate alle coltivazioni di oleaginose e si stima che circa il 40% sia di proprietà di piccoli coltivatori. Informazioni che certo non cancellano i problemi legati a questo prodotto, ma che descrivono una situazione decisamente meno catastrofica. C’è chi evidenzia inoltre l’importanza dei palmeti a livello economico per molte zone del pianeta.
È necessario poi sottolineare che la sostituzione dell’olio di palma con altri oli vegetali potrebbe non essere una soluzione sostenibile sul lungo periodo. Con piante mature, di 3 o 4 anni di età, sarebbe possibile produrre fino 19 tonnellate di olio di palma per ettaro di coltivazione. Mediamente se ne ottengono però 3,47. Un dato comunque superiore agli altri oli. Ad esempio, secondo FAOSTAT, per la resa della colza è di 0,65 tonnellate di olio per ettaro, quello del girasole di 0,58 tonnellate di olio per ettaro, quella della soia di 0,37 tonnellate di olio per ettaro, quello degli oliveti è di 0,32 tonnellate di olio per ettaro.
La palma offre una resa migliore a parità di suolo utilizzato. Se domani dovesse essere bandito l’olio prodotto da questo albero, sarebbe necessario piantare girasoli su una superficie grande tre volte l’Italia o olivi per una superficie pari a sei volte il nostro Paese per soddisfare lo stesso fabbisogno mondiale. Inoltre le piante di palma possono vivere fino a 15 anni, al contrario di quelle di colza o girasole, che devono essere ripiantate annualmente, causando una maggiore erosione del terreno. E quindi esponendo i territori anche a disastri naturali, come alluvioni e frane.
L’olio di palma sintetico sarà la soluzione a tutte le criticità di quello vero?
Che l’industria alimentare e quella cosmetica siano problematiche per il nostro pianeta è fuori discussione, ed è necessario pensare ad alternative sostenibili sul lungo termine per far diminuire il nostro impatto ambientale, che passa anche per coltivazioni e allevamenti. Una soluzione potrebbe essere la produzione “in laboratorio” di oli, magari utilizzando materiali di scarto. Procedimenti che potrebbero diventare una pratica comune già a partire dal prossimo anno, considerando che tante start-up hanno iniziato a produrre olio di palma sintetico. Si inizierebbe a utilizzarlo prima nella cosmesi e solo successivamente negli alimenti.
Ma ancora una volta bisognerà capire l’impatto sociale ed economico di queste tecnologie, considerando che molti lavoratori nei Paesi in via di sviluppo perderebbero una fonte di sostentamento continuativa, e sostituire le vecchie coltivazioni con le foreste richiederebbe decenni e ingenti investimenti, oltre che piani ambientali coordinati a livello internazionale. Senza considerare poi che i cibi sintetici, come la famigerata “bistecca di Frankenstein” di cui vi abbiamo parlato qua, non sono ben visti da consumatori e associazioni di settore.
Ciò che è certo è che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Non sempre ciò che appare più sostenibile lo è nella realtà, e oggi più che mai è necessario avere una visione a tutto tondo dei cibi che consumiamo e dei prodotti che utilizziamo nel quotidiano. Aziende ed enti nazionali e internazionali sono chiamati oggi a fare importanti cambi di rotta, perché il tempo a nostra disposizione per salvare la Terra è ormai scaduto. E senza una pianificazione dall’alto e sul lungo periodo, a poco servirà comportarsi come consumatori consapevoli e attenti alla salute, all’ambiente e alle tematiche sociali.