Giulio Regeni
Tutto quello che c'è da sapere su Giulio Regeni, dalla carriera accademica brillante alla scomparsa in Egitto
Classe 1988, Giulio Regeni cresce a Fiumicello, un paese in provincia di Udine. Si trasferisce in Messico, allo Armand Hammer United World College of the American West, quando è ancora minorenne. Successivamente passa un periodo nel Regno Unito e poi a Vienna.
Riconoscimenti, progetti e voglia di emergere. Il futuro brillante del ricercatore viene spezzato da una morte prematura, e dai contorni poco chiari, il 25 gennaio 2016. Da allora la famiglia chiede giustizia a gran voce.
Giulio Regeni, la carriera accademica
Intraprendente e molto preparato, Giulio Regeni fa tutto quello che è in suo potere per realizzare i propri sogni da ricercatore. Studente appassionato, riceve due volte, nel 2012 e nel 2013, il premio "Europa e giovani" per i suoi studi sul Medio Oriente.
Dopo aver lavorato a Il Cairo per l'UNIDO, Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale, e aver svolto per un anno ricerche per Oxford Analytica, si dedica al dottorato al Girton College dell'Università di Cambridge. Torna in Egitto per una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani.
Descrive la difficile situazione sindacale dopo la rivoluzione del 2011, pubblicando alcuni articoli con lo pseudonimo di Antonio Drius, per l’agenzia di stampa Nena. Queste informazioni vengono riprese, postume, dal quotidiano Il manifesto.
La scomparsa di Giulio Regeni
Quel tragico 25 gennaio del 2016, l’ultima notizia che si ha di Giulio Regeni riguarda un sms inviato alle 19.41 alla fidanzata in Ucraina. La informa che sta uscendo, dopodiché di lui si perdono le tracce.
Una sua amica, Noura Wahby, poco dopo denuncia la sua scomparsa su Facebook. Il ricercatore infatti, avrebbe dovuto incontrarsi con degli amici per festeggiare il compleanno di uno di loro, ma non si presenta all’appuntamento.
Il suo corpo nudo e mutilato viene trovato il 3 febbraio del 2016, in fondo a un fosso alla periferia de Il Cairo. Dai segni rinvenuti, è chiaro che Giulio Regeni abbia subito delle torture. Più di 24 fratture, oltre a ferite, abrasioni da sigaretta e lesioni estese compatibili con calci, pugni e colpi inferti da un bastone e un punteruolo.
L’autopsia, però, chiarisce che a provocare la morte di Giulio è la frattura di una vertebra cervicale e un’emorragia cerebrale causate da un colpo violento all’altezza del collo.
Il funerale si svolge il 12 febbraio dello stesso anno, ma le indagini vanno ben oltre quella data, anche a causa dell’ostruzionismo dimostrato dall’Egitto, soprattutto in una prima fase.
Giulio Regeni, le indagini sulla sua morte
Non appena il corpo di Giulio Regeni viene ritrovato, il generale Khaled Shalabi, direttore dell'amministrazione generale delle indagini di Giza, classifica la morte come incidente stradale. Successivamente le autorità egiziane parlano di omicidio per cause personali riconducibili a una presunta relazione omosessuale o allo spaccio di droga. Altre ipotesi parlano dell’appartenenza a qualche baltagiya, bande di sicari assoldati dagli organismi del controspionaggio egiziano.
Le autorità italiane ascoltano soltanto pochi testimoni, per qualche minuto; non hanno accesso a tutte le prove. Agli inquirenti appare subito chiara la volontà del Governo locale di voler insabbiare l’accaduto.
A livello internazionale, negli anni, diversi sono le iniziative e gli appelli. Tutti chiedono a gran voce #veritàperGiulioRegeni, questo l’hashtag diffuso sui social.
Sul corpo di Giulio vengono fatte due autopsie diverse, una dai medici del luogo e un’altra da quelli italiani. Della prima l’esito non è pubblico (ma è considerata fallace), la seconda evidenzia che il ricercatore viene interrogato e torturato per un massimo di sette giorni. L’ultima aggressione risale a 10 o 14 ore prima della morte.
