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Stefano Cucchi

Stefano Cucchi era un geometra di 31 anni arrestato a Roma nel 2009 e morto sette giorni dopo all’ospedale Pertini. Il suo caso è diventato simbolo della battaglia per i diritti dei carcerati e contro l’abuso di potere

di Stefania Bernardini

La morte di Stefano Cucchi è uno dei casi che ha acceso i riflettori sull’abuso di potere da parte delle forze dell’ordine e sui diritti dei carcerati. Il giovane, geometra di 31 anni, era stato arrestato a Roma il 15 ottobre del 2009 per possesso di droga. Dopo una settimana è morto all’ospedale Sandro Pertini della Capitale.

Da quel momento è iniziata una lunga battaglia, in particolare da parte della sorella del giovane, Ilaria, alla ricerca della verità riguardo a ciò che è realmente successo al ragazzo dal momento in cui è stato sottoposto alla custodia cautelare fino al decesso. Dopo 13 anni tra processi, inchieste e due sentenze della Cassazione, si è arrivati alla condanna in via definitiva di due carabinieri per omicidio preterintenzionale.

L’arresto di Stefano Cucchi

Nella serata del 15 ottobre del 2009 Stefano Cucchi viene fermato al Parco degli Acquedotti di Roma perché trovato in possesso di 20 grammi di hashish, 3 involucri di cocaina per un totale di circa 3-4 dosi e di alcune pastiglie per l'epilessia di cui soffriva. Viene quindi portato in caserma dai carabinieri Francesco Tedesco, Gabriele Aristodemo, Raffaele D'Alessandro, Alessio Di Bernardo e Gaetano Bazzicalupo, tutti in servizio presso la Stazione Roma Appia.

Il giovane è in perfette condizioni di salute e alle 2:15 viene accompagnato da Tedesco, Di Bernardo e D'Alessandro alla stazione del Comando dei Carabinieri di Roma Casilina per essere sottoposto a rilievi foto-segnaletici e dattiloscopici.

L’udienza di convalida del fermo e gli ematomi sul corpo

Il 16 ottobre viene convalidato il fermo e Cucchi viene processato per direttissima. Il giudice dispone che il 31enne resti in custodia cautelare nel carcere di Regina Coeli, in attesa di un’udienza che si sarebbe dovuta tenere il mese successivo, a novembre 2009.

All’udienza il geometra appare con ematomi e mostra di avere difficoltà a camminare. Una registrazione diffusa successivamente testimonierà che aveva difficoltà a parlare. Viene fatto visitare dal medico del tribunale e, dopo l’ingresso in carcere, l’infermeria del penitenziario dispone un immediato trasferimento al pronto soccorso del Fatebenefratelli per degli accertamenti. Cucchi rifiuta però il ricovero e torna in carcere.

Il ricovero e la morte al Pertini di Roma

Il giorno dopo, le sue condizioni di salute si aggravano e viene sottoposto ad altre visite, fino al ricovero nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, dove Stefano muore il 22 ottobre. Al momento del decesso pesa 37 chili. In sei giorni la famiglia non riesce mai a vederlo.

Inizia la battaglia giudiziaria dei parenti di Cucchi che una settimana dopo diffondono alcune foto choc del cadavere in obitorio con ematomi e segni sospetti. Le immagini vengono inviate anche all’associazione “A buon diritto” che convoca una conferenza stampa il 29 ottobre del 2009.

Il primo processo e l’appello-bis

Inizialmente, per la morte di Stefano Cucchi, il 25 gennaio 2011 vengono rinviati a giudizio sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria. Le accuse vanno dall’abbandono d'incapace, all’abuso d'ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni e abuso d'autorità. In questa prima indagine, si ipotizza che il geometra sia stato picchiato nelle celle del tribunale e in ospedale sia stato lasciato morire di fame e sete.

Nel processo di primo grado, i giudici ritengono che non ci sia stato nessun pestaggio, ma morte per malnutrizione. La sentenza finale, arrivata nel giugno 2013, condanna undici medici dell’ospedale Pertini per omicidio colposo e assolve i tre infermieri e i tre agenti penitenziari.

Circa un anno dopo la Corte d’appello ribalta tutto: tutti i medici vengono assolti per insufficienza di prove. La famiglia Cucchi ricorre in Cassazione e la Suprema Corte ordina un processo di appello-bis per omicidio colposo per i medici. Intanto si apre un’inchiesta bis nella quale, per la prima volta, 5 carabinieri vengono indagati.

Riguardo ai dottori, l’appello-bis termina con una nuova assoluzione. Nel 2017 la Cassazione annulla nuovamente la sentenza, ma il giorno successivo il reato finisce in prescrizione.

L’indagine bis sui carabinieri

Sempre nel 2017, la Procura di Roma chiude l'inchiesta bis con il rinvio a giudizio di 5 carabinieri: Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco, accusati di omicidio preterintenzionale e di abuso di autorità. Tedesco è accusato anche di falso e calunnia insieme con il maresciallo Roberto Mandolini, mentre della sola calunnia risponde il militare Vincenzo Nicolardi.

Secondo l’accusa, Di Bernardo, D’Alessandro e Tedesco hanno colpito Cucchi “con schiaffi, pugni e calci, provocando una rovinosa caduta, che unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell'ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte”.

Il processo ai carabinieri e la condanna finale

Grazie alle parole di un carabiniere, Riccardo Casamassima, le indagini sul pestaggio vengono riaperte. Infine, nel 2018 l’imputato Francesco Tedesco, parla per la prima volta dei colleghi Di Bernardo e D’Alessandro che avrebbero picchiato Cucchi. Nel corso del processo emergono anche presunti depistaggi con la sparizione o l'alterazione di documenti di servizio e vengono rinviati a giudizio  il generale Alessandro Casarsa e altri 7 carabinieri tra cui  Lorenzo Sabatino, all'epoca dei fatti comandante del reparto operativo di Roma.

Il 3 ottobre del 2019 il pm chiede la condanna a 18 anni per pestaggio dei due carabinieri, poco più di un mese dopo Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro vengono condannati a 12 anni per omicidio. Nello stesso giorno, il 14 novembre, Nello stesso giorno, arriva sentenza per i cinque medici coinvolti nella vicenda e accusati di omicidio colposo: assolta Stefania Corbi, accuse prescritte per Aldo Fierro, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo.

Il 7 maggio 2021 la Corte d'Assise d'appello di Roma ridetermina le pene e condanna a 13 anni per omicidio preterintenzionale Di Bernardo e D’Alessandro. Lieve sconto di pena per Roberto Mandolini da 4 anni e mezzo a 4 anni e conferma dei due anni e sei mesi per Tedesco, entrambi accusati di falso.

Il 4 aprile 2022, la Cassazione ha condannato in via definitiva per omicidio preterintenzionale i carabinieri Di Bernardo e D'Alessandro, riducendo loro la pena a 12 anni di reclusione, mentre dispone un nuovo processo d’appello per Mandolini e Tedesco che a luglio dello stesso anno, alla vigilia della prescrizione del reato, vengono condannati rispettivamente a 3 anni e 6 mesi e a 2 anni e 4 mesi di reclusione.

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