Tensione tra Serbia e Kosovo: dalla "guerra delle targhe" all'ingerenza di Putin, ecco cosa sta succedendo
L'arresto di un funzionario serbo ha riacceso la tensione tra Serbia e Kosovo. Dall'indipendenza del 2008 la crisi si è acuita e Putin potrebbe approfittarne
La sospensione dell’obbligo di passare dalle targhe serbe a quelle kosovare, grazie anche alla mediazione dell’Unione europea, sembrava aver riportato una parvenza di calma nel Nord del Kosovo. Invece la tensione è esplosa di nuovo, e i rapporti tra Kosovo e Serbia sono tesi come non si vedeva dal 1999, anno della fine della guerra. Frontiere chiuse, granate sonore, spari strade bloccate da auto e camion: la minoranza serba ha reagito così all’arresto di Dejan Pantic, un ufficiale serbo accusato di terrorismo che, nelle scorse settimane, aveva aderito alle dimissioni in massa di circa 600 impiegati pubblici di etnia serba che vivono nel Nord del Kosovo.
Serbia-Kosovo: la “guerra delle targhe”
Inutile dire che la questione delle targhe, così come le proteste per l’arresto di Pantic, nascono da problemi che in quella piccola zona dell’ex Jugoslavia si trascinano da decenni. Tuttavia, la questione delle targhe aiuta a capire, almeno in parte, le dinamiche in atto e spiega il fallimento di quello che nelle intenzioni doveva essere un Paese multietnico, ma in realtà non lo è mai stato. La “guerra delle targhe” è esplosa quando il premier del Kosovo, Albin Kurti ha imposto l’applicazione della legge che prevede che tutte le auto che circolano nel Paese debbano avere una targa con un’unica sigla: RKS, ovviamente quella del Kosovo.
Per i serbi residenti nel nord – circa 120mila persone su una popolazione totale di 1,8 milioni – significava rinunciare alle 50mila targhe con sigla SRB (Serbia) ancora circolanti da prima della fine della guerra del 1999. Targhe che, nel corso degli anni, il governo di Belgrado aveva sempre rinnovato per mantenere un legame con i serbi del Kosovo e che per i serbi sono diventate un segno di fedeltà verso Belgrado. Per protesta contro questa decisione, circa 600 funzionari di etnia serba – tra cui Pantic – si sono dimessi e migliaia di cittadini serbi sono scesi in strada a Mitrovica, la città divisa tra Serbia e Kosovo.
Dalla guerra del ’98-’99 all’indipendenza del Kosovo nel 2008
La crisi delle targhe affonda le sue radici nei fatti accaduti durante la guerra combattuta nel 1998 e 1999 tra esercito jugoslavo, controllato dai serbi, e i ribelli kosovari albanesi. Una guerra finita solo con l’intervento della Nato in risposta alla pulizia etnica e alle violazioni dei diritti umani, con l’esercito jugoslavo che si ritirò in seguito ai bombardamenti effettuati dagli aerei Nato sulla Serbia.
Nel 2008 il Kosovo ha dichiarato la propria indipendenza, ma il nuovo stato non ha ottenuto il riconoscimento di un centinaio di nazioni, nonostante sia stato ammesso nella Banca Mondiale, nel Fondo monetario internazionale e nel Comitato Olimpico. Tra i Paesi che non hanno riconosciuto il Kosovo c’è ovviamente la Serbia, sostenuta da Russia, Cina ma anche da un gruppo di governi europei tra cui Spagna e Grecia, membri dell’Unione europea.
Questa indecisione internazionale è sostanzialmente la causa delle forti tensioni che sono riesplose in Kosovo. Tra l’altro entrambi i Paesi hanno chiesto di entrare nell’Unione europea, e questo clima di incertezza non ha certo aiutato.
Le accuse di Belgrado al governo del Kosovo sulla “Grande Albania”
I serbi hanno sempre accusato il governo di Pristina (capitale del Kosovo) di voler costruire una Grande Albania con l’obiettivo di confiscare le proprietà della chiesa ortodossa ed espellere dal Paese i cittadini non albanesi. Dal 2008 il Kosovo del Nord è finito in una sorta di limbo. I circa 120mila serbi presenti nell’area vivono, di fatto, in alcune enclave protette dai 3.700 soldati Nato (la missione Kfor a guida italiana) e con l’assistenza fornita dall’Onu. Belgrado, da parte sua, considera Mitrovica, Gracanica e Leposavic e le zone limitrofe la culla dell’identità nazionale serba e non ha mai fatto mancare il proprio sostegno ai cittadini di etnia serba.
Nella zona si usa il dinaro serbo come moneta corrente, e a più riprese il premier del Kosovo ha accusato i serbi dell’area di evadere le tasse, vedendo l’enclave serba come una minaccia per l’unità nazionale del Kosovo. Una questione, quella serbo-kosovara, arrivata fino al mondiale di calcio in Qatar con i giocatori della Serbia che hanno affisso negli spogliatoi una bandiera che mostra il simbolo della Serbia che campeggia sul Kosovo. Un messaggio probabilmente rivolto ai tanti giocatori di origine albanese che giocano nella nazionale Svizzera, inserita nello stesso girone della Serbia.
Crisi in Kosovo: cosa c’entrano la Russia e il Donetsk
I colloqui tra Serbia e Kosovo per risolvere la questione della minoranza serba nel Nord del Paese si trascinano stancamente da decenni, con l’Unione europea sempre meno autorevole a fare da arbitro. Nella crisi si è già inserito Vladimir Putin. Come detto la Russia, storico alleato della Serbia, non ha riconosciuto il Kosovo. Vladimir Putin, negli ultimi mesi, ha citato spesso il Kosovo paragonando le persecuzioni subite dai serbi in Kosovo a quelle dei russi nelle regioni orientali dell’Ucraina.
La tesi di Putin è che l’Occidente abbia usato due pesi e due misure nelle crisi, riconoscendo l’autonomia del Kosovo (dichiarata unilateralmente nel 2008) e negando invece quella di Donetsk e Lugansk da Kiev. Facile capire perché, a livello internazionale, la Serbia preferisca parlare con Russia e Cina, altro Paese che non ha riconosciuto il Kosovo e che nei Balcani sta costruendo la ” nuova via della Seta”.
Serbia pronta a chiedere una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu
Gli ottimi rapporti della Serbi con Cina e Russia rischiano di mettere in imbarazzo l’Onu. Mosca e Pechino sono due membri permanenti del Consiglio di sicurezza, e Belgrado sta pensando di chiedere una convocazione ad hoc sulla vicenda del Kosovo. L’obiettivo è chiedere che venga applicata la risoluzione 1244 per stabilire definitivamente che, nel Nord del Kosovo (praticamente ancora sotto la protezione Onu), i diritti della minoranza serba vengono regolarmente violati.
Belgrado porta come esempio altre crisi internazionali (Siria e Libia per esempio) e chiede all’Onu un intervento a tutela della minoranza serba, che sarebbe ancora più in pericolo dopo l’indipendenza del Kosovo. Quella tra Serbia e Kosovo è una crisi da non sottovalutare. Secondo diversi esperti, nonostante le dichiarazioni roboanti e le minacce di mobilitazione dell’esercito, difficilmente le due nazioni si faranno guerra. Ma l’Europa in questo momento non ha bisogno di altre crisi da affrontare, né tantomeno ne hanno bisogno Kosovo e Serbia.