A settembre 2016 si ottengono i tabulati dal Governo egiziano, dalle analisi risulta che il telefono di Giulio Regeni, durante i giorni precedenti all’omicidio, è sorvegliato dalla polizia locale. Tuttavia non si riscontrano problemi di sicurezza nazionale.
Il 24 marzo del 2016 la polizia locale uccide quattro uomini durante un conflitto a fuoco, indicati come i responsabili del sequestro. In questa occasione trovano una borsa con il logo della FIGC, Federazione Italiana Giuoco Calcio.
Tra gli oggetti contenuti, ci sono anche gli effetti personali di Giulio Regeni. Il passaporto, alcuni tesserini universitari e la carta di credito. Un pezzo di hashish pare avvalorare la tesi egiziana sullo spaccio.
Successivamente l'ufficio del procuratore di Nuovo Cairo nega che la banda criminale sia coinvolta nella vicenda e anche la famiglia di Regeni non crede nelle ricostruzioni della polizia.
Chiusura delle indagini e rinvio a giudizio
Le indagini preliminari vengono chiuse dalla procura di Roma nel 2020. Nel 2021 vengono rinviati a giudizio quattro ufficiali della National Security Agency, i servizi segreti egiziani, per sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime (il reato di tortura viene introdotto dopo la morte di Giulio Regeni) e omicidio. Si tratta del generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif. Tuttavia le persone in questione risultano irreperibili.
Secondo gli inquirenti italiani il movente sarebbe il sospetto (non supportato, però, da prove), da parte degli agenti egiziani, che il ricercatore voglia finanziare una rivoluzione.
Giulio Regeni, il comportamento controverso delle autorità egiziane
Ad aprile 2016 viene arrestato il consulente egiziano della famiglia Regeni, Ahmed Abdullah, presidente dell'ong Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, per sovversione e terrorismo.
A dicembre dello stesso anno si accerta che Mohamed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti, ha denunciato Giulio Regeni e lo ha seguito fino a tre giorni prima della sua morte.
Nel 2017, il legale egiziano incaricato di seguire il caso dalla famiglia Regeni, Ibrahim Metwaly, viene arrestato con l'accusa di voler sovvertire il Governo.
Sia i servizi segreti che il Governo sembrano avere un ruolo nella morte di Giulio, ma quest’ultimo si dissocia e accusa gli agenti segreti - appartenenti all’organizzazione islamista Fratelli Musulmani - di aver agito per compromettere i rapporti Italia-Egitto.
Nel 2019 un testimone racconta agli investigatori italiani di aver sentito alcuni funzionari egiziani parlare del “ragazzo italiano”, in un bar di Nairobi (in Kenya) ad agosto 2017.
Attraverso uno scambio di baglietti da visita, scopre che l’agente convolto nel caso Regeni è proprio Majdi Ibraim Abdel-Al Sjarif. Secondo il resoconto, gli egiziani pensano sia una spia britannica e pianificano il rapimento.
Il procuratore generale de Il Cairo, Hamada al Sawi, si dice in disaccordo con la procura di Roma e afferma che le prove a carico degli agenti dei servizi segreti egiziani sono insufficienti. Intanto, gli indagati negano ogni accusa e si dichiarano “oggettivamente provati”.
Verità per Giulio Regeni, le proteste in nome della giustizia
Sul caso di Giulio Regeni si è espresso il mondo intero. Da Amnesty International al New York Times, da La Repubblica all’ambasciatore del Regno Unito in Italia, Jill Morris. Dall’allora presidente della Camera, Roberto Fico, al Parlamento Europeo.
Tutti chiedono, in maniera formale e informale, che si faccia luce su quanto accaduto al ricercatore e che i responsabili paghino per un atto che ogni giorno di più prende le tinte di una vera barbarie.